Dove il sesso vero intercetta l’estremo
Non potevamo non approdare all’unsimulated sex come parte della formula di quel cinema che cerca di proiettare se stesso oltre i confini dell’umana buona creanza...
Quello che di fatto doveva essere il tema portante di questo capitolo, ovvero l’innesto della violenza o dell’orrore nell’ambito del cinema con sesso non simulato, si è quasi subito arenato di fronte a due elementi incontrovertibili: in primis, la genericità del tema rischiava di trasformare il tutto in una sorta di asettica lista della spesa di film scandita da “pompino al minuto 22, decapitazione al minuto 33, ammucchiata finale”; in secundis, la considerazione che sul tema la triade Despéntes, Noé e Von Trier ha già detto e mostrato tutto, o quasi. Da qui l’ultima ratio di fare una disamina di poche selezionate pellicole europee contenenti sesso non simulato (condito o meno da violenza) e del loro potenziale di creare ancora scandalo o discussioni. Che poi, a pensarci bene, equivale a fare un’altra lista della spesa, ma tanto non se ne esce.
SERBIAN SHOCKS
A quanto pare, il nuovo asse della perversione viene da Est e in tal senso, non si può che iniziare con l’oggetto venefico che nella primavera del 2010 ha nuovamente oliato la scure della censura mondiale; ça va sans dire, stiamo parlando di A Serbian Film. Il dubbio se includerlo o meno nel dossier era forte, dal momento che le scene di sesso più esplicite fanno largo uso di effetti speciali, ma tutto sommato sono gli stessi artifici (magari con più cazzi di gomma e meno insert digitali) adoperati da Von Trier, ispiratore di questo dossier.
Ricordate quella sensazione di libertà espressiva che si respirava nell’anno di grazia 2010? Grazie alla pattuglia di blasonati provocatori come Noè, Seidl o Von Trier, c’era la consapevolezza che tutto ormai potesse essere mostrato e che le maglie censorie si fossero così allargate da rendere superfluo qualsiasi organo di censura o autoregolamentazione. All’improvviso, spuntato quasi dal nulla, si fa strada nei vari Festival un terremoto cinematografico intitolato A Serbian Film, diretto dall’esordiente Srdjan Spasojevic, e co-sceneggiato da Aleksandar Radivojevic (suo lo script del notevole Tears for Sale del 2008).
Del film abbiamo già scritto su Nocturno ad nauseam, ma al lettore novello giovi sapere che tratta di Milosh, un porno-attore in pensione costretto da necessità economica a rispolverare il ferro del mestiere per un misterioso film porno-verità prodotto dal mefistofelico Vukmir. Quando Milosh si trova a girare le prime scene in un orfanotrofio, capisce che sotto c’è qualcosa di pericoloso e aberrante; il putrido menu di A Serbian Film comprende sesso e splatter a volontà, violenza sessuale su adulti, bambini e neonati (nella sequenza più controversa del film) e una bella dose di necrofilia, con contorno di evirazioni, denti strappati per facilitare pompini forzati e penetrazioni oculari.
Tutto in bella mostra, in un tripudio di sangue e sperma talmente ben simulato da essere quantomeno verisimile. Se si fosse trattato del solito miserevole straight to video girato con un pugno di dollari nello scantinato di casa da nerd brufolosi in vena di scioccare i parenti (avete presente roba tipo The August Underground?) lo scandalo si sarebbe presto sgonfiato con un bel “complimenti, bello schifo!” e fine lì; A Serbian Film, però è qualcosa di diverso in quanto Film con la f maiuscola, formalmente ineccepibile e forte di un budget di circa due milioni e mezzo di Euro.
Il primo evento eclatante che lo accompagna è il grido d’allarme lanciato dalla BBFC, l’organo censorio britannico, che per la prima volta dopo 10 anni di liberale silenzio, impone tagli per più di 4 minuti; pena la mancata certificazione ovvero l’impossibilità di farlo uscire in sala o in home video. Questo improvviso risveglio dei guardiani della morale genera una reazione a catena censoria (in pieno stile video nasties) contro ogni film contenente atti di violenza sessuale e a farne le spese sono il torture porn nipponico Grotesque, l’atroce The Bunny Game (vedi box) e il notevole The Human Centipede II, tutti messi al bando senza troppi complimenti.
