Incontro con Valentina Ruggeri
L'attrice e cantante con Ledyvette, è ora nel cast di Catch 22, nel ruolo di una prostituta. E non dice di no al nudo...
Valentina Ruggeri è quel tipo di attrice, affabile, simpatica, capace di esprimersi e di rendere ragione di ciò che fa, con la quale si vorrebbe sempre avere a che fare, quando si intervista qualcuno. Perché rende vano qualunque lavoro aggiuntivo di editing, di taglia e cuci. Celebre per far parte del gruppo vocale delle Ladyvette, versatili sia nel canto sia nella recitazione, comiche con intelligenza, Valentina è adesso nel cast di Catch 22, seri tv che, per usare le sue parole, “è in realtà cinema”. Il suo ruolo è quello di una procace prostituta malinconica, con spiccate doti canore…
Illuminaci un po’ su cosa è Catch 22…
Si tratta di una serie in sei episodi, prodotta da George Clooney e da lui diretta, insieme ad altri due registi. Ed è tratta da un libro, Comma 22, un testo antimilitarista. Si ambienta nel 1943 in Italia ed è la storia di piloti dell’aviazione americana che si trovano a concludere la guerra nel nostro Paese. «Non sappiamo perché siamo qui, non sappiamo con chi stiamo combattendo, non sappiamo per quale motivo gettiamo le bombe…»: il tema è un po’ questo, la casualità della morte nel corso di una guerra. Uno dopo l’altro, questi soldati sono destinati agli incidenti e ai paradossi di un conflitto bellico. Il Comma 22 stabilisce che, chiunque sia pazzo, può richiedere di essere esonerato di voli; ma chiunque chieda di essere esonerato dai voli non è pazzo. La cosa folle è che tutto questo è reale, le cose andavano veramente così. E nessuno, quindi, poteva essere esonerato dalle missioni di volo, per questa contraddizione irrisolvibile. Toccava volare finché non succedeva qualcosa…
Dove è stato girato, Catch 22?
La serie è stata girata, per glie sterni del campo militare, in Sardegna. Invece, la parte che mi riguarda, quella del bordello e dei paesini, è stata fatta nel Lazio, tra Roma e Viterbo…
Parli di “bordello” perché tu interpreti una prostituta…
Sì, sono Emma, una prostituta che lavora in un bordello fatiscente, un luogo che ha vissuto splendori barocchi ma che, adesso, è diventato povero e squallido. Il mio protettore è Marcello, interpretato da Giancarlo Giannini. Sono queste donne popolane, sdrucite, sgualcite, rovinate, costrette a prostituirsi per disperazione. Non c’è nulla di idealizzato, di artefatto: è stato ricreato fedelmente quello che doveva trovarsi in un bordello romano del 1943. La fame, la disperazione, i vestiti con i buchi… Il mio personaggio ha un rapporto particolare con un giovane soldato, che inizia alle gioie dell’amore mercenario. Sono una donna molto procace e provocante: sono l’unica ad avere delle scene di nudo…
Ecco, appunto, il nudo: è un problema spogliarsi su un set?
Io non ho problemi con nessun tipo di nudo. Perché vengo dal teatro, dove ho imparato che il corpo è uno strumento per veicolare messaggi, quindi non ho remore. Una prostituta che debba provocare un soldato per eccitarlo, che si proponga nuda è perfettamente razionale. Il mio discrimine, quando recito, è che se faccio qualcosa di gratuito, accuso imbarazzo. Ma se faccio qualcosa di giusto, consequenziale, allora mi trovo estremamente a mio agio. In Catch 22 non ho avuto difficoltà. Loro, tutti quelli del cast americano, sono stati deliziosi: mi hanno messo a mio agio, dicendomi che avrei potuto interrompere in qualsiasi momento. La bellezza di lavorare con dei professionisti… Eravamo più di 100 persone e non c’è stato nessuno che mi abbia messo a disagio.
Quindi hai un rapporto molto libero e naturale con il recitare en déshabillé…
Il nudo non mi era capitato mai in un film, ma spesso mi sono mostrata nuda a teatro. E anche lì non ho provato imbarazzo, perché la cosa aveva un suo senso. A teatro è anche più complicato, perché c’è un vero pubblico e il rapporto è “epidermico” e tutto è decisamente più forte. A teatro, anche le scene di violenza sono estremamente forti da subire per il pubblico. Mi è capitato, un paio di anni fa, di interpretare a teatro diversi personaggi che morivano uno dopo l’altro, sono morta almeno venti volte in un solo spettacolo. Si chiamava Crimini tra amici, uno spettacolo con la regia di Massimiliano Vado. Il teatro non era grandissimo e quindi la gente si trovava con me che rantolavo sui loro piedi. In questo spettacolo c’erano scene di sesso e anche lì le situazioni erano molto forti. Nel cinema, gli attori sono lontani, nel tempo e nello spazio. Mentre a teatro, tutto quello che vedi ti capita davanti agli occhi. Senti il calore, vedi il sudore… Ed è anche il motivo per cui io adoro il teatro, è il mio habitat naturale.
