Cinema e invenzione linguistica
Le lingue fantastiche sullo schermo
Da quando il cinema ha smesso di essere muto non si è limitato a registrare, accanto ai canonici 24 fotogrammi per secondo, solo le lingue ufficiali che gli attori parlavano. Quasi da subito ha, infatti, introdotto e presentato delle occorrenze sonore che erano sì lingue, ma che non potevano essere ricondotte a nessun idioma conosciuto. Queste sono, appunto, le lingue inventate. I film hanno di certo incentivato la creazione di queste lingue fittizie, che, nel gergo dei linguisti, sono definite conlang, abbreviazione per constructed languages, appunto, lingue artificiali. La conlang più famosa, ma che nulla ha a che fare con il cinema, è sicuramente l’esperimento ottocentesco dell’Esperanto. Questa categoria di lingue non nasce, quindi, per il cinema, ma il cinema ha sicuramente imparato a sfruttarle molto presto, e, con il tempo, a perfezionarle, in un processo di affinamento che arriva fino ai giorni nostri, dove le lingue inventate per film e serie tv hanno una complessità tale da renderle quasi irriconoscibili dalle lingue naturali. Ma dove si trova l’origine di questi idiomi? Sicuramente a metà strada tra l’esperimento linguistico – ricordiamo il sogno utopico di creare una lingua comune come l’Esperanto – e la creazione fantastica di scrittori come Tolkien e Lovecraft.
Un approccio più sistematico all’invenzione linguistica è infatti venuto dal mondo del romanzo. J.R.R. Tolkien, linguista lui stesso, si dilettava a inventare veri e propri idiomi per il suo universo di fantasia che confluirà nella saga del Signore degli anelli. Per alcune di queste lingue non si è limitato a creare un sistema grammaticale e un ricco lessico, ma anche un nuovo sistema di scrittura. Per ora relegata al mondo della fiction letteraria, questa tendenza creativa era, però, destinata a travalicare i confini della pagina scritta per raggiungere quelli della celluloide, toccando soprattutto due generi dove la sua apparizione era più probabile: quello della fantascienza e quello del fantasy. Da sempre nel cinema sono stati usati vari espedienti che aiutavano a far suonare una lingua come straniera anche se non lo era affatto. C’è il pig latin, un equivalente del nostro farfallino, presente in Gold Diggers of 1933 e anche in un più moderno The Mask; questa lingua infantile si forma aggiungendo dei suffissi a fine parola e scambiando l’ordine delle sillabe. Oppure, per citare il classico del 1936, in Tempi moderni c’è uno dei primi usi del grammelot, cioè la produzione di suoni simili a quelli di una lingua, che in realtà non significano assolutamente niente; nel film Charlot, avendo infatti perso il testo della canzone che doveva recitare, decide di improvvisarla, improvvisarne il testo e di improvvisare anche la lingua usata nel testo.
In altri casi, invece, la lingua inventata altro non è che la lingua stessa letta al contrario come si vede nel film Sole ingannatore e in La casa. Oppure, sempre in un altro film di Sam Raimi, L’armata delle tenebre, si può notare come le parole per attivare il libro dei morti senza conseguenze nefaste: Klatu, Verata, Niktu, siano, in realtà, una citazione parodistica dal classico della fantascienza anni ’50 Ultimatum alla terra. Interessante anche vedere come lo stesso libro dei morti che appare nel film, il Necronomicon, che è un testo fittizio partorito dalla penna di H.P. Lovecraft, sia esso stesso collegato a un gioco linguistico di una pseudolingua. L’autore di questo oscuro testo finzionale è, infatti, un arabo di nome Abdul Alhazred, il cui nome, arabeggiante ma non arabo, altro non sarebbe, almeno secondo alcune interpretazioni, che la crasi della frase inglese all-has-read, colui che ha letto tutto, usata per indicare l’erudizione dell’autore.
