David Robert Mitchell, regista di It Follows
Intervista con l'autore dell'horror cult
Nato nel Michigan nel 1974, David Robert Mitchell, regista di It Follows, si è fatto conoscere nel 2010 con The Myth of the American Sleepover, ambientato in un’estate di provincia tra adolescenti in cerca dei primi amori. Quattro anni dopo ha stupito tutti con It Follows, diventato ben presto uno degli horror indipendenti più importanti degli anni 2000. Attualmente sta lavorando a Under the Silver Lake, un noir con Andrew Garfield
Saresti d’accordo, David, nel definire It Follows come uno slasher esistenziale in cui gli adolescenti allontanano la morte grazie al sesso, invece di essere puniti perché lo fanno?
Sì, mi pare un’analisi valida. Il mio scopo non era chiaramente quello di fare un film puritano. Nel modo in cui i personaggi si avvicinano al sesso c’è ansia e paura, certo, ma, allo stesso tempo, vi trovano una sorta di libertà e di sicurezza, anche se è solo qualcosa di temporaneo. Non è che sfuggano alla morte attraverso il sesso, non sono mai del tutto fuori pericolo. Ma nella vita reale siamo mai davvero fuori pericolo? Siamo tutti mortali.
A volte avevo l’impressione di trovarmi di fronte a una specie di puntata metafisica di Scooby-Doo. Attenzione eh, io amo Scooby-Doo!
(Ride) C’è un po di questo, certo! It Follows è un film che può essere divertente, a volte, anche con una certa leggerezza nei personaggi. Naturalmente, l’atmosfera è pesante, ma c’è dello humour. Ho cercato di divertirmi con questa stravagante gang, e di qui alcuni aspetti lievemente da cartoon. Per esempio, la separazione netta tra il mondo degli adulti e quello degli adolescenti ricorda un po’ Snoopy. E, in effetti, ci deve essere un po’ di Scooby-Doo da qualche parte nel film…
Gli eroi di It Follows sembrano essere attanagliati dalle stesse paure presenti nel tuo primo film, precedente a questo, The Myth of the American Sleepover: la paura di invecchiare, di vedere il tempo scivolare tra le dita. Questa angoscia che dominava The Myth of the American Sleepover, si è trasformata in un mostro vero e proprio in It Follows?
Assolutamente. Ci sono, con tutta evidenza, delle similitudini tra i due film. Non so se ho consapevolmente cercato di fare una sorta di “specchio” di The Myth of the American Sleepover. L’obiettivo era piuttosto quello di prendere dei tratti specifici di alcuni dei protagonisti di The Myth of the American Sleepover, di dare loro qualche anno in più e di immergerli in un incubo. Questo è il motivo per cui ci sono, senza dubbio, delle “connessioni nervose” tra queste due storie. Diciamo che ho voluto prendere alcune cose cercando di ottenere un risultato diverso.
Detroit sembrava essere la città perfetta per raccontare una storia di adolescenti che hanno paura di invecchiare: la città stessa sembra essere invecchiata più velocemente di altre metropoli americane…
È vero, sono cresciuto nei sobborghi di Detroit, sono andato al college nel centro della città, è un luogo importante per me. È per questo che i miei due film che si svolgono lì. Anche se si tratta di una versione leggermente distorta di Detroit.
Ben diversa, infatti, dalle immagini di Épinal che siamo abituati a vedere.
Ecco! Era importante per me che It Follows si svolgesse a Detroit, specialmente per questa specie di separazione molto netta che esiste tra la città stessa e la sua periferia. Si tratta di un tema che mi è caro.
Inoltre, una volta che i protagonisti si spostano da una zona all’altra della città, vedono dei luoghi deserti, spaventosi…
Per essere onesti, ci sono molti luoghi meravigliosi in questa città. Ero nervoso all’idea di sfruttare la povertà di alcuni punti, ma ho voluto mostrarli, per dare una visione della separazione tra la periferia e il centro. Ricordare che persone e luoghi sono stati letteralmente abbandonati. Questo è un livello che avevo bisogno di aggiungere al film.
A proposito del tuo “uomo nero” dai molti aspetti, come hai scelto ciascuna delle sue incarnazioni? A seconda delle sensazioni che volevi suscitare negli spettatori a seconda elle varie scene?
Quando ho scritto quelle scene, ho provato a giocare con le convenzioni di genere. Queste diverse versioni di “It” sono lì per spaventare la mia eroina, o per sconvolgerla, o perché lei neppure lo noti… A volte era solo questione di trovare un modo originale per questo personaggio di irrompere in una certa scena. Ma mi è difficile dire esattamente perché ho scelto questa o quella versione di “It” in momenti specifici. Durante la scrittura, ho semplicemente cercato di definire cosa mi avrebbe messo a disagio per poi portarlo sul grande schermo.
