Contro Emmanuelle 2024
La ricca borghese annoiata e l'erotismo con le mutande

Secondo Davide Pulici (nel commento In difesa di Emmanuelle 2024 su questo stesso sito) la regista francese Audrey Diwan (che ha anche scritto e prodotto il film) non avrebbe avuto alcuna intenzione di creare una Emmanuelle versione 2024 che ricalcasse quella del 1976 di Just Jaeckin. Stavolta non sono d’accordo con Davide, al quale, fra l’altro, il film è piaciuto, ma Nocturno, da sempre, ha una regola ferrea: non ci sono “linee politiche” da rispettare, ognuno scrive ciò che pensa e il non essere d’accordo diviene un valore aggiunto, un vanto. Una assoluta rarità nell’attuale panorama di omologazione interna ai giornali.
Esaurita la premessa, diciamo subito che Emmanuelle 2024 in Francia è stato un flop e, a oggi, non è ancora chiaro se e quando uscirà in Italia. La Diwan, regista che ottenne un meritato Leone d’oro a Venezia78 per La scelta di Anne – L’Événement, avrebbe dichiarato di non aver mai visto il film di Jaeckin, ma di aver solo letto il libro da cui fu tratto, scritto dalla modella franco-thailandese Marayat Rollet-Andriane, che si firmò Emmanuelle Arsan, e nel 1967 pubblicò (all’inizio clandestinamente) quel libello ad alta tensione erotica. Anche se i ben informati (vedi Nocturno Dossier n. 35, giugno 2005) si dicono certi che a scriverlo fosse stato il marito, un alto funzionario dell’Unesco. Oggi, fra l’altro, la Diwan non avrebbe neppure potuto consultare i protagonisti della vicenda: la Arsan è morta nel 2005; Sylvia Kristel, la Emmanuelle del 1976, nel 2012; e Jaeckin nel 2022.
Di Emmanuelle (con una sola ‘m’ oppure con due, idem per la ‘l’) sono state realizzate ben 44 versioni, la maggior parte delle quali finalizzate a suscitare soltanto memoria erotica del libro della Arsan e della trasposizione in pellicola di Jaeckin. Sono film, fra cui quelli nostrani di Albertini e di Massaccesi, che hanno anche aperto la via a vari porno. Senza considerare i cable-tv come il ridicolo Emmanuelle vs. il Vampiro (2004) con la modella-animalista Natasja Vermeer, olandese come il conterraneo omonimo pittore del XVII secolo e come la Kristel. Insomma, nei Paesi Bassi Emmanuelle è un marchio di fabbrica come i mulini a vento e il formaggio a buccia rossa. Nell’opera della Diwan, prima ancora del titolo, quasi a sottolineare il peso mitologico della scena, Emmanuelle è su un volo per Hong Kong durante il quale si fa scopare nel bagno dell’aereo da uno sconosciuto che la osserva mentre lei scoscia a tutto spiano: un rapporto da tergo, rigorosamente in sottoveste, che dura 41 secondi. Ma chi è questa Emmanuelle? L’interprete è una Noémie Merlant solitamente brava, ma qui fredda come un iceberg, persino odiosetta nel suo navigare nel lusso pur detestandone interiormente, con piglio radical-chic, i canoni quotidiani, ed eccitante, per uno spettatore che si attende ben altro, come la Ines Orsini di Cielo sulla palude, lo storico biopic su Maria Goretti.
Nel film, Merlant è una hotel tester, ovvero chi controlla in modo anonimo i grandi alberghi di lusso individuandone le criticità e usufruendo gratuitamente di tutti i servizi della struttura, in pratica godendosi ogni giorno i raffinati, minimi menù di nouvelle cuisine (che sembra schifare), la Spa, le nuotate in piscina con un costume a mutanda ascellare in stile Fantozzi, e leggiucchia… Mica male come lavoro. Per ammazzare il tempo, Emmanuelle si porta a letto una coppia, eccita un cameriere asiatico, si depila parzialmente il pube nella vasca della sua ricca suite, visiona il centro telecamere e incontra la misteriosa direttrice dell’hotel (una sprecatissima Naomi Watts utilizzata come calamita hollywoodiana dalla produzione). Così il film si sviluppa, in costante progressione geometrica pari alla mortale noia resa ancor più insopportabile da inspiegabili scelte registiche: primi piani su una cameriera che lucida il corrimano di una scala o di una ricca attempata ospite cinese dell’hotel che usa platealmente lo stuzzicadenti sulla sdraio della piscina. E poi primissimi piani “antonioniani” di oggetti: un vaso di fiori; un paio di pantofole con il logo dell’hotel Roswefied (in realtà il lussuoso St.Regis di Hong Kong dove il product placement impazza); un pesce morto esposto al buffet del ristorante in attesa di essere divorato dai commensali.
Stufa di questa vacanza di lavoro “asfissiante”, Emmanuelle diviene l’amante di una cinesina tutto pepe che legge Cime tempestose di Emily Bronte: con lei pratica sesso visivo (la ragazzina le si masturba davanti e lei fa altrettanto, ma nulla si vede nella sua completezza, solo sguardi godereccci). Il massimo momento erotico fra le due, lo offre la giovane hongkonghese quando ficca un dito in bocca a Emmanuelle dopo esserselo leccato. Poi, improvvisamente, la cinesina sparisce e, per ritrovarla, Emmanuelle decide di cercarla nei bassifondi di Hong Kong: in vestitino chiffon di seta, chiede informazioni a due tipacci che nella realtà l’avrebbero lasciata in mutande, ma nel film la conducono in una bisca dove la bella “avventuriera” re-incontra un globe-trotter belloccio eurasiatico con il quale aveva avuto scambi di sguardi e qualche chiacchiera esistenziale nel bar dell’hotel. Sarà lui a condurre Emmanuelle nel torbido, ma per lei affascinante, microcosmo dei borderline, laddove la Nostra accetterà di farsi scopare da un ragazzotto cinese sotto la direzione dell’eurasiatico di cui sopra, che aveva ormai appeso il cazzo al chiodo e adesso può finalmente risvegliarlo da un lungo depressivo letargo, sia pur autonomamente. Lui coordina in francese (per lei) e in cantonese (per lui). Questa sarebbe la scena più spinta del film dove Emmanuelle, quando le bretelle del vestito trasecolano, mostra finalmente appieno le tette e, fra cunnulingus e scopata, il cinese ingaggiato ad hoc impiegherà un minuto e 12 secondi a venire e a far venire lei. Nel corso del film ci siamo dovuti sorbire persino la scena (un cult ormai trito grazie a 9 settimane e 1/2) di Emmanuelle che si spalma addosso, godendo, i cubetti di ghiaccio, ma tenendo addosso le mutande.
Che significa questo film? Vorrebbe insegnarci che la ricca borghesia sprecona (nell’hotel di lusso chili di ottimo cibo vengono quotidianamente gettati nella spazzatura) è prigioniera della propria condizione e non riesce a liberarsene? L’angelo sterminatore, il capolavoro di Buñuel, in versione mid-cult? Mah… Emmanuelle, però, sarà la sola a capirci qualcosa con la sua fuga fra i poveri (scopatori). E lì, solo lì, avverrà la sua catarsi (femminista?). Stop. Buio in sala, mezza vuota, mi ha riferito un’amica francese che ha visto il film al cinema.
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