Gli uomini, le donne e i mostri di Kenneth Anger
Capitolo 2: ascesi e tramonto del Lucifero di Hollywood
Kenneth Anger torna negli Stati Uniti accolto come una stella nera in picchiata sulla Terra. Le sue amicizie con i sovversivi esistenzialisti francesi lo avevano spinto a mantenere la distanza di sicurezza durante gli anni del Maccartismo; ora il panico rosso sta scemando, e Anger si riaffaccia con un curriculum da artista, stregone, satanista, comunista, omosessuale, accompagnato dalle referenze degli intellettuali più ambigui del decennio. Il nuovo progetto in cantiere è Lucifer Rising: parabola mistica sulla venuta dell’angelo caduto come messaggero dell’Eone di Horus. Ma il progetto è prematuro: c’è ancora tempo per inquinare senza ritorno un ambiente culturale che non aspetta altro. In una sorta di dialogo a distanza con il vecchio amico Genet, Anger porta a galla la Trinità rimossa della cultura americana (che domande: nazismo, sodomia e satanismo) con Skorpio Rising (1963) e Kustom Kar Kommandos (1965). Asserraglia attorno a sé metà della controcultura losangelina, in una serie di mostre dedicate alle foto preparatorie di Lucifer Rising; Alejandro Jodorowski non ne perde una, mentre un vecchio fanatico come Dennis Hopper finisce nel film di debutto di Harrington Night Tide, prendendo segretamente appunti da Skorpio Rising per il suo Easy Rider (nel quale confluirà anche l’habituè di De Brier Jack Nicholson). Anger fa amicizia con il predicatore-avventuriero-cialtrone Anton LaVey: fondano insieme il Magic Circus, che nel 1966 diventerà la Chiesa di Satana. I media americani lo paragonano a Wharol: lui lo insulta in ogni intervista, forse per scherzo, forse no. Ogni uomo e donna è una stella, recita il terzo comandamento di Thelema, e la stella-Anger è al centro di una costellazione estesa su tutto il visibile. Al cinéphile allievo di Cocteau e Langlois, al frequentatore di orge in costumi egiziani, si è sostituito uno splendido quarantenne, amico di Tennessee Williams e profeta di un nuovo cinema.
“Rivelarsi” al grande pubblico conformandosi al concetto di cinema come intrattenimento spendibile e commerciabile, abbracciando la visibilità e i compromessi della grande distribuzione, o rinunciare a tutto questo in nome di una purezza ermetica da autoproclamatosi eletti? E’ la grande questione morale del cinema sperimentale, che Kenneth Anger risolve con slancio maomettano. Non è il suo cinema a dover trovare un compromesso; è il mondo dell’arte a non poterlo più ignorare. Il clash del suo passaggio ibrida sottoculture nascenti come i prodotti di consumo dell’entertainment; le sue convergenze legano il cinema con la politica, l’imprenditoria, la musica e ovviamente la cronaca nera. La contingenza più clamorosa e chiacchierata nella carriera di Anger resta naturalmente quella che lo lega a Bobby Beausoleil e, attraverso di lui, alla Famiglia Manson. E’ fin troppo facile: la family sembra muovere dallo stesso retroterra di Anger, e che i percorsi andassero a incrociarsi era in un certo senso inevitabile. E’ ovviamente un caso; la fascinazione di Anger per le giovani tendenze rock esiste da sempre, e nei tardi ’60 diventa quasi una simbiosi. Nella stagione delle rivolte studentesche in Europa e dei movimenti hippie americani, Anger legge i segnali della venuta di Horus: il momento è propizio, vuole che il suo Lucifero sorga ad immortalare la fine dell’Era del Padre e la venuta del Figlio. Sceglie il giovane Beausoleil a una festa, decide che sarà il suo Lucifero. Vanno a convivere, litigano, faticano a mettere insieme qualcosa. Girano insieme il rituale del seppellimento di un gatto. La celebrazione diventa un corto a sé; LaVey sovrintende, Mick Jagger insiste per curare la colonna sonora di persona. Invocation of My Demon Brother esce nel ’69. Lo stesso anno, Beausoleil uccide Gary Hinman su mandato di Charles Manson. Al cambio di decennio, Anger è pressoché ovunque. La sovrapposizione tra cinema sperimentale e occulto si assimila in una dicotomia che forza le compartimentazioni a tenuta stagna degli studios, e invade i consumi giovanilistici alla pari dei Beatles o di Topolino. Invocation è in cartellone fisso all’Elgin Theatre di New York.
