Intervista a Franco Pezzini
Dracula: il manoscritto ritrovato diventa un caso letterario
Portato alla luce dal lavoro dello studioso olandese Hans Corneel de Roos, il volume I poteri delle tenebre. DRACULA, il manoscritto ritrovato, pubblicato in Italia da Carbonio Editore, è un caso letterario pazzesco che sta facendo molto parlare di sé. Creduto per lungo tempo una normale traduzione del Dracula di Bram Stoker a opera di Valdimar Ásmundsson, pubblicato a puntate su una rivista islandese a fine ottocento, e successivamente raccolto in volume nel 1901, il libro ha la particolarità non indifferente di essere, di fatto, un altro romanzo. L’opera differisce dall’originale per una moltitudine di dettagli tutt’altro che secondari: la trama e le proporzioni fra le varie parti del libro differiscono, sono stati inseriti alcuni personaggi e ne sono stati eliminati altri e il conte stesso ha una caratterizzazione diversa dal Dracula che tutti noi conosciamo. Fino a qui, potremmo collocare I poteri delle tenebre nella moltitudine di testi apocrifi che, in diversa misura, riprendono il Dracula di Stoker modificandolo in maniera più o meno significativa. C’è tuttavia qualcosa che fa del volume un caso a sé stante e lo rende estremamente significativo. Ne parliamo con Franco Pezzini, firma storica del magazine Carmilla tra i massimi studiosi della cultura vittoriana e di come essa sia raccontata nel cinema e nella letteratura, specialmente per quanto riguarda la figura di Dracula, nonché autore del volume Il conte incubo (ed. Odoya).
Franco, cosa distingue I poteri delle tenebre dalla galassia degli apocrifi che ha avuto origine dal Dracula di Stoker?
Anzitutto il fatto che il concetto di apocrifo presuppone in genere un autore diverso da quello del testo-canone: un autore che imita l’originale, o mostra di “continuarne” la storia o di rileggerla, persino in chiave di pastiche. Qui invece l’anomalia è che dietro al testo c’è lo stesso Stoker, anche se non è affatto chiaro il suo tipo di apporto. E si è ipotizzato – in termini ragionevoli, anche se rimane un’ipotesi – che alla base di I poteri delle tenebre sia non tanto la versione finale, canonica del Dracula, alterata per l’occasione, ma una delle tante forme “primitive” assunte dal romanzo nella complessa, magmatica genesi tra le prime note preparatorie pervenute (1890) e l’uscita del Dracula che conosciamo (1897).
Con due precisazioni, a complicare il caso come un vero e proprio giallo. La prima: non è chiaro quanto l’editor straniero immetta di nuovo, inventando di sana pianta, nel materiale trasmesso da Stoker. Materiale che poteva già differire parecchio dal contenuto del Dracula definitivo: per dire, i primi progetti del romanzo avevano un sapore molto più poliziesco, che avvicinerebbe appunto a questa versione nordica… Certo, alcuni dettagli sono chiaramente immessi dall’editor, ma su altri aspetti è impossibile dire (almeno per ora). Veniamo però alla seconda precisazione: l’editor a monte dell’operazione non sembra Ásmundsson che cura l’edizione islandese, ma il misterioso “A-e” di un’edizione svedese riscoperta ancora più tardi. In sostanza, la versione islandese Makt Myrkranna del 1901 pare un adattamento personalizzato da Ásmundsson (con dettagli legati alle sue competenze sulle saghe e il folklore norreno) della versione svedese Mörkrets Makter del 1899 a cura di “A-e” (forse identificabile nel giornalista Anders Albert Andersson-Edenberg). Ma complichiamo ulteriormente il quadro: questa versione svedese riscoperta da Rickard Berghorn proprio sull’onda del clamore per la pista islandese è in realtà duplice – nel senso che c’è una sub-versione lunga e ce n’è una abbreviata… Se ne attende ora un’edizione congrua per il mercato internazionale, che tenga conto di entrambe le sub-versioni: ma dai primi studi emerge già un nesso tra la svedese abbreviata e l’islandese. Quest’ultima ovviamente non perde interesse, tutt’altro: consideriamo che nell’età tardovittoriana l’Islanda è divenuta oggetto di una vera e propria moda culturale, e le specificità di tale edizione sono affascinanti. Bene ha fatto dunque l’editore Carbonio a proporre in lingua italiana l’edizione internazionale (fitta di note, e aggiornata alle ultime scoperte) di questo testo pieno di misteri. Che certo – tornando alla domanda – può dunque definirsi un apocrifo del Dracula canonico, ma in modo del tutto particolare.
