Intervista a Franco Trentalance
Dal mondo del porno al suo primo fumetto horrror: Bloody Park
Veterano della scena del porno internazionale e icona pop in the making, Franco Trentalance è un personaggio poliedrico che, nella sua carriera, non si è fatto mancare niente. Tra cinema, letteratura, televisione e, di recente, fumetti, l’ex pornostar si misura disinvolto con diversi media, non mancando mai di far parlare di sé. In occasione dell’uscita di Bloody Park, graphic novel di cui firma i testi insieme a Marco Limberti e Andrea Cavaletto con Gero Grassi ai disegni, Franco Trentalance si racconta per i lettori di Nocturno.
Attore, scrittore, personaggio televisivo e sceneggiatore. Franco Trentalance è un uomo ricco di sfaccettature. Iniziamo approfondendo quella per cui sei diventato famoso. La tua carriera di attore porno è durata più di vent’anni: dal 1996 al 2017. Si può dire che hai visto l’industria cambiare, rivoluzionata dall’avvento della rete. Dal declino dell’home video alle piattaforme gratuite, passando per il definitivo sdoganamento e alla frequenza sempre maggiore con cui le star del porno diventano icone mainstream, hai vissuto ben più di un momento storico per il settore. Ci racconteresti la storia del porno dalla tua prospettiva?
In realtà c’è stato un cambiamento evidente ma forse più dal punto di vista commerciale, distributivo, che non dal punto di vista della produzione o strettamente da attore o da attrice. Le cose più divertenti erano le grosse telecamere con le videocassette dentro, che erano veramente ingombranti, in scena le avevi letteralmente tra le palle, poi si è passati ai nastrini più piccoli e infine alle schede, però è un’evoluzione che non ha, per l’attore, influito più di tanto. Ora si fanno quasi esclusivamente clip video, però anche anni fa c’erano i film con trama, location di un certo tipo e nelle produzioni più ambiziose anche operatori steadycam. Quindi, per quanto mi riguarda nessuna evoluzione traumatizzante, per così dire. E’ stato più traumatizzante, forse, per chi ha iniziato in un’epoca precedente alla mia, il passaggio dalla pellicola alle telecamere moderne. Mi raccontavano attori come Malone e altri della vecchia guardia che la pellicola cinematografica aveva un costo importante e quindi si girava lo stretto necessario. La scena montata doveva durare un quarto d’ora? Si giravano venti minuti, tenendone cinque di scarto. L’avvento del digitale ha fatto sì che la scena durasse in video venti minuti per un’ora e mezza di set, perché girare costava meno: gli attori erano pagati, la location pure, tanto valeva girare che l’abbondanza è meglio della scarsità. Capisci che per gli attori e le attrici questo era molto più traumatizzante, tant’è che ai tempi della pellicola gli attori maschi giravano spesso due scene al giorno, venti minuti e venti minuti ce la puoi fare, mentre se la scena dura un’ora e mezza, un’ora e tre quarti girarne una seconda diventa un po’ problematico anche per un professionista.
Se il porno da un lato può definirsi sdoganato, crescono movimenti, come il femminismo in alcune sue espressioni più radicali, che lo avversano profondamente, considerandolo degradante per la donna e parte di una cultura che reifica il corpo femminile. Cosa ne pensi?
Sui set, che conosco bene a livello internazionale, non c’è nulla che non venga concordato prima, anche le scene più forti, sono fatte con il consenso di tutti. Sul set la vera star è la donna. L’uomo è certamente indispensabile ma, ti faccio un esempio pratico, se chiede uno stop, vuole bere un bicchier d’acqua o ha il fiatone il regista fondamentalmente sbuffa. Se invece è l’attrice a chiedere uno stop, “Tranquilla, certo, va benissimo, rifacciamo la scena, rifacciamo il trucco se non ti senti a posto”. Quindi, si lavora entrambi ma l’attrice è la vera star. Sulle copertine, finche c’erano i DVD, c’erano le attrici, i nomi più cliccati sono quelli delle attrici, quindi lavorano molto ma c’è rispetto e ribadisco, anche le scene più forti sono assolutamente concordate. Poi, che la ragazza abbia diciotto o diciannove anni e di conseguenza non abbia la piena consapevolezza di quello che fa è un altro discorso che va al di fuori del porno.