Presto altri Paesi (come le liberali Spagna e Norvegia) seguono le orme del Regno Unito, mettendo al bando il film serbo maledetto e i suoi epigoni. E chi lo proietta rischia grosso, come è successo all’allora direttore del Festival di Sitges Angel Sala, sottoposto a processo penale (da cui verrà assolto) per presunta istigazione alla pedopornografia. Di fronte a tutto questo vespaio c’è da chiedersi “fu vera gloria (o infamia)”? La risposta non è facile perché, se da una parte bisogna comunque difendere a priori la libertà espressiva, c’è anche l’amara constatazione che forse stavamo bene anche senza A Serbian Film ed il suo carnevale di atrocità. Perché, ad essere sinceri, al netto della sua ottima confezione e della potenza delle immagini, di una carnevalata si tratta, checché ne dicano gli autori del film in questione.
Spasojevic e Radivojevic hanno, infatti, provato a difendere la loro infame creatura con pretese di metafora sociale, sostenendo che le atrocità messe in scena nel film rappresenterebbero quello che la Serbia ha dovuto subire negli ultimi 20 anni: vittimizzata, stuprata e poi demonizzata dai governi mondiali. Può essere, certo; come può essere che gli stupri etnici fossero solo un’operazione di peacekeeping mal interpretata. Ed è forte il sospetto che a bersi questa tesi si finisca col trovare in Planes della Disney una riflessione sullo stato dell’aviazione civile post-11 Settembre.
La semplice verità, almeno secondo chi scrive, è che i due enfants terribles, con l’arma della provocazione gratuita, abbiano più che altro cavalcato la pericolosa onda del risveglio nazionalista serbo. Sotto questo profilo, il secondo film scandalo proveniente dalla Serbia, ovvero Clip (2012), diretto dall’ex attrice Maja Milos, rifulge per onestà intellettuale. Scandagliando la teenage wasteland giovanile del suo Paese, la Milos confeziona con un efficacissimo taglio da docu-fiction una cupa storia di formazione adolescenziale e discesa agli inferi, che ha come protagonista Jasna, una ragazzina di Belgrado come tante. Incurante di tutto e di tutti, compreso il padre che sta morendo di cancro, Jasna sogna il successo immediato come diva pop, usa il suo corpo perfetto per trionfare in popolarità sulle sue coetanee e riprende tutto con il suo smartphone, con la classica bulimia da social network, in cui se non sei in mostra non esisti.
Per conquistare il suo Maschio Alfa, l’hooligan Djole, Jasna non esita a farsi trattare come una cagna o a farsi imbottire di cocaina e speed. Ah già, dimenticavamo di dire che l’interprete di Jasna, la magnetica e felina Isidora Simijonovic, aveva solo 14 anni al momento delle riprese. E, nonostante un cartello nei titoli di coda sottolinei che per alcune scene di sesso sono state usate controfigure maggiorenni, la ragazzina ci dà giù di brutto con fellatio tutt’altro che simulate e rapporti sessuali degradanti.
Sarà pur vero che in alcune scene, come quella del primo rapporto anale, sia stata usata una controfigura, ma sfidiamo chiunque a trovare l’artificio nelle scene di sesso orale. In ogni caso, al netto di ogni considerazione pruriginosa, Clip colpisce duro perché è implacabilmente onesto nella sua rappresentazione di una generazione cinica e indifferente, alimentata a pop e rigurgiti nazionalisti e che risponde solo ad esigenze di dominio e territorialità (corporea o nazionale). E in questo si configura come l’antitesi matura alle infantili provocazioni di A Serbian Film. Fortunatamente, con Clip lo scandalo c’è stato, ma con una portata limitata (risulta solo bandito in Russia) e il film è miracolosamente uscito anche in Italia, dove, tanto per cambiare, non se l’è filato nessuno.
LA VARIANTE UNGHERESE
Sempre rimanendo nell’ambito dell’ex blocco sovietico, prima ancora della Serbia, l’Ungheria aveva già dato prova di essere un ottimo agent provocateur con Taxidermia (2006) di György Pálfi, folle e visionario pot-pourri di sesso estremo, horror, parodia del cinema di regime e macabra poesia. Certo, siamo dalle parti del cinema d’autore destinato a palati fini e platee da Festival, ma come oggetto cinematografico è una gioia (o un supplizio, a seconda della sensibilità) per gli occhi.
La trama (ammesso che la si possa definire tale) è incentrata su tre generazioni di personaggi repellenti, a partire dal capostipite Morosgovanyi, segaligno e deturpato attendente militare, in grado di eiaculare lingue di fuoco. Mentre si accanisce sessualmente con la carcassa di un maiale macellato, il soldatino sogna di scoparsi la grassa moglie del tenente al quale è assegnato (amplesso tutt’altro che simulato). Per una strana osmosi, la donnona rimane incinta per davvero e dà alla luce un grasso infante con coda suina, didi Taxidermiadestinato a diventare, con l’avvento del regime comunista, l’obeso Balatony, campione nazionale di abbuffate sportive. L’ultimo esponente di questa progenie di freak sarà l’imbalsamatore Lajoska, magro e ripugnante come il capostipite e destinato a morire mentre si auto-imbalsama. Ovviamente, il film si presta a decine di chiavi di interpretazione, ma è comunque un’opera malsana, affascinante e disturbante sospesa tra Lynch, Buñuel e Makavejev.
