Fargo – Stagione 2 comincia alla grande
Si ritorna agli anni ‘70, tra nerissimo noir e ironia…
Il primo episodio di Fargo – Stagione 2 (in realtà, ne abbiamo visti quattro), liberamente e magistralmente ispirata all’omonimo capolavoro cinematografico dei fratelli Cohen, non poteva trovare modo migliore per riallacciarsi alla stagione precedente: in soli 10 minuti, l’ambientazione a Sioux Fall ci riconduce alla vicenda del poliziotto nonché reduce dal Vietnam Lou Solverson (in origine interpretato da Keith Carradine), unico personaggio ritrovato, qui padre di Molly, bambina di sei anni che sappiamo seguirà le orme professionali del papà (potere preveggente dei prequel). La seconda stagione sarà ambientata, infatti, a Sioux Falls, South Dakota e a Luverne, Minnesota; e nella prima stagione, se ricordate, quando Malvo si ferma al locale di Lou, divenuto nel frattempo ristoratore, questi racconta di un massacro avvenuto proprio a Sioux Falls: «Probabilmente impilando i corpi si sarebbe potuti arrivare al secondo piano. Quell’anno ho visto qualcosa che non avevo mai visto prima e che non ho mai più rivisto dopo. La definirei una cosa bestiale, se non fosse per il fatto che le bestie uccidono solo per procurarsi il cibo».
Ma l’immediata immersione nei fatti del 1979, vale a dire 35 anni prima, proietta subito le vicende in un nuovo scenario, quello dell’America in crisi energetica ed economica e nel pieno di grandi trasformazioni sociali: sullo sfondo si susseguono discorsi del Presidente Carter, riferimenti e campagne politiche del futuro Presidente Reagan, apparizioni di ufo ma anche di macchine da scrivere nuovo modello elettrico IBM. La malavita organizzata è pure in crisi, i proventi dalle attività illegali non sono quelli di una volta, come si apprende da alcune scene che introducono la famiglia Gerhardt, fuorilegge organizzati di origine tedesca (e meno male che non sono sempre italiani!) in difficoltà interne (il boss di famiglia è stato colpito da un ictus) ed esterne (la guerra senza esclusione di colpi con una gang rivale). Un fatto di sangue commesso da uno dei figli, Rye, collegherà le vicende di questo nucleo a quelle della coppia Peggy ed Ed Blomquist (lei è una bravissima Kirsten Dunst), prototipo dell’America di provincia, sciampista lei macellaio lui, a cui fatti apparentemente casuali danno occasione di fare sfoggio del proprio potenziale di cinismo e violenza. Peggy rappresenta anche la donna in odore di femminismo nella provincia americana di fine anni ’70 (che, in realtà, sembra ferma a venti anni prima): la ragazza cerca di evadere crudelmente dal suo destino di moglie e madre devota a cui il marito Ed vorrebbe condurla, influenzata non poco da una collega già ben avviata alla ribellione contro il Maschio.
Non vogliamo rivelare di più, abbiamo molti elementi per credere che quello che arriverà nelle prossime puntate sarà un crescendo di colpi di scena tra ironia e noir, e che le nostre alte aspettative non andranno deluse. Noah Hawley si conferma lo scrittore ideale di questa serie, supportato da una fotografia da 10 e lode. I dialoghi assurdi e dissacratori, a cui ci hanno abituato i Cohen, non perdono mai il loro smalto, e la regia di Randall Einhorn sa dare a ogni scena, a ogni vicenda, il meglio in termini estetici e tecnici. E ci piace sottolineare come i paesaggi innevati di questa stagione nuova risplendano di un bianco diverso, meno fitto, che lascia sicuramente più spazio alla verità, che sia essa una verità storica, politica, sociale o processuale. E se ogni tanto tra il sarcasmo estremo e la violenza fa capolino qualche sentimento, si tratta di momenti ben misurati e inclusi con maestria: non c’è rischio di leziosità.