È poi sempre dei primi anni ’80 il caso del film La guerra del fuoco. Ambientato nella preistoria, narra delle vicende di un gruppo di uomini primitivi che parte alla ricerca della scintilla del fuoco che il loro villaggio aveva fatto spegnere. I dialoghi sono praticamente ridotti al minimo e i protagonisti parlano solo attraverso suoni gutturali incomprensibili per qualsiasi uditorio. A curare questa lingua, a cui viene dato il nome di Ulam, è stato Anthony Burgess, autore del libro da cui Kubrick ha tratto Arancia meccanica. In quel romanzo distopico Burgess ha, difatti, inventato un vero e proprio dialetto giovanile, da lui chiamato Nadsat, che mescola all’inglese vari termini ed espressioni prese in prestito dal russo. Nella traduzione italiana, curata da Floriana Bossi, le influenze russe sono state sostituite da parole dialettali, neologismi e onomatopee. Sempre per La guerra del fuoco fu richiesta anche la consulenza dell’antropologo primatista Desmond Morris, che curò la parte relativa alla comunicazione gestuale tra primitivi.
Sempre nello stesso decennio avvenne la creazione della lingua inventata che più di tutte è diventata di culto: il Klingon. Lingua aliena dell’universo di Star Trek e nata dalla mente di Mark Okrand e James Doohan, è entrata ufficialmente nell’immaginario comune e viene ormai popolarmente associata al mondo nerd. La lingua, già citata in episodi precedenti della saga, viene però strutturata come un vero e proprio idioma solo grazie al lavoro del linguista Mark Okrand che, nel 1985, ne pubblicherà anche una grammatica per spiegarne il funzionamento. Da notare come i creatori abbiano voluto darle dei tratti linguisticamente inusuali, ad esempio delle consonanti che hanno un’occorrenza bassissima nelle lingue naturali, e un ordine delle parole che rende le sue frasi anti-intuitive. Il loro ragionamento si basa sul fatto che se la lingua rispecchia la logica del pensiero del parlante, una lingua non terrestre deve quasi necessariamente avere qualcosa che la allontana dal nostro modo di pensare.
Se la creazione di lingue inventate si adatta molto bene ai generi cinematografici del fantascientifico e del fantasy questo non è però sempre necessariamente vero. Un buon esempio è la pellicola di Francis Ford Coppola Un’altra giovinezza dove il personaggio interpretato da Tim Roth, non a caso un linguista, decide di inventare una lingua segreta dove nascondere le sue ricerche. Una lingua che solo un computer del futuro sarà in grado di decifrare. Spostandoci più nel presente, si può vedere come i nomi più quotati siano sicuramente quelli di Paul Frommer e David J. Peterson. Il primo per aver collaborato con James Cameron alla creazione della lingua Na’vi nel film Avatar, e il secondo per essere il creatore e curatore delle lingue inventate per la serie HBO Il trono di spade. Peterson, giovanissimo linguista di Berkley, è anche uno dei fondatori della Language Creation Society, gruppo di ricercatori e appassionati il cui interesse è quello dell’invenzione linguistica. Peterson ha quindi iniziato a collaborare con HBO per la creazione del Dothraki e dell’High Valyrian, rispettivamente la lingua dei guerrieri barbarici e quella delle classi alte.
Interessante notare come per queste lingue siano state create delle vere e proprie espressioni idiomatiche che possano riflettere anche la cultura dei parlanti finzionali che rappresentano. Queste ultime lingue artificiali, insieme al Klingon – di cui, tra l’altro, esiste anche l’intera traduzione dell’Amleto – sono ormai considerabili slegate dall’ambiente che le ha generate, perché continuano a evolversi autonomamente grazie all’interesse delle comunità di fan. Ma anche se il livello di perfezionamento di questi idiomi sintetici può raggiungere un grado di verosimiglianza altissimo, con le lingue naturali, molte volte, sono le espressioni non decifrate a essere, e rimanere, le più affascinanti. Nel già citato caso del film di fantascienza del ’51 Ultimatum alla Terra è proprio una frase nella sconosciuta lingua aliena a fermare la furia del robot che intendeva distruggere il pianeta. Da allora sono state moltissime le interpretazioni e i tentativi di traduzione, ma Klaatu, Barada, Nikto rimane ancora intradotta, come anche il dantesco Papè Satan Aleppe. E in entrambi i casi è proprio quest’aura di mistero che ce le fa ricordare ancora oggi.