LA GABBIA OLANDESE
Quella che era l’ispirazione originaria del nostro viaggio (ovvero l’innesto del real sex in pellicole di genere altro) trova comunque un suo magnifico compimento nel (purtroppo) semi-invisibile Caged (2011), pellicola olandese scritta e diretta da Stephan Brenninkmeijer, 49enne esploratore filmico dell’immaginario erotico, che già aveva fatto parlare di sé nel 2009 con l’ottimo Swingers. La componente voyeuristica del cinema di Brenninkmeijer è innegabile, come però è innegabile il grande talento nel mettere in scena una sessualità non artefatta né intrisa di inutili calligrafismi.
A prima vista, Caged potrebbe sembrare come una variante più spinta del canonico (e ormai insopportabile) torture porn, ma ben presto ne prende le distanze. La vicenda, infatti, ha inizio con la protagonista Stella (interpretata con coraggio dalla 35 enne Chantal Demming, bellezza malinconica e trasudante erotismo puro e maturo) rinchiusa in uno stanzone da un misterioso rapitore. Narcotizzata, denudata e sottoposta a minacce di mutilazione e umiliazioni, Stella intuisce che il suo rapimento ha a che fare con la sua recente rinascita sessuale. In una lunga serie di flashback, scanditi da sedute di analisi e confessioni intime, assistiamo alla trasformazione di Stella da moglie insoddisfatta a curiosa avventuriera del sesso estremo, tra partouze, incontri occasionali, club di scambisti e una parentesi lesbica con una collega. Ma il dilemma rimane: chi è il maniaco che l’ha sequestrata? L’arrivo nella sua cella di un’altra prigioniera di nome Christine porterà gradualmente alla scoperta della verità e ad un violentissimo denoument finale. Aldilà di qualche sbavatura di sceneggiatura e di un intreccio thriller non all’altezza dell’esecuzione, Caged è il perfetto esempio di ideale compenetrazione tra forte componente sessuale (con amplessi poco simulati e sesso orale sfacciatamente vero), atmosfere horror ben dosate e una virata finale verso il grand guignol che non guasta.
EX DRUMMER E LO ZENIT DI UN NON GENERE
La nostra già arbitraria panoramica sulle sextremities europee sarebbe comunque terribilmente lacunosa se non citassimo col dovuto rispetto quello che, a parere di chi scrive, rimane tuttora la summa insuperata del binomio sesso e violenza, ovvero Ex-Drummer, l’esplosiva pellicola nel 2007 firmata dal talentuoso Koen Mortier. Furia punk, sesso non simulato (una breve ma significativa partouze), simulazioni esagerate di real sex e squarci di violenza ai confini con lo splatter sono le coordinate entro cui si muove questo capolavoro di nichilismo esasperato, definito sbrigativamente come il “Trainspotting belga”.
Il film ha come protagonista un abile manipolatore di vite e destini, lo scrittore-provocatore Dries. Con la cinica indifferenza di chi è già ricco e famoso, Dries recluta tre handicappati che vivono ai margini della società (un tossico sordo, uno skinhead con problemi di dizione e vizio dello stupro e un gay represso affetto da paralisi a un braccio) e con loro forma una band punk-rock, promettendogli fama e gloria.
Dopo avergli fatto annusare l’odore del successo, Dries sarà anche l’artefice della loro distruzione, in un’orgia finale di violenza che lascia sbigottiti. Immerso in un’atmosfera allucinata in cui realtà e grottesco si accavallano, Ex Drummer se ne fotte della coesione narrativa, frullando distorsioni sonore, cazzeggi intellettuali intenzionalmente pretestuosi e scene di epocale esagerazione (come la terribile sodomizzazione del povero roadie del gruppo da parte di un laido personaggio dotato di un cazzo aldilà di ogni aberrazione anatomica) in un vortice ipnotico che annienta e violenta lo spettatore. Che sia una provocazione d’autore non ci piove, ma come oggetto filmico rappresenta lo zenit di quell’arte dello shock e della commistione tra sesso e violenza, di fronte al quale il pur scioccante A Serbian Film fa la figura del Pierino della situazione, buono solo a lanciare caccole nascondendo la mano.