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LOVE CAMP 7 (AKA CAMP 7 LAGER FEMMINILE)

COMBO LIMITED BLU RAY / DVD

Il nostro giudizio:

Ben prima degli eroSSvastika italiani e francesi, prima ancora del “nazi poker” d’Autore (ViscontiCavaniPasoliniBrass) e della famigerata trilogia di Ilsa La Belva delle SS, nel 1969 fu Love Camp 7, il raffazzonato filmetto di Lee Frost conosciuto in Italia come Camp 7: Lager Femminile, a stabilire in maniera inequivocabile le caratteristiche principali della nazi exploitation ma anche, se si vuole, del wip in generale, puntando tutto su quell’incandescente mix di morboso feticismo e sadomasochismo a buon mercato che sarà poi il condimento basilare, di volta in volta sempre più estremizzato e degenerato, di tutti i film di questo bizzarro sottogenere. Se escludiamo i capolavori dei quattro autori italiani citati sopra (che ovviamente vanno tenuti a debita distanza dall’exploitation, anche se, loro malgrado, hanno contribuito, soprattutto in Italia, a innescare lo sfruttamento di certi temi), il centro nevralgico di questi freak cinematografici, come si può intuire facilmente, non è certo la cornice storica del nazismo (nient’altro che un contesto/pretesto), quanto piuttosto il pacchetto di atrocità e perversioni proposto con spregiudicata inventiva a un pubblico voyeur in cerca di vibrazioni estreme.

Poco importa, quindi, se la divisa è quella nazista, russa o da semplice guardiano/a di un carcere; poco importa se i prigionieri sono ebrei, rivoluzionari o semplici criminali (meglio però se sono prigioniere); ciò che conta è mettere in scena un microcosmo claustrofobico in cui far deflagrare pulsioni di dominazione e sottomissione sessuale, fantasie a base di umiliazioni, punizioni e parafilie assortite. Insomma, lo scopo principale è realizzare grotteschi luna park per cacciatori di emozioni forti, e il film di Lee Frost, anche se poverissimo e abborracciato, apre le danze lasciando segni precisi. Non stupisce che al timone dell’operazione Love Camp 7 ci fosse il leggendario David F. Friedman, l’uomo che nei primi anni 60 aveva intuito le potenzialità commerciali del “gore”, producendo i film di Herschell Gordon Lewis (e successivamente anche la saga di Ilsa, portando alle estreme conseguenze il canovaccio di Camp 7), o lo stesso Bob Cresse, qui attore protagonista, co-produttore e autore del soggetto insieme a Wes Bishop, due personaggi che già avevano collaborato con Lee Frost in altri progetti (per esempio Mondo Freudo -1966, Mondo Bizzarro -1966, etc); non stupisce perché solo un “clan” come questo, in quegli anni, poteva sfornare con tanta sfrontatezza un campionario “sex and violence” così esemplare.

Abbiamo la scena topica con le detenute spogliate e umiliate pesantemente. Abbiamo la scena della crudele visita ginecologica che le prigioniere sono costrette a subire sotto gli occhi sadici dei soldati. Abbiamo le scene di punizione e tortura, qui più soft rispetto a quanto si vedrà nei film successivi del filone, ma non per questo poco feroci. Abbiamo la scena in cui una prigioniera, dopo una dolorosa notte passata sul “cavalletto spagnolo”, bacia e lecca sottomessa gli stivali del comandante interpretato da Cresse. E abbiamo anche i rapporti sessuali forzati, etero e omosex. Abbiamo il soldato buono che si distingue tra le belve e abbiamo, perfino, il lieto fine! Non manca proprio nulla, e malgrado regia, fotografia e montaggio siano abbastanza elementari, bisogna ammettere che la povertà desolante degli ambienti garantisce uno squallore di fondo che rende abbastanza marcio e sgradevole l’impatto generale del film (anche se i costumi – soprattutto le uniformi naziste – sono abbastanza curati). Dopo queste premesse, come non amarlo?

Per anni visto solo tramite vhs full screen dalla resa non certo ottimale, Love Camp 7 risorge – letteralmente! – grazie all’incredibile trasferimento 4K del negativo originale 35mm realizzato da Blue Underground, e pubblicato in 2K nella nuova edizione combo limited bd/dvd uscita recentemente in America. Il master che BU ci consegna ha davvero una qualità eccellente, quasi insperabile per un film come questo: colorimetria ripristinata correttamente, neri robusti e quasi sempre profondi, contrasto impeccabile, definizione ottimale quando consentita, grana naturale e nessuna aberrazione dovuta a compressioni inadeguate o uso di DNR. Superficialmente, direi che per fortuna non sono stati usati filtri o, se sono stati usati, questa volta BU ha saputo sfruttarli nel miglior modo possibile.

Rispetto al full screen 4/3 che conoscevo, il rapporto di 1.66:1 anamorfico del blu ray aggiunge informazione ai lati dell’inquadratura. Anche se a volte le immagini sembrano tagliate in alto e in basso (cosa che potrebbe far pensare a un 4/3 reso wide in maniera posticcia), credo proprio che si tratti di sciatteria dell’operatore, perché anche il master 4/3 ha le stesse caratteristiche sopra e sotto, oltre ai tagli laterali che, ovviamente, nel nuovo master non ci sono. La traccia DTS HD Mono 2.0 inglese è pulita, soddisfacente, e per la gioia dei collezionisti di tutto il mondo l’edizione mette a disposizione sottotitoli in italiano, spagnolo, francese, portoghese, tedesco, danese, finlandese, olandese, svedese, russo, coreano, cinese, giapponese e inglese per non udenti.

Il comparto extra dell’edizione contiene il trailer del film in hd, una poderosa galleria fotografica (118 immagini), Nazithon: Decadence and Destruction, una featurette in inglese di 80 minuti realizzata da Charles Band per Full Moon Entertainment, in cui Michelle McGee, vestita da Nazi Mistress, parla sommariamente (superficialmente) del genere, scandendo una moltitudine eclatante di trailer cinematografici (dai nazi movie esteri a quelli “nostrani”, contemplando anche film collateralmente nazi come Shock Waves e Zombi Lake). Bisogna avvertire che, però, non tutto è andato bene in fase di encoding, sicché mentre le parti con Mistress McGee funzionano adeguatamente, le clip con i trailer procedono spesso in maniera inceppata a causa di cattive conversioni o altri problemi. Se vogliamo comunque un vero approfondimento del sottogenere nazi movie, piuttosto che il documentario di Band meglio tenere in considerazione il booklet esclusivo contenuto nel box: The History of Nazi Exploitation, puntuale e attendibile saggio del “nostro” Paolo Zelati in trasferta americana.