L’ultimo sorso del morto
La funzione del memento mori, in ogni sua forma, è di ricordare all’uomo, a tutti gli uomini, la dimensione finita e mortale della propria vita, oltre che a esorcizzare la morte stessa. La morte diventa un personaggio in numerose forme di narrativa, da Il Settimo Sigillo di Bergman a Vi presento Joe Black passando per i numerosi incontri fra Dylan Dog e la signora con la falce. Una tematica, quella della fine della vita, che si è impressa a fuoco nell’inconscio umano influenzandone a fondo i prodotti. Davide Garota, già collaboratore di Lo Straniero di Goffredo Fofi e autore completo per Tunuè, si misura con il tema a modo suo, realizzando un urban fantasy a tinte noir che vira, nella seconda parte della storia, su atmosfere horror e pulp.
L’ultimo sorso del morto pesca a piene mani dall’immaginario cinematografico americano, Tarantino e Rodriguez in primis, con un’atmosfera che ricorda il deserto whiskey, pallottole e stregoneria di film come Dal tramonto all’alba. Il ritmo è alto, l’azione sanguinosa e massimalista, il dinamismo nervoso ed esasperato, per una storia di sesso e sangue senza compromessi in cui l’autore, in perfetta sinergia in ogni suo aspetto di artista completo, racconta senza mai tirarsi indietro, calcando la mano su un registro sempre sopra le righe che sceglie la via diretta per arrivare al lettore.
L’ultimo sorso del morto è un’opera che non è e non vuole essere complessa quanto, piuttosto, pienamente conscia del proprio essere prodotto di intrattenimento che non rinuncia a misurarsi con uno dei grandi temi della narrativa di sempre e in ogni sua declinazione, parlandone con il proprio linguaggio e senza manierismi di sorta, rivelandosi un prodotto solido nella propria compiutezza. Una cavalcata da godere tutta d’un fiato.