Il Divino
KISS. Keep it Simple, Stupid. Questo sembra essere il manifesto di un’opera tanto lineare quanto anomala come Il Divino, graphic novel tutta israeliana realizzata dai fratelli Hanuka e da Boaz Lavie, autori apprezzati in patria e all’estero. Un’opera semplice, quasi lapalissiana, frontale nei propri intenti, nel proprio messaggio e nei simboli impiegati per metterlo in scena. Tanta, chiarezza, tuttavia, è tutt’altro che un limite quando valorizza un’espressività forte e decisa, un segno grafico pulito che valorizza il dinamismo della regia e la profondità della prospettiva.
Il Divino è, nella realizzazione, un’opera estremamente moderna, di ottima esecuzione e dallo spiccato gusto pop, felice in tal senso la scelta dei colori, luminosi e poco o nulla sfumati, come poco o nulla sfumata è la posizione degli autori. Senza mezzi termini, in tal senso, è la critica alla politica dell’occidente nei confronti del resto del mondo. C’è tutto, dai bambini soldato ai contractors, dalle risorse depredate alle vittime civili in una vicenda, non a caso ambientata in Vietnam, in cui un gruppo di mercenari spadroneggia su un paese in via di sviluppo fino a scatenarne i difensori più mistici ed ancestrali.
Una storia d’azione, sì, ma anche una storia che fa riflettere, con un protagonista che si trova al centro del dilemma e vittime che non fanno compassione, ma nella cui rabbia omicida ci si immedesima con una semplicità inquietante. Il Divino è un libro anomalo e controverso, non a caso realizzato in Israele, un paese spesso sotto i riflettori per problemi legati alla violazione dei diritti umani, una nazione che vive una situazione complessa e mistificata, di certo una società meno unita di quanto si pensi nelle proprie prese di posizione.