Intervista a Luigi La Monica
Parla il curatore del Festival in corto, direttore di Puglia Show
Si è da pochi giorni conclusa a Lecce, capitale del barocco, la ventunesima edizione del Festival del Cinema Europeo, quest’anno da remoto, in ottemperanza alle ultime disposizioni del Dpcm. Il Festival ha riscosso un grande successo di pubblico, grazie alla passione e alla professionalità che il direttore del Festival: Alberto La Monica e il Curatore del Festival in corto, direttore di Puglia Show: Luigi La Monica, testimoniano ormai da anni. La promozione di giovani autori e registi europei, la valorizzazione del territorio e della tradizione, gli incontri, e non ultimo il Concorso in sé, fanno ormai del Festival del Cinema Europeo, uno degli appuntamenti a cui non mancare.
Quando è nato il suo amore per il cinema, Luigi?
Presto. Mia madre (Cristina Soldano, la prima direttrice artistica del Festival) l’ha trasmesso a noi tutti. Ricordo di aver visto Superman al Fiamma, credo, e poi facevamo delle proiezioni casalinghe con una famiglia di amici a Lecce. Si vedevano quei pochi film che si riuscivano a trovare in quel formato… I dieci comandamenti, uno Spiderman (con effetti speciali molto artigianali!). Poi, quando ci dovemmo trasferire a Bari, accompagnavo sempre mamma all’ABC, un cinema in zona Fiera che è stato pioniere della programmazione cosiddetta d’essai. Ricordo di aver visto Kagemusha.
Come e quando ha avuto l’idea d’istituire la sezione Puglia Show all’interno del Festival del Cinema Europeo?
Nel 2005. Poi nel 2008 quando raccolsi l’invito a dirigerlo, lo trasformai in concorso. Quell’anno chiamammo Gianni Volpi a presiedere la giuria. Vinse Sergio Recchia con Tutto bene.
Come avviene la selezione dei corti per il Puglia Show?
Un paio di mesi prima lanciamo una call, l’iscrizione è gratuita. Registi, produttori e distributori iscrivono i loro lavori. E devo dire che i giovani che si presentano sono sempre molto preparati: hanno dei curricula davvero molto interessanti e variegati per formazione ed esperienze. Dopo la deadline vedo i corti e faccio la selezione. E’ complicato: è necessario stare attenti al momento e cercare di capire che periodo sta vivendo il “movimento”, se di movimento si può parlare. Quello attuale è un momento delicato: fino a qualche anno fa mi potevo permettere di essere molto severo, come piace a me, ma oggi bisogna dare messaggi di incoraggiamento. Ho conosciuto ragazzi che non iscrivevano i loro lavori: ed è la cosa peggiore, che sia autocensura o paura del rifiuto. E mi sembra di percepire una minore voglia di esprimersi da parte dei più giovani: in un’intervista, il pittore Tarasov disse che non poteva vivere a Roma perché c’è troppa arte e non rimane spazio mentale per coltivare la propria creatività. Temo che l’eccesso di esposizione a troppi prodotti su troppi media, prodotti che troppo spesso sono fatti per schiacciare l’immaginario, stia avendo questo effetto deleterio sulle ultimissime generazioni. Invece è importante esprimersi e cercare di far sentire la propria voce e comunicare il proprio punto di vista. Puglia Show esiste per questo: per coltivare la capacità di raccontare la propria realtà, la propria visione delle cose. Io sono cresciuto in una Puglia in cui il cinema era un’utopia e si doveva andare altrove per farlo. Oggi, grazie a tutti gli operatori culturali che si sono messi in moto, è completamente diverso.
Quest’anno, a pochi giorni dall’inizio, il Festival del Cinema Europeo per motivi di sicurezza sanitaria non si è potuto svolgere in presenza. Come avete affrontato questa nuova modalità?
Eravamo già “saltati” ad Aprile per il lockdown e ci siamo premuniti con una piattaforma online. Purtroppo la chiusura forzata delle sale è sopraggiunta ad una sola settimana dal festival, quando comunque stavamo lavorando convinti di poter fare un’edizione in presenza. Nonostante ciò, siamo riusciti a salvare la maggior parte del programma. Puglia Show non ha avuto defezioni. Certo però non è stato proprio possibile né dare la giusta cornice ai lavori, come per esempio Inverno di Giulio Mastromauro, il David di Donatello di quest’anno, che ho voluto in programma proprio per dare al pubblico l’occasione di ammirarlo sul grande schermo, né creare tutte quelle situazioni di incontro che danno tutto un altro sapore al Festival dal vivo. Prima, per esempio, parlavo del curriculum dei giovani registi: in sala sono solito riassumerlo brevemente nel presentarli. E questo può dare una percezione più completa del lavoro che viene proiettato sullo schermo.
Secondo Lei il Cinema, come luogo di aggregazione, e il Festival, come luogo di confronto, allo stato attuale delle cose ha bisogno di essere ripensato e riformulato?
Il Cinema come luogo, sì, va assolutamente ripensato. Le sale chiudono, è un dato di fatto, una triste ecatombe. Basti pensare all’abbattimento del Santa Lucia, che è stato la casa del Festival per molte edizioni. Solo gli esercenti che lavorano fortemente alla fidelizzazione del pubblico ed a un’offerta mirata riescono a sopravvivere. E la sala da sola spesso non basta. Bisognerebbe che molti prendessero esempio dal Nuovo Sacher di Nanni Moretti. Come ha fatto L’AncheCinema a Bari, che sta facendo un lavoro molto interessante in questo senso. Il Festival si rinnova sempre: è così per tutti i Festival. Anche Venezia, che è il Festival per antonomasia, cambia di continuo. E’ una necessità fisiologica. Un Festival è sempre un luogo di confronto e di collaborazioni. Basti vedere cosa abbiamo fatto quest’anno con i progetti Circe e Sparc, o il Premio CGIL Puglia per il miglior corto sul lavoro, che è stato istituito a poche settimane dall’edizione. Nulla è fermo, ma sempre in continua evoluzione. E’ importante però stare attenti a osservare i cambiamenti che sopraggiungono, altrimenti si rischia di avere una percezione completamente errata delle cose.