In difesa di Nosferatu

L'intreccio tra horror e sesso di Robert Eggers: un film imperfetto ma suggestivo
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Per avvicinarsi serenamente al Nosferatu di Robert Eggers bisogna prima di tutto sgombrare il campo da un equivoco: il paragone col capolavoro di Murnau del 1922 e quello col capolavoro di Herzog del 1979. Ma un film che si chiama Nosferatu, nel 2025, può davvero evitare l’accostamento? Forse no, perché sin dalla sorgente del progetto il cimento è quello di riversare ancora sullo schermo la creatura millenaria, eppure l’esercizio critico – o almeno di pensiero – suggerisce di considerare Nosferatu come film in sé, come un’altra versione della stessa storia per capire davvero cosa c’è dentro, dietro e di lato. E cosa c’è? In primo luogo il trionfo del cosiddetto elevated horror, che è solo un’etichetta, e come tutte le definizioni limitativa: Robert Eggers, newyorchese di 42 anni, già fenomeno del genere anni Dieci, tocca l’apice della sua “bella calligrafia”, ossia compone un quadro per ogni inquadratura, la cesella, dipinge una tela con segno pittorico in cui è facile rinvenire gli artisti delle brume e delle angosce (Caspar David Friedrich, Johan Christian Dahl, Albrecht Dürer). Chi vuole l’horror diretto, al primo grado, interessato solo a fare paura può volgere lo sguardo altrove: qui è l’atmosfera, l’umore, la nebbia che si va evocando. È la costruzione estetica che si insegue come via maestra che porta all’orrore: lo dimostra l’arrivo di Thomas al castello del conte Orlok, una sequenza archetipo reinstallata con occhio eggersiano.

Il regista torna decisamente nel territorio di The Witch, anzi the VVitch, il titolo che lo lanciò esattamente un decennio fa e finora anche il migliore. La storia della giovane Thomasin, strega in divenire nel Seicento bigotto e castigato, scolpito dalle privazioni dei padri pellegrini, si muoveva in una zona di confine ambigua collegata direttamente a questa: l’intreccio tra horror e sesso. Anya Taylor-Joy si vedeva negare la propria adolescenza, non poteva fare sesso e allora umiliata dal divieto si perdeva nelle fronde del bosco; Lily Rose-Depp nel ruolo di Elen Hutter è l’evoluzione di quella figura, anche graficamente (i corpi delle attrici si parlano), una post-Thomasin che in gioventù ha incontrato il Vampiro, ne ha fatto conoscenza carnale e lo ha segretato, senza contare che l’essere immortale la insegue nel tempo-spazio anche per interposto marito. L’uomo è solo un adescamento per arrivare ad altro. Oltre la consueta parabola vampirica, quindi, è la Donna che deve affrontare il Mostro, l’unica che può batterlo, ma non sul piano figurato o sotto forma di metafora: deve accoppiarsi con lui, deve scoparlo per domarlo, deve portarlo all’alba dentro l’imbrunire. La bella e la bestia trovano apoteosi nella magnifica sequenza finale.

Nel mezzo c’è un film vampiresco di oggi, un’operazione che soffre anche evidenti mancanze, rischia grosso, sfida il ridicolo involontario: si prenda la scelta – talmente estrema da risultare coraggiosa – di annullare totalmente Bill Skarsgård nel personaggio del Conte, postumano (o preumano) e gutturale. L’attore si scioglie nella figura mostruosa e diviene irriconoscibile, potrebbe essere un altro, perché è una forma pura dell’orrore e quindi sovrasta la consuetudine attoriale del volto e corpo. Talmente folle, ripeto, da essere quasi ammirevole: molto nella ricezione del film dipenderà dalla reazione a questa scelta, che resta pericolosamente in bilico sul confine della “cazzata”. E da altri elementi, come l’occultista Von Franz di Willem Dafoe che ci arriva come la carta più debole del mazzo… E c’è infine un’altra cosa da fare, per rispetto di Nosferatu: non cerchiamo qui l’ironia o lo scetticismo che una volta si chiamavano “postmoderno”, altra etichetta inutile, perché questo è un horror serio, anche serioso, da guardare come tale. Lasciarsi cullare nella sua suggestione appare la soluzione più sensata. Un congegno, come detto, che funziona in parte, rilascia luci e ombre, ma tutto sommato si può difendere: perché dentro questo film imperfetto c’è molto da vedere. C’è anche, a tratti, da godere. Chi la cerca può trovare una specie di oscura meraviglia.

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