Italo. Educazione di un reazionario
Da tempo non si leggeva un fumetto così devastante e bruciante, così intenso e dallo sguardo impietoso sul nostro presente. Il talento di Vincenzo Filosa si era già mostrato con chiarezza da qualche anno. Viaggio a Tokyo (2015) e poi Figlio unico (2017) avevano già rivelato un narratore capace di un lavoro autobiografico di grande efficacia e fascino. Italo è il terzo capitolo di questa sorta di trilogia ed è forse quello più potente. Si può parlare di autofiction anche per il fumetto? Io credo di sì, anche se qui c’è una sensazione di maggior immediatezza rispetto alle prove, ad esempio, di un Walter Siti. Si può pensare ad un Pompeo del XXI secolo. Ma forse qui, si va addirittura oltre, perchè Italo è un libro complesso e molto stratificato, nonostante l’eccezionale immediatezza.
Italo Filone è un disegnatore di fumetti quarantenne apparentemente soddisfatto del proprio lavoro, con una famiglia che gli vuole bene. Tutto OK. Se non fosse che Italo è dipendente da alcuni farmaci antidolorifici oppioidi. Uno dei farmaci è il Contramal, ovvero il principio attivo Tramadolo, un vero farmaco, tra i pochi oppioidi ottenibili senza una ricetta speciale per stupefacenti. Non è un’informazione inutile, è da questi particolari che si vede un narratore che vuole anche dire cose dirette, nude, su di sè e sulla vita. E di questo, di nudità, di verità, Italo è pieno, è un grumo nero come l’inchiostro con cui è disegnato. L’insostenibilità e la difficoltà di una vita è resa con tavole dalla prospettiva distorta, con vignette progressivamente sempre più piccole, come nella sequenza capolavoro in cui tutta la realtà appare com’è, l’inferno.
Perchè non si tratta solo di droga, ma della vita e del dolore e di una nazione intera allo sfascio. Colpisce il sottotitolo: Educazione di un reazionario. Nel percorso di risalita dalla dipendenza Italo si rende conto di non essere diverso da coloro che crede inferiori, volgari, meno degni di lui. È anche lui un reazionario. Abbiamo bisogno come l’aria di autori come Vincenzo Filosa. Di scrittori e disegnatori capaci di esporre il proprio cuore sanguinante e meschino, la propria banale e mostruosa interiorità e, dopo averci dato un pugno in faccia, in grado di farci guardare dentro noi stessi. Un talento straordinario quello di Filosa, che da grande studioso del fumetto gekiga, la corrente adulta del fumetto giapponese, opera una geniale sintesi tra i grandi autori horror come Shigeru Mizuki e Kazuo Umezz e la via realistica ed esistenziale di Yoshiharu Tsuge. Il tutto riprocessato e rinato nella carne e nelle ossa di una mano assolutamente italiana.