Negli anni ti sei gradualmente trasformato in un personaggio mainstream apparendo in televisione e nel cinema non pornografico, producendo nel frattempo diverse opere letterarie. La tua precedente professione si ti ha aiutato in termini di visibilità? Si è poi rivelata una gabbia o sei riuscito a uscirne?
Direi che principalmente mi ha aiutato. Rispetto a me stesso, a non aver paura delle sfide. Io ho sempre paragonato l’attore o l’attrice hard a un campione sportivo, perché ogni scena è come un match di Wimbledon, una partita di Champions, e più sei famoso e meno hai margine di errore. Trentalance è un professionista di livello e non può mai sbagliare di una virgola, quindi il convivere e superare l’ansia da prestazione mi ha aiutato ad avere meno timore rispetto a situazioni nuove e impegnative. Rispetto al pubblico, da un lato la popolarità aiuta sempre, dall’altro ho dovuto affrontare qualche pregiudizio ma ci sta, non sono mai stato rancoroso in tal senso. Quando ho iniziato a scrivere libri, attualmente ne ho scritti cinque più un fumetto, facevo un po’ il giro degli editori e venivo rimbalzato bellamente da tutti. “Cosa c’entra Trentalance, uno che ha usato il pisello fino a ieri, con la scrittura?”. In realtà, ho sempre scritto per diverse riviste, detto ciò ci sta che se per anni hai fatto un lavoro e ti proponi in una veste diversa la gente si chieda cosa ci fai in quella nuova veste. Se fai il giornalista per vent’anni e poi ti metti a cucire abiti di sartoria, cosa c’entra? E’ legittimo che ognuno pensi ciò che vuole. Per cui, il mio vecchio lavoro mi ha dato soprattutto vantaggi, più qualche piccolo svantaggio in termini di pregiudizio, però è tutto risolvibile, basta non avere fretta e non andare in crisi se qualcuno ogni tanto ti dice un no.
Sasha Grey e Valentina Nappi sono solo due delle tue colleghe, sicuramente le più famose, che hanno compiuto, o stanno poco a poco compiendo, un percorso similare a quello che hai compiuto tu. Si tratta di una modalità consolidata per ricostruire un brand personale e lanciarlo sul mercato del grande pubblico o chi si muove in questo modo ha effettivamente qualcosa da dire?
Credo non sia una scelta. Ci sono state attrici che hanno iniziato a fare porno, soprattutto dopo che io partecipai a La Talpa su Italia Uno, per usarlo come rampa di lancio per diventare famose. Poi, non essendo il processo così automatico, dopo un po’ succedeva che diventavano famose nel settore hard ma non sfondavano nel mainstream. A quel punto restavano deluse e spesso peggioravano anche come performer sul set. Quindi, chi è entrato nel porno per diventare famoso ha toppato, attrici come Valentina e Sasha Grey che sono state guidate da una grande passione che col tempo si è evoluta, hanno fatto un passaggio comprensibile. In ogni caso, chi ha fatto un lavoro tanto impegnativo e fuori dagli schemi, ha sicuramente qualcosa da comunicare e da insegnare.
Parliamo del Franco Trentalance scrittore. Come nasce l’idea di scrivere libri? Vuoi parlarci delle tue opere?
La scrittura nasce da lontano, io ho sempre amato comunicare, C’è chi comunica con la musica, chi comunica con la danza, chi comunica con un mestiere che ritiene consono alle proprie attitudini, io lo facevo col corpo e anche con la parola, ma ho sempre vissuto la parola come strumento di seduzione, perché alla fine al di là dell’aspetto estetico nella seduzione arriva ciò che tu comunichi con le parole. Quindi ho vissuto la parola da un punto vista inizialmente seduttivo rispetto all’altro sesso, poi l’ho usata come strumento per comunicare a tutto tondo e mi è servita per la radio, per la TV, per il teatro eccetera. Mi sono allenato scrivendo, avevo rubriche per GQ, per Nocturno, per Velvet Gossip che è un altro sito d’informazione, per Video Impulse che era una rivista sul cinema hard, insomma mi sono cimentato su più fronti. Le cose sono state diverse per la narrativa, ho iniziato con un’autobiografia che è un passaggio forse più facile, Ritrattare con Cura, tra l’altro vende ancora bene a distanza di tempo, e successivamente sono arrivati i thriller e il manuale di seduzione. Non sarò il miglior scrittore del mondo ma nemmeno il peggiore.
In qualità di scrittore horror, cosa pensi della divisione fra letteratura “alta” e letteratura di genere? Trovi che quest’ultima sia letteratura minore?
