Qual è il posto più lontano da qui?
Il mondo è un cumulo di rovine. Poco si sa degli eventi che hanno portato all’attuale stato delle cose, se non che sono stati gli adulti a causarlo. Ed è per questo che chi raggiunge una certa età deve obbligatoriamente lasciare la famiglia, così si chiamano le bande di adolescenti in cui è divisa la società, e avventurarsi da solo in un ambiente inospitale e potenzialmente letale, bersaglio libero per le famiglie in caccia. Ognuna di esse ha le proprie caratteristiche e il proprio territorio e gli equilibri sono retti da regole ferree. Non si uccide, non si ospitano adulti, non si sconfina. Gli Academy, una famiglia che ha per base un negozio di dischi e per religione la musica punk, si ritrova a infrangere diverse regole fino a rischiare tutto per proteggere i propri membri.
Qual è il posto più lontano da qui? Si può definire come un’opera profondamente surreale. Per certi aspetti un distopico, un termine che individua una moda in fase calante e solo parzialmente adatto a definire questo mix di commedia adolescenziale e Il signore delle mosche scritto da un Lewis Carroll sotto acido. Trattandosi del primo arco narrativo ci sono ancora diversi aspetti da spiegare, ma questo non impedisce al lettore di muoversi lungo la trama più per istinto che per logica, scoprendo un po’ casualmente le regole che sottendono a questa nuova, strana società che ha preso il posto della vecchia partendo da frammenti di cultura e civiltà che sono mutati creando qualcosa di nuovo e per certi aspetti sinistro. Certo, parte del world building pecca di approfondimento, per esempio il rapporto morboso fra i membri degli Academy e i vinili che ognuno sceglie come compagni di vita, o per meglio dire dei, oppure cosa porta le famiglie ad accettare che sia una di esse a mantenere l’ordine, ma il fatto di non comprenderlo non compromette la scorrevolezza e la fruibilità di un racconto spiazzante, in grado di parlare alla pancia del lettore toccandone corde emotive inaspettate.
Dove Rosenberg voglia andare a parare con questo suo fumetto non è ancora chiaro, in questo primo volume si gioca tantissimo con una diaspora che potrebbe far pensare che la storia sia giunta a una fine ma i cerchi da chiudere sono ancora parecchi e la narrazione abbastanza fuori di testa da far venire voglia di continuare anche solo per vedere dove va, fermo restando che i protagonisti sono scritti bene e ci si affeziona, quindi le ragioni per seguirli ci sono. Possiamo dire che no, il lavoro di Rosenberg e Boss non è rivolto a chi ama le trame dall’architettura complicata in cui tutta una serie di elementi lavora come un meccanismo preciso che fa tornare tutto alla fine del volume, qui ci si arriva di pancia e si adotta una forma particolare di sospensione dell’incredulità per cui le cose vanno così e basta, forse una spiegazione ci sarà o forse no ma poco importa, l’importante sono certe impressioni che parlano al di sotto dei radar del razionale.