Non sembra affatto improbabile che ci siano stati contatti fra Ásmundsson e Stoker. Alla luce del fatto che I poteri delle tenebre contiene alcune idee che Stoker stesso aveva pensato di usare per il suo Dracula, quanta intenzionalità ritieni ci possa essere nella trasmissione di queste idee ad Ásmundsson? Forse Stoker voleva che I poteri delle tenebre vedesse la luce per come è poi effettivamente stato pubblicato?
Stoker è infinitamente affascinato dal mondo nordico, norreno, vichingo. L’idea di edizioni in lingue del nord deve deliziarlo. E oltretutto si trova in una situazione economica nuova: all’inizio del 1899 il teatro Lyceum, che lui ha amministrato per anni come braccio destro del proprietario-mattatore Irving, è passato nelle mani di una società a responsabilità limitata. Irving malato non lo ha neppure consultato per la cessione, una delusione enorme: è davvero la fine di un’epoca e il Nostro deve reinventarsi un mestiere per vivere. Per cui sceglie la scrittura, che soprattutto col Dracula gli ha dato alcune grosse soddisfazioni.
Per ora non è affatto chiaro quali siano i canali che fanno approdare il Dracula in Svezia e poi in Islanda. Ma ancora poco prima di morire, Stoker si affannerà a raccogliere i propri racconti già apparsi su varie riviste, per confezionare antologie: non sarebbe strano che negli anni precedenti estraesse dai cassetti anche la copia di una vecchia versione del romanzo per passarla ai suoi interlocutori, “A-e”, Ásmundsson o intermediari. Lasciando loro libera mano per modifiche: anche qui, non sappiamo se si tratti di una richiesta loro (hanno già idee in merito?) o di una proposta sua. Ma anche ipotizzando che lui non consegni affatto una vecchia versione e che invece loro lavorino ad alterare direttamente il testo definitivo del Dracula (magari traducendo “creativamente”?) è plausibile che Stoker sia al corrente delle libertà che si prendono e per pragmatismo ben retribuito le accetti. In fondo il risultato non si intitolerebbe neppure Dracula – come il testo a cui è ormai affezionato – ma I poteri delle tenebre… Mi sembra però improbabile che lui venga a conoscere al dettaglio le singole alterazioni recate dagli editor stranieri: gli viene probabilmente fornito qualche chiarimento e tutto si ferma lì.
Ci sono a tuo avviso aspetti in cui I poteri delle tenebre è migliore di Dracula? L’opera ha un suo significato solo per gli appassionati che intendano confrontarla con l’originale o ha una sua forza come romanzo a sé stante?
Mi sembra difficile fare un paragone, sono due romanzi molto diversi. Dracula è il frutto estremamente complesso di un lungo travaglio artistico, una sorta di opera-mondo dove precipita idealmente tutto il panorama vittoriano. Un romanzo con alcune imperfezioni (date che non corrispondono, tracce residue di dati eliminati…) perché l’autore lo ritocca di corsa ancora in ultimissima fase, ritagliando e incollando scampoli di testo scritto fino all’ultimo momento utile o quasi, e che trattiene come a strati geologici l’ombra di infiniti altri Dracula potenziali. Ma un romanzo comunque con equilibri strutturali lungamente pensati e (oggi si può dirlo senza timore di scatenare anatemi della cultura “alta”) di vera dignità letteraria: un risultato dove Stoker fa certo tesoro anche dei consigli di amici scrittori come Hall Caine, ma con uno sforzo molto più personale di quanto critici malevoli abbiano per lungo tempo voluto riconoscergli.
