Eternal Glow: Demi Moore vs Nicole Kidman
Da The Substance a Babygirl, l'industria cinematografica dell’eterna giovinezza

Due icone di Hollywood, Demi Moore e Nicole Kidman, hanno recentemente interpretato ruoli che mettono in luce temi come la complessità dell’invecchiamento, il successo e la percezione del corpo femminile. In The Substance di Coralie Fargeat, Moore incarna Elisabeth Sparkle, guru dell’aerobica televisiva ossessionata dal suo aspetto, mentre in Babygirl di Halina Reijn, Kidman interpreta Romy Mathis, potente CEO coinvolta in una relazione con un giovane stagista. Due copioni che narrano storie attraverso i corpi delle dive protagoniste, messe letteralmente a nudo, come direbbe la cronaca rosa, che in modo più o meno ingenuo definisce audace – o peggio ancora “coraggiosa” – l’esposizione del corpo durante la menopausa. Pur appartenendo a generi diversi, in entrambi i film i ruoli delle protagoniste sembrano essere scritti quasi su misura per le loro interpreti, attingendo direttamente dall’immagine pubblica che hanno costruito negli anni. Demi Moore e Nicole Kidman si sono affermate come scintillanti icone sexy tra gli anni ’80 e ’90, incarnando un ideale di bellezza patinata, ma anche subendo in prima persona le pressioni di un’industria che pretende un’immagine forever young.
La carriera di Demi Moore decolla assieme a quella del Brat Pack con St. Elmo’s Fire (1985) e About Last Night… (1986) per consacrarsi definitivamente nel ruolo della fidanzata di un fantasma in Ghost (1990). Negli anni ’90 – dopo il successo di Proposta indecente – diventa l’attrice più pagata al mondo recitando ruoli di forza e sensualità nelle pellicole Streaptease (1996) e Soldato Jane (1997), dove esibisce un fisico statuario iper scolpito. Poco dopo, nel 2000, l’attrice si ritira quasi completamente dalle scene apparendo sporadicamente in qualche ruolo secondario.

Demi Moore in Streaptease di Andrew Bergman (1996), Nicole Kidman in To Die For di Gus Vas Sant (1995)
Nel suo memoir Inside Out, pubblicato in Italia da Fabbri nel 2020, Moore spiega l’ossessiva ricerca della perfezione fisica, scrive che si è sempre sentita sotto pressione, soprattutto quando le veniva chiesto di perdere peso per interpretare alcuni ruoli. “Tutto quello a cui riuscivo a pensare era il mio corpo, il mio corpo, il mio corpo”, scrive Moore. “Ci sono stati momenti un po’ imbarazzanti e umilianti, come quando mi veniva detto di perdere peso, ma non era niente di peggio di quello che stavo facendo a me stessa. Era la voce dentro di me”. L’attrice racconta di aver avuto seri disturbi alimentari e una dipendenza ossessiva dall’allenamento: “Quando giravo Striptease, per colazione misuravo mezza tazza di avena e la preparavo con acqua, poi per il resto della giornata mangiavo solo proteine e un po’ di verdura, e questo era tutto”. Questo vissuto personale rende ancora più potente il suo ruolo in The Substance dove l’ex diva Demi/Elisabeth, appena compiuti i 50 anni, sperimenta una misteriosa – e pericolosa – sostanza per trasformarsi nella sua versione più giovane e tonica, interpretata da Margaret Qualley. Il film di Coralie Fargeat è un horror sulle pressioni dell’industria dell’intrattenimento, un tema che l’attrice conosce bene sulla propria pelle. «Quando ho letto la sceneggiatura, mi ha colpito profondamente», ha raccontato Moore in un’intervista, «Non è solo un body horror, è una riflessione su quanto ci viene chiesto di conformarci a un ideale impossibile».

The Substance di Coralie Fargeat (2024)
Tutto questo si potrebbe riassumere nella scena più potente e disturbante del film dove Demi/Elisabeth si prepara per uscire: un rito fatto di azioni compulsive che le impediscono di allontanarsi dallo specchio per ritoccare ossessivamente il make up fino a decostruire la sua immagine riflessa. Sequenza che riecheggia la ricerca della perfezione e la stessa pressione che Moore ha vissuto nella sua carriera quando il suo aspetto veniva analizzato e discusso.
Se in The Substance la vita di Demi Moore trova palese risonanza, Babygirl riflette in maniera diversa e meno personale il vissuto di Nicole Kidman. Entrambi i film, però, raccontano come due donne mature percepiscono il loro corpo che cambia. Sia Nicole che la CEO Romy sono donne di successo all’apice della loro carriera – diversamente da Demi Moore – e ossessionate dal loro aspetto estetico. Nicole/Romy sembra aver sviluppato una dipendenza alle punturine di botox, ha un aspetto un po’ algido, da boss che vuole avere il controllo su tutto. Ma, a un certo punto della sua vita, quando tutto sembra piatto e noiosamente sicuro, inizia una relazione pericolosa con il suo giovane stagista (Harris Dickinson), abbandonando le manie di controllo, sia nel sesso che in altri ambiti relazionali.

