La cicatrice
L’arte, secondo Albert Camus, è allo stesso tempo assenso e rifiuto della realtà, l’arte la nega e, contemporaneamente la esalta, figlia di una frattura, di uno strappo fra l’uomo e il mondo che cerca in qualche modo di ricucire. A volte, perché gli artisti non ricuciono affatto, anzi, afferrano i lembi della ferita e li allargano mostrandola al mondo in tutta la sua gravità.
Renato Chiocca e Andrea Ferraris fanno esattamente questo, nulla di più e nulla di meno, con il loro La cicatrice, che racconta le storie di chi vive e di chi sopravvive sul confine fra Stati Uniti e Messico, una spaccatura, reale e metaforica, intorno a cui nascono e prosperano drammi, sogni, speranze e lutti, un simbolo di odio e di speranza al tempo stesso, particolarmente attuale al tempo dell’amministrazione Trump.
Chiocca scrive senza retorica né compiacimento pur senza esagerare nel mantenere una distanza che vuole rifuggire la soluzione narrativa fin troppo semplicistica di parlare alla pancia, raggiungendo un equilibrio ottimale fra la lucidità nel raccontare i fatti e un certo grado di empatia e partecipazione che dà forza espressiva a un’opera breve e incisiva, calibrata per andare a bersaglio con un tiro diritto e senza fronzoli. Funzionali in tal senso i chiaroscuri di Ferraris, espressivi ma discreti, tagliati a misura sulla sceneggiatura senza l’ambizione di rubare la scena, un tratto carico d’atmosfera ma mai fuori registro rispetto a una storia di cui si mette al servizio.
Un bell’oggetto sotto tutti i punti di vista, La cicatrice, curato anche nel formato e nella scelta della carta per restare impresso nel lettore.