Habibi
Craig Thompson scrive d’amore. Lo racconta, lo sviscera, lo mette in scena in ogni sua storia e da ogni angolazione possibile, esplorandone le sfaccettature e le potenzialità espressive allontanandosi dai sentieri battuti per tracciarne di propri. La costante, nelle storie dell’autore americano, è un fattore di lontananza, un impedimento che impedisce ai protagonisti di vivere il proprio rapporto con serenità. Nel caso di Habibi, gli ostacoli sono molteplici. Ambientata in un luogo metaforico situato tra l’Asia Minore e la più sregolata contemporaneità, in cui convivono la tradizione islamica e l’industrializzazione sfrenata, la vicenda narra di Dodola e Zam, due giovani destinati all’oppressione e alla marginalità, due vite votate a resistere una vita per ritagliarsi quel centimetro quadrato di dignità a cui non sono disposti a rinunciare. L’amore che si sviluppa fra Zam e Dodola è qualcosa di assoluto e completo. Se, infatti, il rapporto fra i due ragazzi inizia con Dodola, di nove anni più vecchia, che cresce il trovatello Zam nel deserto raccontandogli le storie che stanno alla base della tradizione islamica e sacrificandosi in ogni modo per nutrirlo, con il passare degli anni il sentimento filiale del ragazzino cambia con il risvegliarsi della sua sessualità e, dopo che la coppia sarà separata con la forza, passando anni di sofferenza e schiavitù, il sentimento dei due trascenderà anche la dimensione carnale per diventare comprensivo e totalizzante, oltre la somma di quanto vissuto prima.
La cifra stilistica di Thompson è la delicatezza. Pur nei propri momenti più duri ed espliciti, Habibi è narrato con delicatezza e senza compiacimento. Il segno grafico è morbido e flessuoso e, riprendendo funzionalmente l’estetica e soprattutto la scrittura araba, si presta a una narrazione non lineare in cui lo svolgersi degli eventi passa agevolmente dai fatti all’esplorazione profonda degli stati d’animo e dei pensieri dei protagonisti. Con una versatilità che va oltre il consumato professionismo, Craig Thompson mette in scena il deserto, i villaggi, l’harem del sultano e la metropoli contemporanea, dalle cime dei palazzi alle baraccopoli ai bordi delle discariche, passando per l’inconscio dei protagonisti, fatto di scrittura sacra e creature di una tradizione antichissima.
Habibi non è un volume semplice e, se mai un fumetto si adatta all’abusata definizione di Graphic Novel, è proprio questo. L’opera è di grande complessità e ricchissima di spunti non sempre immediati da cogliere, è un libro che richiede il proprio tempo di fruizione e non si consuma con leggerezza. Passione e attenzione sono necessari per godere appieno un’opera che sfrutta in profondità le potenzialità del medium fumetto.