Cannibal Holocaust 2
Il seguito del cult di Ruggero Deodato a fumetti per NPE
I grandi film spesso devono restare grandi film e basta. Devono essere esemplari unici, chiusi – come perle dentro le ostriche – nella propria perfezione, che è auspicabilmente inviolabile, intangibile, infrangibile. Ma qualche volta ci resta la voglia di sapere che cosa si è travasato al di là degli ultimi fotogrammi di un film. Cos’era l’ignoto dopo il noto. Che cosa avrà fatto Susy Banner una volta uscita dall’inquadratura dell’Accademia in fiamme, ad esempio? O che cosa successe dopo che i membri della spedizione di Cannibal Holocaust furono massacrati e squartati dagli indios, ai quali avevano fatto cose indicibili e meritevoli, perciò, di essere punite con questa fine. Quasi sempre le domande su tali novissimi sono destinate a rimanere tali. Perché i sequel, se li si fa, non c’entrano niente o poco con l’opera da cui si parte. Sono reboot, riletture, rifacimenti, variazioni sul tema. Del resto, ce lo vedete qualcuno riuscire a spiegare Suspiria dopo Suspiria o Cannibal Holocaust dopo Cannibal Holocaust? Vero è però che se l’autore stesso si mette a riannodare i fili rimasti pendenti, può essere che qualcosa di decente ne venga fuori. E non necessariamente ricorrendo agli stessi media dell’originale.
Ruggero Deodato ci aveva pensato, da un certo momento in avanti, a come continuare Cannibal Holocaust e aveva trovato una prima soluzione, tenendo come punto di esaltazione di una nuova storia, i figli dei cannibali che all’epoca avevano fatto strage dei bianchi stronzi venuti tra loro come dei funesti Messia. Un film da girare alle Filippine (spacciate per comodità come Brasile), in cui un tizio sciroccato agli ordini del proprietario di una tv, altrettanto sciroccato e appassionatissimo di Cannibal Holocaust, veniva mandato sulle tracce degli scomparsi – era un racconto interno allo stesso universo di Cannibal –, finendo per incappare nei discendenti degli antropofagi, abitanti ora in una comunità cittadina di super-delinquenti, che avrebbe ingoiato i nuovi arrivati. Un film dove i cannibali non si vedevano e non esercitavano la loro specificità manducatoria. Poi, però, Ruggero ci ripensò e dopo avere inventato e archiviato un plot in cui i cannibali si erano insediati nelle viscere di una grande città, vivendo come ratti famelici dentro le fogne, arrivò alla conclusione che bisognasse ripartire da qualcosa di più denso e concettualmente all’altezza del primo Cannibal. Così, gli venne l’idea di mettere se stesso, Ruggero Deodato, al centro dell’intrigo. Deodato vuole sapere che fine ha fatto la ragazzina india da lui usata nelle riprese di quarant’anni fa. L’indigena prima stuprata e poi impalata come un maiale su uno spiedo. Così parte alla volta di Bogotà, con una troupe di svedesi, che hanno accettato di sponsorizzare questo nuovo film. Ma una volta sbarcati in Colombia, Ruggero, che ha ancora pendente sul capo una condanna dai tempi di Cannibal, viene portato in galera.
Tempo qualche giorno e la sua libertà è recuperata, ma a condizione che abbandoni subito il Paese, a bordo del primo aereo. E a quel punto, l’unica soluzione per portare avanti l’operazione è che la troupe svedese continui e vada alla ricerca della ragazzina che oggi è diventata una donna matura… Il film non si è mai fatto. Sono passati tre anni da quando Ruggero ha avuto questa idea, in occasione di un viaggio a Bogotà per un Festival al quale era stato invitato. Non si è fatto il film ma quel progetto si è trasformato da potenza in atto grazie a un editore di fumetti, amico di Ruggero, Nicola Pesce. Saputo dell’esistenza di questo script inedito, ha voluto leggerlo, ne è rimasto conquistato e ha pensato che si sarebbe potuto trasformare in una graphic-novel eccezionale. Come difatti è stato. Cannibal Holocaust 2, pubblicato da Nicola Pesce Editore, ha una formula eccentrica, basata su un mixtum tra la sceneggiatura del film che avrebbe voluto girare Deodato e i disegni che illustrano lo script realizzati da Miguel Ángel Martín, il virtuoso artista spagnolo che ha accostato il proprio nome a opere estreme come Psycho pathia sexualis. Il risultato è un’esperienza sensoriale nuova, profonda e appassionante che apre inedite prospettive alla resurrezione in questa forma di sceneggiature che da anni giacciono nei tiretti impolverati dei loro autori. L’opera, in uscita per Nicola Pesce Editore, è quindi un presidio necessario per tutti coloro che venerano il capolavoro di Deodato e parimenti per tutti coloro che apprezzano il segno grafico di Martín, due artisti che l’amore per l’estremo rende membri di una famiglia alla quale siamo orgogliosi di appartenere.