Gli americani ti hanno messa a tuo agio. In Italia, la situazione, da questo punto di vista, è diversa?
Devo dire che su un set italiano sarei molto più imbarazzata. Sui set italiani che mi sono capitati c’era molta più amicizia, erano tutti molto più amiconi. Cosa che, da un lato, può essere positiva, ma dall’altro ti può mettere in imbarazzo. Non mi è mai capitato il nudo su un set italiano, ma già semplicemente l’abito provocante, le gambe scoperte, ti fanno sentire l’elettricità intorno. Che qualche volta può essere imbarazzante. Questo è il motivo per cui penso che il nudo si veda sempre meno. Poi, figurarsi, dopo tutto quello che è successo con il #metoo: dopo l’aberrazione precedente, si rischia l’esagerazione opposta. Nel nostro lavoro l’imbarazzo non dovrebbe esserci: se siamo strumenti per raccontare una storia, non ci si può sottrarre a un nudo se la storia lo richiede.
Clooney ti ha aggiunto una scena, a quanto ne so…
Nel provino che ero andata a fare, per introdurre questo mio personaggio della prostituta, mi sono messa a cantare una canzone popolare. Clooney ha visto il provino ed è venuto a cercarmi sul set: è venuto diritto da me e mi ha detto: «Valentina, mi devi fare un favore: ti va se aggiungiamo una scena in cui tu canti Torna a Surriento?». Nel bordello, le scene di maggiore coinvolgimento lasciano il posto alla “quiete dopo la tempesta”. E in un momento di malinconia di tutti quanti, io canto la canzone, accarezzando il mio soldatino. Non ho idea come sarà montata e quanta parte della scena resterà. È una scena che ha inventato Clooney e tutto il cast americano era emozionatissimo, perché loro non sono abituati ai suoni della nostra musica popolare. Si è creato un clima strano sul set, quasi irreale, perché il canto a cappella richiede un silenzio totale. Un manto di silenzio e io che cantavo: è stato davvero molto toccante.
Hai già visto, Catch 22? E, soprattutto, ti sei piaciuta?
Non l’ho ancora visto tutto. Ho visto solo il primo episodio e l’ultimo. Non ho visto ancora niente di mio, perché sono negli episodi centrali. Però sono stata inserita nei trailer, quindi ho conferma che ci sono. Poi ho anche parlato con la regista, la quale mi ha detto che le scene sono molto belle. Quindi sono curiosissima, felicissima e anche terrorizzata, perché non mi sono ancora vista. Posso solo dire che Catch 22 è un prodotto da cinema, non ha niente a che fare con la televisione. Un prodotto proprio di alto livello cinematografico.
La tua notorietà, nel mondo dello spettacolo, è legata alle esibizioni canore e recitative, sui palcoscenici e nella fiction (le tre stagioni di Il paradiso delle signore), con altre due colleghe, Teresa Federico e Francesca Nerozzi…
Io faccio parte di un trio vocale: siamo tre cantati e attrici, ci chiamiamo Ladyvette e cantiamo come il celebre Triolescano. Noi cerchiamo di mettere in simbiosi l’allure degli anni Cinquanta, quella bellezza ed eleganza intoccabili, e la goffaggine, la fragilità delle donne attuali, con i problemi della società di adesso. Facciamo un tipo di spettacolo che in Italia non esiste. Cantiamo, recitiamo, facciamo qualsiasi tipo di esperimento possibile sul palco. La reazione del pubblico è sempre divertente. Sono stupiti. Dicono: “Pensavo di venire a vedere il bel canto e invece ho riso tanto”. Ed è quello che a noi più interessa. Stiamo facendo esperimenti e ci stiamo divertendo a giocare con la musica contemporanea, attuale…
Sei stata interprete, oltre che sceneggiatrice, anche di diversi corti…
La ricetta è uno dei corti che ho anche scritto e di cui vado molto fiera, perché parla di genitorialità transgender. Interpreto una transessuale che ha un particolare rapporto col proprio figlio, dopo il cambio di sesso. Il corto tratta un tema forte e ha vinto molti premi in giro per il mondo. Un altro bel corto, cui tengo, si intitola Caffè caldo e parla della diversa percezione del tempo da parte di giovani e anziani. I cortometraggi hanno un linguaggio molto particolare, l’ho capito scrivendoli. Devi sapere come veicolare un messaggio senza uscire di tema. Una bella sfida…