Frogs: l’Apocalisse inizia dallo stagno

Una delle pietre angolari del genere eco-vendetta
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«Supponete che la Natura dichiari guerra e che tutti ci vadano: i serpenti, gli uccelli, le lucertole e le rane. Supponete che gli inquinatori, la specie conosciuta sulla Terra come “Uomo”, sia il nemico in questa guerra. E supponete, infine, che la razza umana perda…». In Frogs di George McCowan i dettagli dell’Apocalisse sono evanescenti, incerti: nessuno può dire cosa stia accadendo alla Natura e agli esseri che la costituiscono. Fenomenologicamente, si dà il fatto, puro e semplice, che le bestie, i rettili, gli anfibi, i volatili, gli insetti abbiano iniziato a uccidere gli uomini. La situazione, nell’ambiente circostante la magione dei Crockett – la famiglia di “orrendi ricchi” che si è raccolta intorno al vecchio patriarca paralitico per festeggiarne il compleanno insieme alla celebrazione del l’Indipendence Day, il 4 luglio – è quella di una quiete insidiosa, in lentissimo ma incessante movimento. La macchina da guerra di cui alle frasi del trailer, citate in apertura, si è avviata con i tempi, lenti ma inesorabili, di Madre Natura. I Crockett stanno ormai danzando, tagliati fuori dal resto del mondo, sul crinale dell’abisso. Non lo sanno, non lo sappiamo; ma lo intuiscono, lo intuiamo. Ray Milland (nella versione italiana doppiato da Emilio Cigoli) per primo, perché è l’unico che ha la consapevolezza di una catastrofe che procede, insieme a Sam Elliot. Fiuta nell’aria l’imminenza di un pericolo e per questo tenta disperatamente, ostinatamente, contro ogni logica e come puro contrappeso psicologico, di tenere le cose nell’alveo della normalità. Lui e Pickett Smith, cioè il personaggio di Elliott, sono i  più intelligenti del gruppo, benché agli antipodi. Difatti affrontano nei loro dialoghi i massimi sistemi: l’Uomo, la Natura, le gerarchie nell’universo (Milland è un aristotelico), mentre gli altri si perdono in sciocchezze.

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Più che tagliato fuori dal resto del mondo, il gruppo dei Crockett si viene così a trovare al centro del mondo, nell’occhio di un ciclone che con tutta probabilità si è già diffuso altrove (la donna in macchina che raccoglie Pickett, Karen e i bambini, alla fine, dice che sta guidando da ore senza vedere nessuno) ma che lì, in quel punto esatto del profondo Sud degli Stati Uniti, ha avuto il suo innesco. Oggi Frogs passa per essere il primo e, secondo molti, il maggiore esponente di quel filone fanta-ecologico (l’eco-revenge) sviluppatosi negli anni Settanta, ma al momento della sua uscita – nel marzo 1972 – sembrava ovvio per i critici sottolinearne la dipendenza da La notte dei morti viventi di Romero, più che da Gli uccelli di Hitchcock o dall’animalismo assassino, campione di incassi, di Willard e i topi. Giusto, anzi giustissimo. Lo si può affermare anche senza conoscere esattamente nel dettaglio la genesi della sceneggiatura di Frogs – scritta dal pressoché ignoto Robert Hutchison, da un suo soggetto, con la collaborazione di Robert Blees che era invece un autore e produttore di serial televisivi piuttosto noto. La morsa di un evento “alieno” preme su un gruppo di persone isolate, ne disarticola la compagine, ne fissura i comportamenti, ne sparpaglia reazioni ed emozioni. È Night of the Living Dead ed è Frogs. Sono entrambi film che manifestano un’impostazione molto chiusa, molto teatrale, in fondo: segregano un piccolo mondo e lo studiano; tutto sommato, Lynn Borden – che in Frogs interpreta il ruvido personaggio di Jenny, uno dei più interessanti psicologicamente – ha ragione quando evoca sul plot lo spettro di Tennessee Williams, e non soltanto per il fatto che ci troviamo nel cuore nero degli States. E poi, non c’è praticamente musica, in questo teatro naturale: il commento sonoro è il gracidare, ossessivo, delle rane, che si dialettizza col silenzio rotto dall’upupa e con i “tuffi” elettronici di Les Baxter. Una sottrazione che genera ansietà nello spettatore e rende pazzi i Crockett («This noise drive me crazy» è battuta che ritorna di continuo sulla bocca di vari personaggi).

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La magnifica villa in stile coloniale all’interno della quale il vecchio Jason resisterà fino all’ultimo all’attacco delle legioni dei batraci, si immagina edificata su un’isola, mentre nella realtà essa è il centro ideale dell’Eden Gardens State Park, parco e museo nazionale della Florida di 163 acri presso Point Washington, a sud di Freeport, sul golfo del Messico. La mitologia narra che da quelle parti, durante le riprese, si dispersero più di mezzo migliaio di rane della Florida e un centinaio di rospi sudamericani. Le rane: il vero motore pensante dell’redde rationem animale, la coscienza collettiva che dirige, gracidando, la guerra. “Pelle fredda e verde contro carne calda e morbida: il gracidio… l’urlo…” riassume efficacemente la tagline. Sta però di fatto che la promessa di rane cannibali, che ventila il manifesto del film, non viene mantenuta se non al termine dei titoli di coda, quando un ranocchio a disegni animati ingolla un arto umano con un “gulp!”.