La divisione esiste come per qualunque settore: il cinema, la musica, la pittura e via dicendo. Nel mio caso il porno, era proprio low profile, perché siamo sempre stati considerati la ruota di scorta della cinematografia, anche se sappiamo bene che per anni il porno ha sostenuto cinema, videoteche, canali a pagamento e siti internet. Alla fine il porno è spesso bistrattato a livello ufficiale (per quanto ora sia più pop rispetto a un tempo) però ha sempre foraggiato i canali con cui ha collaborato. Tornando alla domanda, la letteratura alta e la letteratura di consumo esistono, tuttavia di questi tempi, leggere è veramente una dote, chiunque ha fra le mani un libro cartaceo o un ebook è una persona degna di stima dal mio punto di vista. Perché leggere è impegnativo in termini di tempo e di concentrazione quindi chiunque legga merita un plauso e se uno scrittore riesce a far leggere più persone, mi scoccia dirlo ma anche Cinquanta sfumature di grigio per quanto sia un romanzo davvero mediocre ha il merito di aver avvicinato alla pagina scritta persone che forse mai ci sarebbero arrivate. In sintesi, chiunque avvicini la persona a un libro o a un fumetto per me è degno di ammirazione.
Veniamo alla tua esperienza come sceneggiatore di fumetti. Come nasce l’idea di Bloody Park? Perché hai scelto proprio il fumetto per raccontare questa storia?
Una frase banale potrebbe essere: “Non ho scelto io il fumetto, ma è il fumetto che ha scelto me”. C’è una casualità: con Marco Limberti, il regista col quale ho scritto il romanzo Il guardiano del parco, da cui è tratto il fumetto, abbiamo concepito il nostro thriller come una sceneggiatura e quando Edizioni Inkiostro ha letto il libro lo ha subito sposato perché l’impostazione si avvicinava per sua natura a quella del fumetto. Pensando ai miei thriller, ben più complicato sarebbe stato trasporre a fumetti gli altri titoli. Ovviamente, fumetto e libro non sono identici, ci sono delle varianti.
Quali sono gli autori che ti hanno influenzato, sia nei fumetti che nella letteratura?
Ho letto veramente di tutto, da Charles Bukowski a Richard Bach, da Paulo Coelho a Robert Crais, che è il mio autore preferito di thriller, ho letto tanti libri sulla vita di Gesù Cristo che come personaggio storico mi ha sempre affascinato tantissimo, poi tanti volumi di formazione, io sono anche un coach, e uno dei preferiti è Wayne Dyer. Credo sia come nella vita, più interessi si hanno e meglio è. Quanto ai fumetti, io dico sempre, sorridendo, che nella mia cameretta convivevano tranquillamente Alan Ford e i supereroi della Marvel insieme a Sukia, Ejacula e il Montatore e ogni tanto ci finivano in mezzo anche i vari Mastro Don Gesualdo e I Promessi Sposi. Ma su quel tavolo, erano tutti in pace e in armonia.
La tua scrittura mischia la prosa e la sceneggiatura. Vorresti approfondire la questione?
Lo stile de Il guardiano del parco era molto visivo fin da subito, tanto che io e Marco abbiamo girato delle clip con me che impersonavo questo serial killer etico che non faceva soffrire le sue vittime, perché le sedava, e aveva un amore sconfinato per la natura e gli animali e, per contro, una certa avversione per gli esseri umani. Abbiamo pensato a questo personaggio, attribuendogli provocatoriamente le mie sembianze. Si è trattato quindi, di un passaggio inverso rispetto ai canoni classici, perché dalle clip video è nato il romanzo che ha le sembianze di una sceneggiatura che, a sua volta, è diventato un fumetto, Quindi una genesi molto particolare, direi.
Puoi darci qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri? Dove sta andando Franco Trentalance?
Innanzitutto vorrei rilassarmi, sempre, perché il riposo è una bella invenzione e pare che ce ne stiamo dimenticando. Sembra che chi è indaffarato come un matto sia un figo e chi si riposa sia un fesso. Io sposterei quest’asse di giudizio. Riposarsi non vuol dire che uno non faccia nulla, vuol dire dosare le proprie abilità e il proprio lavoro con momenti di riflessione e di creatività. Più arrivi a un progetto di lavoro riposato e più a mio avviso, sei creativo ed efficiente. Certo, bisogna mettersi nella condizione di poterlo fare.