Dario Argento: ascesa e caduta del re dell’horror/thriller italiano
Attendendo Occhiali neri, un excursus tra zenit e nadir del Maestro
Budget relativamente consistenti e grossi incassi: i film horror sono spesso caratterizzati da questo assioma e forse anche per questo, nonostante la crisi delle sale, il cinema continua a puntare su questo genere (si vedano i recenti successi di Candyman, A Quiet Place Part II e The Conjuring: The Devil Made Me Do It). In Italia, il Re indiscusso di questo filone del grande schermo è Dario Argento, regista riconosciuto anche a livello internazionale come uno dei più grandi geni del thriller/horror, con attestati di stima da colleghi celebri come Quentin Tarantino, John Carpenter, John Landis. Per Argento, l’ascesa dietro la cinepresa inizia nel 1970 con il suo esordio ufficiale alla guida di L’uccello dalle piume di cristallo, prima tappa della “Trilogia degli animali”, che insieme a Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio lo porterà alla ribalta come il maestro del thriller. Con questi film Argento si guadagna il soprannome di Hitchcock italiano e nel 1975, dopo Le cinque giornate del 1973 (ricostruzione dell’omonimo accadimento storico ottocentesco e unico titolo della sua filmografia decisamente fuori tema), torna alle origini con Profondo rosso. Grazie a questo thriller barocco acclamato dal pubblico italiano (un po’ meno dalla critica) Argento inaugurerà una proficua collaborazione per la realizzazione delle colonne sonore con il gruppo progressive rock italiano dei Goblin.
Nel 1977 Suspiria apre il vero capitolo horror della carriera del regista. Una fiaba gotica riletta in chiave moderna che aprì la Trilogia delle Tre Madri (insieme a Inferno e La Terza Madre) e raccolse l’approvazione della critica e del pubblico estero, mentre in Italia fu accolto in maniera tiepida, non sfondando al botteghino e ricevendo recensioni contrastanti. Il film, da molti, è considerato l’apice della carriera di Argento e nel 2018 vi è stato anche un remake ad opera di Luca Guadagnino. Tenebre del 1982 rappresenta l’ennesimo gioiello nella filmografia del regista, un ritorno al giallo-thriller ricco di suspense e deviazioni psicotiche tipiche delle maniere del regista. Dopo il discreto successo di Phenomena del 1985, arrivò nelle sale Opera, considerato da molti come l’ultimo picco artistico del regista. Uscito nel 1987, questo film è uno dei preferiti dal pubblico “argentiano” ed è un ampio approfondimento dei temi classici della filmografia del regista con set lunatici, voyeurismo ipersessualizzato e violento, soggettive invadenti e caotiche che incrementano il panico nello spettatore.
Dopo venti anni di carriera con acclamazioni da pubblico e critici (non sempre unanimi) e dieci film (undici, considerando la co-regia de Il gatto nero con George A. Romero), la parabola ascendente del regista raggiunge il suo zenit, ma nel 1993 arriva la prima precipitosa caduta con Trauma. Nonostante la solita regia ben curata, con stilemi e inquadrature da artista della cinepresa e un impianto molto simile alle dinamiche giallo-thriller di Profondo Rosso, il film non brilla né per la colonna sonora (affidata a Pino Donaggio invece che ai Goblin) né nella performance complessiva degli attori, avendo un effetto finale dal retrogusto di minestra riscaldata. Seguono altre prove non entusiasmanti come La Sindrome di Stendhal del 1996, Il Fantasma dell’Opera del 1998 e Nonhosonno del 2001.
La prima vera bocciatura per il regista, con rispettiva messa alla berlina da parte di pubblico e critica, arriva però con Il Cartaio. La pellicola, uscita nel 2003, è uno dei più grandi flop di Argento ed è incentrata su un killer appassionato di poker online. La trama, derivata senz’altro dal successo delle sale da gioco digitali nei primi anni del 2000 e in particolare della modalità dell’hold’em, esploso all’epoca come una vera e propria tendenza tra tavoli spin & go, bloody river e all in, fu sviluppata in maniera troppo prevedibile e scontata. Oltre alla regia piatta e quasi elementare, a deludere particolarmente fu la prova degli attori protagonisti (una “stralunata” Stefania Rocca e un improponibile Silvio Muccino, su tutti), mentre alla sceneggiatura debole si accompagnava una messa in scena sconclusionata, priva di tensione e dove i brividi bisognava immaginarseli. Una fiction da “terza serata”, mal riuscita, che Argento provò a cancellare con La Terza Madre del 2007, deludente capitolo finale della Trilogia della Madri.
Andò anche peggio nel 2011 con Giallo, sbandierato “ritorno al thriller” del regista. Un film che risulta, infatti, “fuori giri”, sia dal punto di vista della sceneggiatura (prevedibile e quasi di livello dilettantistico) sia tecnicamente (inquadrature monocordi e fotografia sciatta). L’apoteosi del decadimento è però targato 2012: risale infatti a questo periodo Dracula 3D, dove il maestro dell’horror corre il serio rischio di esporsi al pubblico ludibrio. La fotografia del film è, infatti, paragonabile a una fiction televisiva sulla falsariga di Centovetrine, la recitazione scadente degli attori rasenta il grottesco mentre gli effetti speciali raffazzonati sono al limite del pacchiano (si raschia il fondo con Dracula che si trasforma in una mantide religiosa). Nel 2022 uscirà Occhiali Neri, diciannovesimo lungometraggio del maestro ultraottantenne. Si parlerà di ritorno al successo o dell’ennesimo flop argentiano? Ai posteri l’ardua sentenza.