Intervista a Giuseppe Camuncoli
Parla l'autore di Green Valley
Giuseppe Camuncoli ne ha fatta di strada. Dall’Italia agli Stati Uniti, dalle copertine della prima edizione italiana di Tiger Mask per Saldapress a Spiderman per Marvel Comics passando per Vertigo con Hellblazer, Cammo ha recentemente realizzato, con Max Landis ai testi, la miniserie Green Valley. Stefano Tevini lo intervista per Nocturno.
Buongiorno Giuseppe, ti chiedo di presentarti ai lettori di Nocturno. Qual è il tuo percorso nel fumetto?
Buongiorno Stefano, e buongiorno (o piuttosto buonanotte, visto il nome del vostro magazine) a tutti i lettori di Nocturno. Disegno e leggo fumetti per passione sin da quando ero piccolo (sono nato nel 1975 a Reggio Emilia). Poi, in prima superiore, ho frequentato un corso serale di fumetto tenuto da Otto Gabos e Onofrio Catacchio, all’epoca praticamente all’esordio con la seminale rivista Fuego, che vedeva coinvolti anche autori quali Igort, Menotti e Semerano, per intenderci. A quel corso ho conosciuto Matteo Casali, con cui ho iniziato a girare per fiere, sia in Italia che negli Stati Uniti, mostrando progetti e tavole di prova a tutti gli editori che ci piacevano. Insieme abbiamo creato nel 1997 Bonerest, un’autoproduzione atipica che strizza l’occhio ai comics americani, e che ottiene fin da subito grande attenzione. Per farla breve, nel 2000 ho ottenuto dalla Vertigo/DC Comics il mio primo incarico ufficiale, sulle pagine della serie Swamp Thing, scritta allora da un esordiente Brian K. Vaughan. Ripresomi dallo shock e dalla sorpresa per essere riuscito a pubblicare per una delle case editrici più grandi e conosciute del mondo, e già soddisfatto per questo risultato, mi sono subito dovuto abituare al fatto che avrei continuato a lavorare per loro (non era per nulla scontato), che ne avrei fatto una professione e che non mi sarei più fermato. Tuttora stento a crederci. Sono passati vent’anni dal mio esordio professionale, e tra le mie mani sono passati personaggi sia DC come Batman, Superman e John Constantine, che Marvel come Wolverine e gli X-Men, Hulk, i Fantastici Quattro, ma soprattutto Spider-Man, che ho disegnato per ben sei anni. Ma anche, in campo italiano, Diabolik, Tex, Dylan Dog o Gli Scorpioni del Deserto di Hugo Pratt. Insomma, un percorso in parte imprevisto, in parte profetizzato dagli amici, che mi sembra tuttora un mezzo miracolo.
Domanda tecnica. Hai lavorato in Italia e negli Stati Uniti. Cosa cambia nel fare fumetti nei due contesti? Quali sono le differenze per un disegnatore? Come cambiano il modo di concepire i fumetti e il metodo di lavoro?
Non cambia tantissimo, nemmeno in Francia a dire il vero: la natura, il fluire e la concezione del lavoro sono grosso modo i medesimi. Anche in America, per dire, non cambia moltissimo da Marvel a DC. Piuttosto, per la mia esperienza, quello che può fare la differenza sono gli approcci dei singoli editor, che possono rendere fantastico o terribile il tempo impiegato da un autore a lavorare su un progetto. Basta non trovare l’intesa, non essere in sintonia, non riuscire a venirsi incontro quando si hanno pareri diversi e di fatto lo spirito del lavoro di gruppo (perché di questo si tratta, a meno che non si lavori da autore completo) che sta alla base del fare fumetti viene rovinato. Fortunatamente mi è accaduto in poche, pochissime occasioni. Per il resto, fare fumetti è fantastico.
Sempre riguardo alla tua esperienza internazionale, qual è lo stato attuale del fumetto nel mercato italiano e in quello statunitense? Dacci una tua visione sullo stato delle cose.
Non è che sia particolarmente informato a riguardo, a parte le chiacchiere e le impressioni scambiate con colleghi, lettori e professionisti del settore durante le fiere o gli incontri in fumetteria. Mi pare di percepire che questo sia un momento piuttosto felice per il fumetto mondiale, al netto delle singole situazioni. Il fumetto non era mai stato conosciuto, apprezzato e seguito a livello globale come in questo momento. Sicuramente in passato si vendevano milioni di copie, ma non esistevano tante altre forme di entertainment che ora sono invece diffusissime. Però, se anche solo venti o dieci anni addietro si aveva la netta sensazione che solo una cerchia di interessasti conoscesse questo settore, i suoi autori o i suoi personaggi, ora invece pare essere stato definitivamente sdoganato, e di questo non posso che essere felice, tanto da disegnatore quanto da lettore. Ad esempio, sono tantissime solo in Italia le case editrici ‘classiche’ come Feltrinelli, Mondadori o Newton Compton, che hanno aperto vere e proprie sezioni o collane dedicate al fumetto, rispetto alle uscite episodiche di cui si occupavano prima. Questi secondo me sono segnali forti, che non si possono ignorare, e che lasciano intravedere sviluppi sempre più interessanti per il futuro. Tant’è che anche in Italia cominciano a vedere la luce iniziative come la serie RAI dedicata al bonelliano Dragonero o il film tratto dalle opere di Zerocalcare, che sulla scia delle operazioni americane, riuscite o meno, possano alzare ulteriormente il livello di diffusione della Nona Arte.