Ma è un vero e proprio festival di boogeymen: la nonna raccapricciante, il ragazzo raccapricciante, l’adulto raccapricciante…
Sì, abbiamo riunito parecchi “classici”, tutti troveranno qualcosa che li soddisfi! (ride)
Devo dire che ho trascorso la maggior parte del tempo, in It Follows, a tenere d’occhio gli sfondi, per vedere se qualcuno cominciava a camminare in linea retta verso la macchina da presa. Di fatto, sei riuscito a creare la paura con effetti minimi. Quando hai capito che la forza della tua idea, era proprio la sua semplicità?
Onestamente, era un gioco d’azzardo. Nella mia testa, funzionava molto bene e avevo l’impressione che funzionava sulla carta. Ma è anche una sorta di atto di fede: riuscirà ad essere davvero spaventoso vedere persone che camminano lentamente in background? Per me, sì. Eppure, quando si girano alcuni di questi passaggi, sul set, non sono assolutamente spaventosi. Ciò che fa in modo che poi funzionino è come vengono gestiti. Se lo facciamo bene, lo spettatore resterà in attesa durante queste sequenze. L’inquadratura è stata progettata perché il pubblico dica a se stesso che farebbe meglio a sorvegliare gli angoli dell’immagine, perché potrebbe esserci qualcosa. Dopo che è accaduto una volta davanti ai loro occhi, gli spettatori saranno portati a chiedersi quando accadrà di nuovo.
Molti registi utilizzano il 2.35 per riempire il fotogramma, mentre tu usi questo formato per mostrare l’ansia del vuoto all’interno dell’inquadratura, o per ciò che questo vuoto potrebbe contenere. Avevi già utilizzato questo formato per il tuo primo film. L’hai studiato a fondo…
Potrei certamente girare con altri rapporti di immagine, dipende dal progetto. Di sicuro io amo il Cinemascope. Ci sono così tanti film meravigliosi realizzati in questo formato. Ma l’1.33 ti permette di fare dei primi piani magnifici, per esempio. Li amo tutti, in realtà, i formati, ma mi piace avere l’opportunità di far respirare l’immagine, di utilizzare il vuoto e di far sentire allo spettatore l’estensione dello spazio in cui i personaggi si muovono. Mi piace anche utilizzare obiettivi larghi, ci sono delle inquadrature fatte con lo zoom, ma ho soprattutto lavorato con 14, 18, o 25 mm. Tutte queste scelte fanno parte del desiderio di creare un mondo strano e stravagante in cui si sente che qualcosa non va.
Studiando la luce per It Follows con il tuo direttore della fotografia, avete preso spunto dai classici anni ‘80 dello slasher urbano come Halloween o Nightmare?
Non proprio, in ogni caso, non abbiamo cercato di copiare lo stile di questi film.
Però c’è qualcosa che sposta il tuo film verso questi territori, come la prima inquadratura in cui ci sembra di essere nella Haddonfield di Halloween…
Sì, sì, certo. Abbiamo specificamente pensato la scenografia perché evocasse gli anni ‘70 e ‘80, pur incorporandovi elementi moderni. A volte è una questione di illuminazione o composizione. Diciamo che non abbiamo mai parlato specificamente di Halloween o di un altro slasher, ma quello che è certo è che noi assolutamente non vogliamo assomigliare ai moderni film horror, e da qui deriva l’mpressione di essere un po’ fuori dal nostro tempo. Ma mentirei a dire che Nightmare o Halloween non mi hanno influenzato. Sono cresciuto guardando questi film.
Nei tuoi due film, l’elemento acqua è molto presente, soprattutto nei momenti cruciali per i personaggi nella loro ricerca della verità …
(Ci pensa a lungo) Non ho mai cercato di analizzare il mio interesse per questo elemento oppure il motivo della sua presenza nei miei film. Credo che il suono dell’acqua, la sua consistenza o la sua vicinanza, possano cambiare l’umore di una persona. E penso che questo possa avere un effetto sul pubblico. Quando si vede o sente l’acqua, ci si immagina automaticamente dentro. Così mi dico che questo può creare un collegamento quasi fisico tra il pubblico e il palco. Qualcosa di, letteralmente, “immersivo”…
Per te l’elemento acqua svolge anche una funzione purificatrice, accompagna i personaggi quando si verifica un cambiamento maggiore nella loro vita, o quando superano uno stadio importante…
Beh, non ci avevo mai pensato, ma è interessante.
Il sound design è fondamentale in It Follows. Come hai gestito questo aspetto del film?
A questo ho posto un sacco di attenzione. Amo mettere molta attenzione nei dettagli. It Follows alterna suoni forti, pesanti, abrasivi e passaggi delicati, impressionisti, che lasciano vivere l’ambiente. Mi piace l’idea, proprio come accade con l’acqua, che il suono aiuti il pubblico a connettersi all’ambiente di una sequenza. L’ambiente è molto importante per me.