Il futuro dei cinecomic è donna
Un genere che non ha e non deve avere genere
Pensato principalmente per un pubblico maschile, oggi, il cinecomic è un genere che non ha e non deve avere genere. E questo non vuole essere un inno alle quote rosa, perché è difficile parlare di donne e cinema senza riesumare la diatriba del gender. Ma se c’è qualcosa che nel mondo cinematografico mondiale è cambiato, è perché la rivoluzione è iniziata su scala mondiale, partendo dalla regia alla sceneggiatura, dalle produzioni fino alla critica e al giornalismo. Nella vita, nulla cambia se non si compiono gesti clamorosi: non si tratta di mettersi contro gli uomini, ma semplicemente di mettersi alla pari. Così, con tiepido coraggio e un po’ in ritardo rispetto alla sua affermazione e al suo successo, anche il cinecomic, oggi, può vantare un immaginario modellato sulla cultura femminile, protagoniste incorporate in maniera organica nella realtà dei grandi universi cinematografici Marvel Studios e DC/Warner. Clamoroso e alquanto bizzarro il fatto che, nel cinema contemporaneo, siano state DC e Warner (con il loro DCEU) a imporsi in tal senso, realizzando il primo, vero cinecomic moderno sul grande schermo che vede protagonista una supereroina ancor prima dei Marvel Studios.
Ovviamente, stiamo parlando di Wonder Woman (2017), pellicola diretta da una regista donna (Patty Jenkins) e con protagonista Gal Gadot. Prima di quella che possiamo considerare in parte una rivoluzione, Marvel e DC si erano impegnate a garantire spettacolarità e grande azione, basandosi però su un concetto di supereroe fortemente sessista. Con l’arrivo di Wonder Woman e di un film che ha sì azione e divertimento, ma che esplora delicatamente anche il tema dell’amore e si concentra sulla genesi del personaggio, si è compreso che qualcosa poteva cambiare, che le donne nei cinecomic non dovevano rappresentare un retropensiero, una concessione, un’apertura forzata: da comprimarie potevano essere al centro della narrazione. La Wonder Woman di Gal Gadot ha aperto la strada a un nuovo futuro cinematografico supereroistico, non costituito solamente da gregarie, eroine di secondo livello o mogli che aspettano il ritorno dallo spazio dell’Iron Man di turno. Lo ha fatto cambiando pian piano il pubblico di riferimento e il pensiero delle produzioni, facendo assistere a una sostanziale parificazione della figura del supereroe, anzi, della supereroina. Pensiamo anche solo alla figura di Black Widow. Nata come coprotagonista eroticamente desiderabile all’interno di un gruppo di supereroi più devoti alla forza muscolare che a quella mentale, ha subìto la metamorfosi più commovente dell’Infinity Saga dei Marvel Studios, con un sacrificio finale che ha permesso agli Avengers di sconfiggere Thanos.
Ma la perfetta Natasha Romanoff di Scarlett Johansson è solo uno dei grandi esempi che possiamo riportare. Sempre Marvel, per rispondere a Wonder Woman, ci ha regalato la storia di Captain Marvel, supereroina che attraverso un percorso di conoscenza, consapevolezza e profondo cambiamento, ritorna alle origini del mito per approfondire grandi temi che riguardano la lotta tra i popoli e l’integrazione. Un’eroina anche più forte dei suoi colleghi maschi. E se la strada verso la rivoluzione del genere è ancora lunga, meno tortuoso è il percorso che ci porta a pensare che quella stessa rivoluzione tanto agognata è, in realtà, già a buon punto. La golden age dei cinecomic, per noi, dovrebbe ripartire dall’abolizione del concetto di genere, organizzando un nuovo discorso sulla rappresentazione della supereroina e nella riproposizione dell’origin story supereroistica che per forza di cosa acquisisce una piega particolarmente significativa proprio in virtù di un momento storico in cui le questioni femministe sono tornate prepotentemente alla ribalta. Solo il tempo ci dirà se questo cambiamento avrà successo. Noi ci crediamo.