Demi Moore e Margaret Qualley in The Substance
Come Moore nel film di Fargeat, anche Kidman gira scene di nudo – integrali di schiena – che se da un lato rievocano la sensualità dei thriller erotici anni ’90, dall’altro offrono una visione più intima e vulnerabile, sfidando il paradigma del controllo assoluto che ha sempre caratterizzato la sua immagine pubblica. Nudi meravigliosi che non celano i segni del tempo e trasformano la vulnerabilità in un punto di forza. Il corpo nudo non è inteso come fine a sé stesso, ma come linguaggio visivo che rompe con le convenzioni mettendo in discussione gli standard estetici imposti da Hollywood. Stereotipi che Kidman continua a sfidare, sulla soglia dei 60, prosperando in un settore spesso criticato perché non contempla le donne, soprattutto quelle over 50. Dal 2017, infatti, l’attrice si è impegnata a collaborare con una regista ogni 18 mesi per affrontare le disparità di genere nell’industria cinematografica.

Babygirl di Halina Reijn (2024)
Babygirl si ammanta di un’aura patinata, a tratti quasi svenevole, riuscendo comunque ad andare a fondo della questione quando getta sul tavolo discorsi scomodi come quello del sesso a una certa età, del piacere kinky e del dialogo in ambito sessuale. E lo fa attraverso l’iconico corpo della Kidman assieme – con uno spazio secondario – a quello di un ex sex symbol come Antonio Banderas, scelta azzeccatissima. Compito portato a termine egregiamente rispetto al precedente A Family Affair (2024), dove Kidman intraprende una malriuscita avventura con il giovane muscoloso e mai così tonto Zac Efron. L’immaginario di Babygirl rievoca gli anni ’90 – in particolare le pellicole di Adrian Lyne – aggiornandolo, mostrando spontaneità e un piacevole velo d’imbarazzo nelle scene intime tra Kidman, Banderas e Dickinson.
«Ogni spettatore può guardare e giudicare. Il mio personaggio, e il modo in cui si comporta, riflette la mia passione nell’indagare cosa voglia dire essere umani. Babygirl mi ha lasciata esposta, vulnerabile, spaventata» ha dichiarato Nicole Kidman in un’intervista. Ritirando la Coppa Volpi per il suo ruolo in Babygirl ha aggiunto: «Sono stata così fortunata a questa età ad avere un ruolo di quella natura, di quella complessità e a dover fare quelle cose che normalmente non chiederesti a una donna di 50 anni perché è come se fosse troppo vecchia».

Nicole Kidman e Harris Dickinson in Babygirl
Decisamente più d’impatto lo speech di Demi Moore alla cerimonia del suo primo Golden Globe, vinto a 62 anni, per il ruolo in The Substance. Dal palco si è tolta qualche sassolino dalla scarpa, alla faccia di quelli che la definivano una popcorn actress: «Ho creduto a quelle parole e mi ha fatto male, la cosa è diventata così corrosiva col tempo che a un certo punto, alcuni anni fa, ho pensato che il mio tempo era finito, che ero fuori dai giochi, che per me non c’era più niente da dare. Finché non è arrivato sulla mia scrivania un copione coraggioso e completamente fuori dagli schemi e lì ho pensato che era un segnale dell’universo che mi diceva che non era vero che ero “spacciata”».
Kidman/Romy e Moore/Elisabeth aprono un dialogo necessario sulla rappresentazione dell’età e della sessualità nel cinema contemporaneo, entrambe con percorsi diversi che sfidano le aspettative di un’industria malsana. Ma in questa sfida a colpi di performance potenti, chi vince?
Se Moore torna agguerrita dal fronte per ribaltare le regole del gioco con un film radicale e spiazzante, Kidman è la stratega che da anni si muove con astuzia tra blockbuster e progetti d’autore, consolidando il suo potere senza mai perdere terreno. Due modi diversi di affrontare lo stesso sistema, due icone che – come le loro eroine – hanno trovato nuovi modi di (r)esistere sugli schermi. E se The Last Showgirl con Pamela Anderson fosse il prossimo capitolo di questo cambiamento? Hollywood sta davvero cambiando o stiamo assistendo a un’eccezione destinata a svanire?