Il regno animale
Ci sono storie che una vera e propria direzione non ce l’hanno, sviluppandosi senza seguire un vero e proprio percorso, senza muoversi da A a B. Ciò non significa, ovviamente, che lavori del genere siano scritti a caso quanto, piuttosto, che la loro struttura rispecchia finalità diverse, magari non tanto quella di sviluppare un discorso quanto, piuttosto, di fotografare una condizione catturando lo spirito dei tempi ed espandendolo fino a fargli occupare tutto quanto l’orizzonte visibile.
Questo fa Emanuele Giacopetti nel suo Il regno animale, una graphic novel ingannevole in quanto solo in apparenza si allinea e si appiattisce sugli standard della scena del fumetto indipendente italiano, prendendone le distanze con un colpo di reni che consegna al lettore un frammento di narrazione affilato e doloroso, estremamente vivido nella sua spietatezza. Nella distopia raccontata ne Il regno animale, l’immigrazione è una condizione oramai endemica dell’essere umano e davvero non importa da dove vengano o dove vadano i fiumi di carne umana che si spostano scorrendo come l’acqua di un fiume fangosa nella carcassa di un mondo ormai prosciugato e morente, migrare è una condizione endemica dell’essere umano, quasi metafisica. Mi sposto quindi sono, e scavo fra le macerie per sopravvivere un altro giorno.
Giacopetti racconta, in definitiva, questo e niente altro, attraverso la guerra quotidiana di logoramento di un disperato fra i tanti, che vaga perché non ha una scelta, tradito progressivamente di un corpo che gli ricorda il vero significato del concetto di privazione.Graficamente, Il regno animale non è nulla di originale, il tratto dell’autore è quel che fa somigliare l’opera a uno dei tanti prodotti dell’indie italiano, ma a una lettura più approfondita si rivela funzionale, duro come la realtà che vuole dipingere. Un’opera tristemente attuale, che legge il presente come solo la fantascienza più inquietante sa fare.