La contaminazione tra i generi può avvenire in diversi modi, non solo mescolando gli aspetti più esteriori e inequivocabili dei canoni d’origine. Volendo, si può fare un lavoro sulle modalità narrative modulandone gli aspetti caratteristici fino a creare oggetti letterari quantomeno interessanti. Jeremy Sorese fa esattamente questo lavoro con il suo Curveball, una storia d’amore ambientata in un contesto fantascientifico con lo storytelling tipico di una graphic novel mainstream. La parte dominante del meccanismo narrativo è di certo quest’ultima: Sorese scrive una storia senza dubbio character driven, in cui il focus è principalmente sul vissuto interiore dei protagonisti e sulle loro dinamiche relazionali, al punto che potrebbe, con un lavoro di riscrittura non troppo drastico, reggere autonomamente senza le contaminazioni fantascientifiche.

Esse, tuttavia, ci sono: la presenza dei robot nell’universo narrativo di Curveball ha una sua valenza forte più a livello estetico e simbolico che non di funzionamento della trama ma, nondimeno, essa è parte del tutto e ha il suo peso.  L’abilità di Sorese è proprio di dare a uno degli ingredienti della ricetta, la fantascienza, il suo peso come contrappunto, senza svilirla ma valorizzandone al massimo le potenzialità di cornice, che drammatizza ulteriormente la fine di una relazione difficile tra un cameriere e il suo compagno, un marinaio incapace di prendere una decisione.

Interessante è anche il lavoro a livello grafico: lo stile è cartoonesco, con un segno solido, linee spesse che riescono, tuttavia, a dare un grande senso di leggerezza. Interessante anche il contrasto fra il bianco e nero ricco di scale di grigio, che domina il racconto, con i colori sgargianti dei monitor dei robot stessi, brillanti al punto da colpire forte l’occhio del lettore. Curveball è il lavoro lungo e solido di un autore agli esordi ma già padrone del mezzo sotto tutti i punti di vista, una graphic novel trasversale in tutti i sensi.