2120
Il mite tecnico informatico Wade Duffy è incaricato di sistemare un computer di un’azienda che si trova al 2120 di Mac Millan Drive. Dopo una prima uscita a vuoto, Duffy torna sul posto e si ritrova chiuso nell’edificio che sembra vuoto e abbandonato. Wade inizia a questo punto l’esplorazione di uno spazio alieno fatto di corridoi infiniti e situazioni inquietanti tra l’orrorifico e il metafisico, da cui il lettore è chiamato ad aiutarlo a uscire incolume, per quanto possibile, per poter tornare a casa e mettersi questa vicenda spaventosa e incomprensibile alle spalle. 2120, di George Wylesol, è un fumetto che definire assurdo e spiazzante non è, una volta tanto, un’esagerazione. La struttura è quella di un libro game, un volume da giocare attivamente risolvendo enigmi ed effettuando scelte che aiutano a progredire nella trama. Il genere andava di gran moda tra gli anni ’80 e ’90, l’epoca d’oro dei giochi di ruolo, e sta vivendo una seconda giovinezza proprio di questi tempi. E fin qui non ci sarebbe nulla di particolarmente destabilizzante, non è neppure il primo esperimento di libro game a fumetti.
Ciò che colpisce è innanzitutto la cura e la complessità dell’opera di Wilesol, un viaggio alienante ambientato nelle backroom, uno dei meme prodotto da Internet, un luogo immaginario costituito da labirinti sterminati di stanze e corridoi tutti uguali, siti nelle viscere degli edifici cittadini, in cui perdersi e incontrare situazioni profondamente weird con un’atmosfera à la David Lynch che la comunità della rete utilizza come ambientazione condivisa per una lunga serie di narrazioni creepypasta presenti su ogni canale del web, su Youtube per esempio ce n’è una nutrita selezione. E Wylesol di cura ce ne ha messa per disegnare pagine e pagine di corridoi, svolte e stanze vuote che si differenziano spesso per pochi dettagli e contribuiscono a creare un’atmosfera malata e opprimente tra un evento e l’altro di un horror metafisico e kafkiano caratterizzato dalla sensazione costante dello sfaldarsi della realtà, dall’inquietudine del pericolo strisciante e da un senso di claustrofobia che fa venir voglia di scappare dall’edificio. 2120 è un libro mondo che ha le il suo senso e le sue regole, anche se esse sfuggono alla comprensione del protagonista e del lettore a cui nessuno si cura di spiegare alcunché.
Con questa filosofia sembrano realizzati anche alcuni degli enigmi, alcuni piuttosto ostici, che alla lunga rischiano di rallentare oltre misura lo scorrere di una narrazione/gioco che già di base si regge su un tempi volutamente dilatati e che funzionano, ma che non hanno bisogno di ulteriori barriere perché il lettore ne goda. Tuttavia il gioco vale la candela e i playthrough cominciano a comparire in rete, quindi l’esperienza di gioco non è compromessa e, nel peggiore dei casi, anche solo sfogliando il volume in maniera tradizionale un bad trip di un certo livello è garantito. In definitiva 2120 è una di quelle opere in cui un autore dotato di muscoli narrativi sovradimensionati smonta i limiti del medium fumetto per rimontarli un po’ più in là nel tentativo, riuscito, di incrementarne le possibilità.