Green Valley è davvero un ottimo lavoro. Ce ne vuoi parlare?
Io ti ringrazio di cuore, credo che l’intero team GV, da Max all’inchiostratore Cliff Rathburn, dal colorista Jean-Francois Beaulieau all’editor Sean Mackiewicz, abbiano dato tutto per quest’opera. Io me ne sono innamorato alla prima lettura, e credo che lo stesso sia capitato agli altri, e che questo abbia fatto uscire quanto di meglio ognuno di noi sapeva fare. E poi, l’amalgama e l’alchimia tra di noi ha funzionato a meraviglia, e non sempre accade quando si lavora per la prima volta insieme. Grande merito, ripeto, va a Max Landis e alla storia epica, profonda e ricca di colpi di scena che ha saputo concepire e tessere. Si trattava inizialmente di una sceneggiatura cinematografica, che Robert Kirkman e Skybound hanno voluto adattare per il medium fumetto, affidandomi la parte grafica. Per circa due anni, coadiuvato e assistito per la parte delle matite dal mio collega di studio Claudio Fontanesi, ho affiancato le tavole di Green Valley a quelle di The Amazing Spider-Man. Il fumetto è uscito circa un anno fa negli Stati Uniti ed ha avuto un’ottima accoglienza, tant’è che i primi sei numeri (su nove) sono tutti andati esauriti e ristampati. E’ poi uscito da poco il cartonato che raccoglie in volume l’intera miniserie, proprio mentre in Italia Saldapress ha brillantemente proposto il Green Valley Pack, che raccoglie in un’unica soluzione tutti gli albi singoli per un inedito e finora apprezzatissimo binge-reading. I feedback continuano ad essere estremamente positivi e lusinghieri, sia in termini di critica che di vendita, e tutti noi ne siamo felici e orgogliosi.
Quali sono gli autori che ti hanno influenzato maggiormente?
Tantissimi! In ordine sparso ed entropico: Hugo Pratt, Frank Miller, Katsuhiro Otomo, Sergio Toppi, Moebius, Ivo Milazzo, Dave McKean, Kent Williams, Phil Hale, Mike Mignola, Jim Lee, Marc Silvestri, Kevin Nowlan, Frank Quitely, Jack Kirby, Steve Ditko, John Byrne, John Romita (Jr. e Sr.), Duncan Fegredo, Sean Phillips, Ted McKeever, Marc Hempel, Teddy Kristiansen, e sicuramente sono tantissimi quelli che mi sto dimenticando. Non so quanti di questi siano in qualche modo riconoscibili nel mio stile, oppure in quale misura mi abbiano effettivamente influenzato, ma di sicuro sono autori che amo e che mi sono letto allo sfinimento.
Uno sceneggiatore con cui vorresti lavorare?
Ce ne sono talmente tanti… Banalmente mi ripeto e rispondo “Alan Moore”, per motivi che sarebbe quasi inutile elencare. Ma sono molti gli autori con cui mi piacerebbe collaborare, come Frank Miller e Mark Millar, o con cui ho già collaborato, seppure brevemente, e con cui riprenderei volentieri una collaborazione, come Brian Azzarello, Jason Aaron, Matt Fraction, Marjorie Liu e Grant Morrison.
Hai nuovi progetti in cantiere?
Per il mercato americano, sto lavorando ormai da un annetto alla nuova serie Marvel dedicata a Darth Vader, scritta dall’ottimo Charles Soule. Sto completando il numero 12 dei 24 totali che comporranno questo ciclo molto affascinante dedicato a uno dei cattivi più cattivi della storia della fiction, e mi sto divertendo moltissimo, essendo un grande appassionato della saga creata da George Lucas. Credo che sia uscita in questi giorni la versione italiana targata Panini, non vedo l’ora di scoprire quali saranno le reazioni dei lettori italiani. Infine mi fa piacere sottolineare la riedizione, nella prestigiosa collana Oscar Ink di Mondadori, de Il Vangelo del Coyote, la mia prima graphic novel in compagnia di Gianluca Morozzi e Michele Petrucci uscita dieci anni fa per Guanda. Si tratta di un fumetto che ho molto a cuore, con una storia formidabile, che per l’occasione è stata ricolorata e rieditata e che speriamo possa conquistare nuovi lettori. Altre cose belle bollono in pentola, ma è ancora presto per annunciarle.