I poteri delle tenebre è qualcosa di molto diverso, più ruvido e pulp: un delizioso, affascinante, intrigantissimo feuilleton che si ama in quanto tale: viene da pensare (anche senza un collegamento diretto) a testi divertenti, convulsi ed eccessivi come I misteri di Londra di Féval padre, dove pure c’è una congiura e loschi aristocratici. A un feuilleton, lo sappiamo, non si chiede un equilibrio strutturale. Per cui per esempio non disturba ciò che altrove lascerebbe perplessi, il fatto cioè che la seconda parte del testo sia in forma di riassunto: una soluzione che pare un po’ folle ma si spiega con la derivazione dalla versione abbreviata svedese. Meravigliosa la vampira che in fondo potrebbe essere una povera demente, una figura ambigua e sfuggente con cui Thomas (non Jonathan) Harker vive siparietti erotici molto meno nevrotici degli incontri con le vampire del romanzo-canone. Di estremo fascino tutta la parte (penalizzata dal fatto d’essere solo riassunta, ma che guadagna paradossalmente in giochi d’ombre e mistero) con il gruppo di loschi aristocratici stranieri. Sfuggente e intrigante in sottofondo l’ombra dei delitti cosiddetti “del Torso”, che richiamano idealmente ai bassifondi di Londra insanguinati dallo Squartatore… Per non parlare del sapore vichingo che emerge dagli echi alle saghe inseriti dall’ottimo Ásmundsson. E potremmo continuare. Per cui l’interesse non è solo quello da filologi che comparano i due romanzi, ma riguarda un tessuto di contenuti – e il divertimento relativo. Il testo insomma merita la lettura.
Quale fu l’impatto de I poteri delle tenebre? Il libro ha lasciato un suo segno nella cultura islandese?
Sì, come opera di grande suggestione gotica che, nonostante la stroncatura dell’unico recensore d’epoca (Benedikt Björnsson, 1906) ha nutrito le fantasie del pubblico dell’isola e della sua coscienza culturale. Qualunque opera uscita su Dracula – fin dal film con Lugosi – in Islanda è stata collegata a Makt Myrkranna. Discorso diverso, ovviamente, vale a livello internazionale: dove il primo impatto recato da I poteri delle tenebre (ben prima che Hans Corneel de Roos si accorgesse che il contenuto non è una traduzione del Dracula) arriva dalla curiosissima prefazione a firma di Stoker, scoperta da Richard Dalby negli anni Ottanta. È il primo assaggio di questo illusionistico testo islandese di cui qualcuno nota la stranezza: l’autore parla dei personaggi come di amici personali o comunque persone esistenti, e ammannisce obliqui ammiccamenti a delitti molto misteriosi del mondo tardovittoriano. Scatenando per esempio improbabili ipotesi da parte di alcuni studiosi di Jack the Ripper…
Al di là delle qualità intrinseche dell’opera, il lavoro di ricerca di Hans Corneel de Roos che valore ha in termini di ricerca storica e di critica letteraria?
Bisogna senz’altro esser grati a de Roos per la passione con cui ha seguito questa pista, il classico uovo di Colombo dove alcuni tasselli – abbastanza paradossalmente, in un mondo globalizzato – non erano stati ancora messi insieme. Il volume è riccamente annotato e la compenetrazione di fantasia vittoriana e suggestioni norrene viene fascinosamente illuminata dai suoi rilievi, in particolare a proposito dei problemi di traduzione da una lingua complessa come l’islandese. Resto un po’ più tiepido su un certo sensazionalismo a proposito di altre scoperte annunciate da de Roos. Emblematica quella sulla pretesa collocazione del Castello Dracula, a fronte di dati testuali lasciati volutamente sfuggenti da Stoker per una creazione pura dell’immaginario: non si può escludere che a livello di suggestione de Roos possa avere qualche ragione, ma sulle ipotesi suggerirei minor clamore… Però quel che è giusto è giusto: e qui ha trovato qualcosa di straordinario.