Intervista a Davide Garota
Parla l'autore di L'ultimo sorso del morto
Intervistiamo oggi Davide Garota, classe 1979, autore dei volumi Il fuoco non ha amici e L’ultimo sorso del morto, editi da Tunué.
Domanda di riscaldamento: presentati ai lettori di Nocturno, raccontaci chi sei e come sei arrivato al fumetto…
Sono nato nel 1979 e sono cresciuto in una casa senza televisione, iniziando a leggere fin da bambino. I fumetti in questo senso sono stati un approdo naturale. Ho sempre amato disegnare e ho studiato a Urbino, all’istituto d’arte, nel settore dell’animazione. Ho iniziato a 19 anni, appena uscito da scuola, a collaborare con riviste come Lo Straniero, di Goffredo Fofi, bellissima esperienza, realizzando vignette. Ho poi conosciuto Tunuè, per cui ho realizzato tre libri.
L’ultimo sorso del morto non è quindi la tua prima graphic novel, ma è la tua ultima novità. Parlacene.
Il libro racconta la storia di Jerry Braxter, ex berretto verde, soldato d’élite dell’esercito americano che, dopo aver servito il suo paese in Afghanistan, ha dovuto abbandonare l’esercito in seguito alla morte della moglie per poter badare alla figlia molto malata. L’ospedale presso cui la figlia si cura, fatto tipico americano, è estremamente costoso e Jerry lo paga lavorando come assassino a pagamento. Tornando a casa, Jerry, sui 45 anni, con un principio di calvizie e appesantito, trova una donna nuda nel suo bagno. Si tratta della Morte in persona, venuta a dirgli che la sua ora è giunta. Jerry si oppone, protestando in quanto nessuno resterebbe a pagare le cure alla figlia malata. La Morte, a questo punto, gli propone un patto: più gente Jerry riuscirà a uccidere, più tempo gli verrà concesso.
Abbiamo quindi, più che un horror, un’opera fantastica a tinte noir. Raccontaci ora la tua evoluzione, la tua crescita come artista e narratore.
Mi sono evoluto anzitutto graficamente, sia nella realizzazione delle anatomie sia nella resa del dinamismo, sempre difficile nei fumetti. Come sceneggiatore sono passato dal raccontare il mio mondo e quel che conoscevo bene, in questo mio ultimo libro parlo di Los Angeles, posto dove non sono mai stato e dove probabilmente non andrò mai, pur essendo a modo mio cresciuto in una lontana provincia degli Stati Uniti, cosa che a mio avviso l’Italia è. Mi sono dovuto per la prima volta documentare, per raccontare la California, dove si svolge la prima parte della storia mentre in Messico, scenario della seconda parte della storia, ci sono stato e di conseguenza ho sentito l’esigenza di raccontarlo, insieme a tematiche a me care.
Quali sono questi temi?
La morte, per esempio, un tema che dovrebbe interessare tutti. L’ultimo sorso del morto è un memento mori, una di quelle opere, presenti dal medioevo in poi, che ci ricordano che dobbiamo morire e che servono a esorcizzare la morte stessa.
Quali sono le tue più grandi influenze artistiche?
L’ultimo sorso del morto pesca a piene mani dal cinema americano, da Tarantino a Charles Bronson, un cinema fatto di azione, esplosioni, le così dette americanate. Come ti dicevo sono cresciuto senza televisione e, quelle rare volte che potevo guardarla, la guardavo con mio nonno, amante del genere.
Quindi una sorta di omaggio a una tua piccola trasgressione.
Diciamo di sì.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Realizzare questo libro, che è venuto bene, richiede che il prossimo sia all’altezza. Ho altri progetti ma nulla di ben definito.