Viene trasmesso a mezzanotte; secondo il critico e storico dello spiritismo Gary Lachman, i suoi quindici minuti inaugurano la stagione dei midnight movies, proiezioni speciali quotidiane dedicate al cinema marginale. Sale da mille posti proiettano Jonas Mekas , l’odiato Wharol e la vecchia conoscenza Jodorowski, diventato regista. All’Elgin nasce la New Hollywood: tra un trip e l’altro, Martin Scorsese dorme tra le poltrone e non perde una proiezione. A far ripartire Lucifer Rising dopo l’arresto di Beausoleil ci pensa il nuovo patrono di Anger: un miliardario annoiato con smanie da mecenate di nome John Paul Getty II. Lo convoca a Londra, concede il budget per completare gli shooting. Neanche tre anni dopo, la Ndrangheta gli rapirà il figlio, nascondendolo in Calabria, tra le colline dove cinquant’anni prima Aleister Crowley girava nottetempo in cerca di ragazzi da coinvolgere nelle sue cerimonie. Come ogni blockbuster, Lucifer Rising riunisce alla corte di Anger i talenti più disparati. Il ruolo di Lucifero passa di mano in mano, perde centralità e il film diventa un sogno sacerdotale in cui il protagonista è quasi assente. Jagger vede nel “demone” Anger un responsabile indiretto del Massacro di Altamont: se ne allontana, manda la sua ragazza di allora Marianne Faithfull e il fratello Chris a recitare per conto suo. I divi del rock britannico fanno a botte per entrarci, e in colonna sonora la presenza di Jimmy Page (che Anger andrà anche a trovare a Boleskine House, altro mausoleo della genealogia crowleyana) è quasi obbligata. Nel ruolo di Osiride compare un’altra scheggia impazzita della swinging London: Donald Cammell. Classico freak angeriano, di famiglia nobile scozzese, cresciuto in un ambiente di “maghi, metafisici, spritualisti e demoni”, Cammell ha diretto nel 1970 un cult assoluto come Sadismo, in coppia nientemeno che con un giovane Nicolas Roeg. Ancora una volta, mondi si sfiorano; Roeg e Anger forse non si incontrarono mai, e mentre la carriera di Cammel svanirà nel nulla (anche se Generazione Proetus…), Roeg si allontanerà dallo scozzese matto per girare A Venezia… un dicembre rosso shocking e cambiare il cinema. Insoddisfatto della musica di Page , il regista ne butterà via i nastri e richiamerà lo stesso Beausoleil, direttamente dal carcere, per comporre con mezzi di fortuna un tema epocale, che sarà finalmente montato sul breve girato soltanto nel 1980. Dopo un decennio tra imprenditori e miliardari, è al rent-boy assassino che Anger si rivolge per completare il suo prematuro testamento. D’altrone, il cinema è un’arte malvagia.
Come accade spesso, è al punto più alto che l’onda si infrange per tornare indietro. Il film più famoso di Anger chiude il Magic Lantern Cycle: il decennio ’70 il regista lo impiegherà remixando le musiche dei suoi vecchi lavori (l’aggiornamento costante della colonna sonora con nuove radio hit è una costante del suo operato), retrocedendo tra le quinte. La statuto di cult, l’affetto della nicchia, è però un commiato alla stagione dello stardom mondiale. E’ un periodo di conta dei morti; Crowley, la demonologia, la Chaos Magick di Ausman Spare e la Psicologia degli Archetipi affronteranno a partire dagli anni ’80 l’ennesima riscoperta; ma la portata sarà via via minore, relegata agli ambienti industrial e al cinema di ultra-nicchia; il cinema sperimentale stesso perderà di interesse, sparendo dalle grandi sale, chiudendo anzitempo la sua stagione di massima influenza e ripiegando in una auto-ghettizzazione forse mai veramente voluta; i grotteschi mostri del salone di De Brier sono spariti da un pezzo, e solo i più furbi, come Curtis Harrington, si sono reinventati nella macchina produttiva della tv (stringendo nel suo caso amicizia con Orson Welles: lo si intravede in The Other Side of The Wind); Marjorie Cameron ha da tempo dato fuoco a tutti i suoi scritti e dipinti: trascorre le sue giornate suonando l’arpa e fumando l’erba del suo giardino. Va a trovarla Genesis P-Orridge. Hanno molto di cui parlare. L’avantgarde non attrae più popstar e mecenati. Anger accarezza l’idea di sbarcare nel mainstream, lascia perdere in fretta. E’ ormai un grande vecchio, venerato, studiato, disinfettato; il nuovo millennio lo ritroverà alle prese con dei lavori a metà tra l’hobby e la pensione, brevi documentari illustrativi sui suoi grandi temi: il montaggio dei famosi affreschi di Crowley The Man We Want to Hang, il bizzarro cut-up di merchandise Disney Mouse Heaven. “Andavo a tutte le proiezioni in cui era prevista la sua presenza”, ricorderà Richard Kern, vate del Cinema della Trasgressione newyorkese così esplicitamente figliato dagli sperimentalismi osceni dei decenni passati. “Speravo di sentirlo parlare. Ma lui non parlava mai. Girovagava silenzioso tra la folla e basta”. Il ciclo della lanterna magica si è chiuso da tempo, il personaggio è finito dissolto tra biografie non autorizzate e clownesche interviste-performance. L’Eone di Horus tarda ad arrivare, Lucifero non è sorto ancora. Ma l’opera di Kenneth Anger non si accontenta di restare in silenzio. Non è mai appartenuta a nessuna epoca, e il fatto che ne abbia attraversate almeno cinque, continuando a risuonare dal profondo fino al presente, ne è la conferma. Mille rami sono partiti da quel tronco, si sono articolati in mille altre correnti e un milione di altri film e di altri artisti. Figli illegittimi di un mondo e di un cinema oscuro che forse neanche riconosceranno mai. A 93 anni, il testimone di tutto questo è ancora vivo. Dicono che ne dimostri venti di meno.