Il signor Diavolo
Pupi Avati ci riprova con l'horror
Pupi Avati si muove secondo un suo ritmo segreto, occulto. Seguendo cabale temporali che alla fine ci sono diventate familiari. Ogni dieci anni, all’autore di La casa dalle finestre che ridono, “scappa” di girare un horror. Nel 1996/’97 fece l’Arcano incantatore. Nel 2007 Il nascondiglio. E nel 2017, ecco che arriva, annunciato un paio di giorni fa dalla ribalta del Bari International Film Festival, dove Avati era ospite, Il signor Diavolo. Il signor Diavolo, che è esattamente il titolo del romanzo di Pupi, pubblicato da Guanda a febbraio, e la presceneggiatura del film che speriamo in tempi brevi – ma Pupi è uno degli uomini più rapidi che esistano dietro la macchina da presa – sarà messo nella disponibilità di noi tutti avatiani convinti. Il libro si ambienta negli anni Cinquanta e comincia introducendo un pubblico ministero romano, Furio Momenté, che sta per arrivare a Venezia in vista di un processo delicatissimo. C’è di mezzo un quattordicenne che ha ucciso un altro ragazzino. Un delitto che affonda le sue radici in un’altra morte misteriosa risalente a due anni prima, quella di Paolino Osti, chi dice per malattia e chi, come il suo amico Carlo, perché vittima di una maledizione collegata a un sacrilegio: un altro amico, Emilio, ha fatto cadere Paolino mentre portava l’ostia consacrata per la comunione. E il giovane, prima di morire, avrebbe espresso la volontà, dal letto dell’agonia, di tornare. Tornare nel regno dei vivi da quello dei morti. E Carlo avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere pur di aiutare l’amico trapassato. Compreso uccidere Emilio e cercare l’aiuto di un alleato molto potente in questo genere di faccende. Il signor Diavolo, appunto…
L’humus è quello antico, denso, ricco del folklore delle campagne in cui si svolse la fanciullezza di Pupi. Lì dove sta lo scrigno di ogni suo più segreto bene e di ogni più segreto male. Al crocevia di strade perdute in cui si danno appuntamento individui dal piede caprino, patteggiamenti scellerati, terrori ancestrali. «Parlo di quello che mi faceva paura quando ero giovane. Parlo del Diavolo come paura somma, come sintesi del Male assoluto. Perché io credo che il male assoluto esista, il male che viene compiuto non per un vantaggio materiale o di altro tipo, ma per il puro gusto di farlo. Il Male per il Male. Quindi il Diavolo…». Come la “fola”, il narrare popolare che stava alla base di L’arcano incantatore, Il signor Diavolo trae alimento primo dal mondo rurale che viveva a contatto con forze primigenie che il trionfo dell’urbanizzazione, senza averle annientate, ha però ricacciato nel buio e nel silenzio delle campagne. Ma, viene da domandarsi e da domandargli, a Pupi: perché torna all’horror, infrangendo in qualche modo la promessa che aveva fatto, dopo il bagno di sangue che fu Il nascondiglio, di non tentare più salti nel vuoto del genere? « Il signor Diavolo è un tentativo di rigenerare un cinema italiano in cui ci sono sempre i soliti cast, dove non distingui un film dall’altro. Il cinema italiano non sta incassando più nulla, il box office è un bollettino di guerra». Come dire: una situazione disperata in cui solamente il signore delle tenebre può metterci coda e zampino e cavar fuori un miracolo.