Tokyo Ghost – Il giardino atomico
Ci sono correnti, all’interno dei generi narrativi, che incarnano a tal punto un determinato zeitgeist da rischiare, cambiati i tempi, di restare legate al proprio periodo di riferimento e di non riuscire più a comunicare in maniera forte con la contemporaneità. Questo non è il caso del cyberpunk. Se, infatti, a detta di molti, il movimento nato dalle pagine dei romanzi di William Gibson è morto è sepolto, la realtà è che esso ha più volte cambiato pelle contaminando, con la propria estetica e con il proprio spiriti, decenni di opere fantascientifiche. Opere come Tokyo Ghost, il fumetto scritto da Rick Remender, autore di un’acclamata run di X-Force per Marvel Comics. La penna di Remender riprende le atmosfere e, soprattutto, lo spirito ribelle e disperato del cyberpunk riscrivendone l’estetica per i lettori contemporanei, la cui connessione perenne con la rete ha realizzato, in un flusso inarrestabile di dati, la fusione uomo macchina teorizzata trenta e passa anni fa da Gibson stesso, seppur in maniera meno invasiva.
Il risultato è la storia di un amore maledetto e disperato, una cavalcata tiratissima e ultraviolenta in un mondo ultraliberista, un far west anarcoide e spietato da cui una giovane cerca in ogni modo di uscire salvando, al contempo, il suo uomo, uno zombi pompato di steroidi la cui coscienza è letteralmente dispersa nella rete a cui è connesso ventiquattro ore al giorno. Tirato e commovente, Tokyo Ghost mescola un amore tragico à la Bonnie & Clyde con la cupa visionarietà di certa fantascienza giapponese, Akira e Ghost in the Shell su tutti.
Il tratto di Murphy interpreta la sceneggiatura alla perfezione con il suo segno graffiato e nervoso, vertiginoso nelle scene d’azione e carico di sense of wonder quando serve, gestendo alla perfezione i numerosi cambi di ritmo e di registro richiesti dalla storia.