Prison Pit
Ci sono libri e fumetti che danno immediatamente la sensazione di essere davanti a qualcosa di epocale. Prison Pit è uno di questi, rarissimi titoli. Johnny Ryan, nato nel 1970, non è ancora celebre in Italia ma grazie a questo libro già di culto, sta diventando uno degli autori più apprezzati dagli appassionati di fumetto non-mainstream. È ormai considerato il re del fumetto indipendente americano e ha anche pubblicato su MAD, LA Weekly, Hustler Magazine. Questa serie è uscita in U.S.A. in sei volumi per Fantagraphics dal 2009 al 2018 ed ora è finalmente disponibile in un imponente volume unico per Eris edizioni (con un’ottima traduzione Valerio Stivé e un efficace adattamento grafico di Adam Tempesta). Sulla copertina gialla appare il protagonista, una spece di guerriero wrestler intergalattico in fuga da una prigione spaziale, un essere volgarissimo e spietato che non dimenticherete facilmente. Ed in più, nell’edizione limitata, una sovraccoperta, creata da Spugna, verde (e pelosa!). Chi ha amato lo splatter degli anni d’oro (Horror in Bowery Street di Jim Munro, per dire) qui troverà pane per i suoi denti.
Questo libro è qualcosa di completamente diverso ma nello stesso tempo qualcosa che ogni amante dell’horror aveva da qualche parte nel suo cervello. A cosa assomiglia Prison Pit? Potrei dire che c’è Dungeons & Dragons, Berserk, il Wrestling? Alcuni giochi assurdi del C64 tipo Infernal Runner? Qualcosa del Go Nagai più violento? Sicuramente, ma qui siamo su un altro piano, siamo oltre i limiti formali (e morali?) che normalmente gli autori si pongono. Nella lunghissima fuga dal carcere spaziale, il protagonista (che si chiama Cannibal Fuckface, ma nel fumetto nessuno lo chiama così…) è impegnato incessantemente in un numero incalcolabile di scontri e di esplosioni e di squartamenti, di frantumazioni, di tagli, di devastazioni, di incendi, di schifezze inenarrabili, di stupri continui e ridicoli tra creature insensate e tutto ciò esalta, fa cadere la mascella a terra, e dà un senso liberatorio incontrollabile, perchè una cosa così libera, una fantasia così illimitata e divertente non credo si sia mai vista in un fumetto. L’impegno di Johnny Ryan, il suo dedicarsi totalmente alla perversione e al lurido mondo di Prison Pit è così puro che il risultato è qualcosa di straordinario. Il design del protagonista e dei mostri è impressionante. Pochi tratti, sporchi e istintivi, materializzano immediatamente decine e decine di mostri assurdi, sproporzionati, ridicoli ed incredibilmente fantasiosi.
Nei momenti più intensi la grafica si fa contorta, ma sempre leggibilissima, avvicinando le tavole ai disegni infantili in cui i bambini sfogano la propria rabbia calcando sempre di più la biro sul foglio… Se c’è un modo per dire quale sia l’energia che scorre in Prison Pit l’unico modo è rievocare quando avevamo nove anni e giocavamo con i Masters o con anonimi omini. In giardino d’estate o per terra contro i battiscopa la nostra fantasia era assolutamente senza briglie, senza compromessi, senza censure. Quella stessa fonte di pura perversione la ritroverete qui, malatissima ma assolutamente liberatoria e portata al livello dell’arte. La cosa stupefacente di quest’opera è che tutta questa follia, questa violenza demenziale, questa assurdità totale e scorrettissima è gestita con un controllo assoluto. Un fumetto imperdibile e davvero geniale, lontano anni luce dalle graphic novel con pretese intellettuali, ma che, meglio di quelle opere, coglie nel segno e centra un obbiettivo ad altezza vertiginosa.