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C’è chi, preso atto della funzione strategica e di corifei della rivolta assunto dai batraci, ha spericolatamente immaginato che nel film di McGowan possa esistere un richiamo colto addirittura alle Rane di Aristofane. Certo, una fantasticheria, tanto più che nell’opera classica le rane danno il titolo alla commedia ma hanno poi una funzione marginale. Però è suggestivo come anche questa ipotesi, le rane facenti funzione di un coro, proprio come quelli usati dai tragediografi greci, ci riporti a una sorta di dimensione teatrale archetipica. Un dettaglio simpatico, a proposito di rane, ha a che fare con la promozione di Frogs: Lynn Borden posò per alcune fotografie sul set tenendo tra le mani una grossa rana. Lo stesso animale la seguì poi fedelmente nel tour americano che Lynn fece per presenziare alle prime del film, finendo per prendere fissa dimora nella vasca da bagno a casa dell’attrice, a Los Angeles. La Borden – scomparsa nel marzo del 2015 – diventò, con gli anni, una delle maggiori collezioniste in America di riproduzioni di rane, di ogni materiale e di ogni foggia.

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Frogs fu prodotto da Peter Thomas e George Edwards (Peter Thomas Productions), in associazione con la celeberrima AIP di Samuel Z. Arkoff e James Nicholson, che ne curò la produzione esecutiva e la distribuzione nelle sale in America. Il budget non fu altissimo: si spese per gli animali di scena (quando c’erano: perché nel caso dei gabbiani che aggrediscono i tre personaggi di colore si ricorse a sovrimpressioni e a evidenti immagini di repertorio – studiando le quali c’è addirittura chi vede i pezzi di pane lanciati in aria per attirare lo stormo: nel basso di queste inquadrature è possibile, peraltro, identificare anche delle carrucole). Rane, lucertole, ragni, serpenti e il resto dello scibile rettiliforme e insettiforme mostrato nel film, è vero; fa eccezione l’alligatore-fantoccio al quale Sam Elliot spara dalla canoa (c’è un bel blooper: i ragazzini si tappano le orecchie per non sentire la detonazione ancora prima che Elliot afferri il fucile). Quello invece con il quale lotta nel canneto Stuart (George Skaff: visibilmente controfigurato e in riprese accelerate) è reale ma ha le fauci legate.

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A parte Ray Milland, che nel 1972 imboccava l’ultima fase della sua carriera, quella che lo avrebbe portato ad accettare ruoli anche in piccoli film di genere, spesso fuori dagli Stati Uniti, tra gli interpreti di Frogs i nomi più noti in quel momento erano Adam Roarke, personaggio con un’aura maledetta protagonista di numerosi biker-movies, da Angeli dell’inferno su due ruote a Psych-Out, il velo sul ventre; Lynn Borden, ex Miss Arizona e provetta stuntwoman, che da metà degli anni Sessanta aveva lavorato parecchio nei serial tv e si era vista in Bob & Carol & Ted & Alice; e Judy Pace, fotomodella e attrice per più di un blaxploitation (Cool Breeze, The Slams), emblema della bellezza nera nei Seventies. Sam Elliot aveva allora soltanto un lungometraggio e un po’ di televisione alle spalle, mentre Joan Van Ark, che in America è una specie di istituzione nazionale per la serie televisiva della CBS Knots Landing (1979) debuttava su grande schermo proprio con Frogs – oggi dice che lei se lo ricorda soltanto perché era l’unica a non morire divorata dai rettili e perché alla fine scappava nel tramonto mano nella mano con Sam Elliot. La governante Maybelle è Mae Mercer, che aveva fatto fortuna in Francia come cantante di blues prima di tornare in America e di lanciarsi nel cinema (Dirty Harry). Lynn Borden racconta che a una cena offerta da maggiorenti della Florida, la Mercer fu oggetto di violenta discriminazione razziale. Ma nessuno della troupe accettò di sedere al tavolo senza che vi fosse anche lei.

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Problemi di tagli legati al film non se ne conoscono se non per la sequenza, molto crudele, della morte di Holly Irving: nel montato definitivo, la donna soccombe al morso di un serpente, dopo essersi straziata tra i rovi, mentre sia il trailer sia le foto di scena della AIP ce la mostrano affogare nelle sabbie mobili. Il pressbook originale del film fornirebbe una terza versione: “[Iris] falls into the swamp, and is bled dry by leeches”. La copia italiana – nel nostro paese Frogs fu distribuito dalla Fida ed ebbe il divieto ai minori di 14 anni: all’ingresso dei cinema si offrivano agli spettatori sacchetti per vomitare, le celeberrime “vomit bags” – fa registrare tre buchi di dialogo rispetto all’originale (a 17’,39’’; 30’,35’’; 1.04’,45’’ avendo come riferimento il dvd europeo pubblicato in Germania dalla MGM).