Intervista a Maurizio Lacavalla

Nocturno incontra l'illustratore in occasione del Lucca Comics and Games 2024
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HPL – Una vita di Lovecraft è una graphic novel che racconta l’universo di Lovecraft. L’ennesima? Non proprio. Lo sceneggiatore Marco Taddei e il disegnatore Maurizio Lacavalla indagano la vita del genio di Providence andando a cercare il punto di giunzione fra il suo universo interiore e il suo immaginario. Il lavoro di Lovecraft ha impattato sulla narrativa fantastica mondiale influenzandola nel profondo, ispirando una moltitudine di artisti che si sono approcciati alla sua opera omaggiandola, o espandendone i mondi fantastici in una prosecuzione diretta delle sue storie, andando a generare un’estetica riconoscibile nel suo sguardo sul mondo e nei suoi presupposti filosofici. In occasione di Lucca Comics and Games 2024 Stefano Tevini ha intervistato Maurizio Lacavalla, che ha illustrato il volume.

D: HPL – Una vita di Lovecraft è una biografia anomala: la vita di Lovecraft non viene raccontata mettendo al centro fatti o episodi. Qual è stato il vostro approccio al genere?

R: L’idea che Marco ha avuto fin dall’inizio è stata quella di un’opera di ingegneria inversa: partire dalle opere dell’autore per desumere la sua vita creando un evento mai avvenuto, di pura fiction, questa lettera che compare data dal padre al figlio. Su quest’evento non reale abbiamo basato il racconto della sua vita. Molti dei fatti raccontati non sono reali ma verosimili. Paradossalmente questi fatti inventati sembrano rappresentare il vissuto di Lovecraft meglio della biografia ufficiale, questa vita interiore dinamica, tanto diversa dalla sua vita reale passata per lo più fra le mura di casa.

D: In che punto il vissuto di Lovecraft si giunge con la sua arte?

R: Domanda di una certa importanza. Secondo me molti dei concetti chiave della sua opera nascono in quegli anni passati chiuso in casa con la madre, con le zie e con i nonni. Le sue paure iniziano da lì, tutto quanto inizia da lì. Molte delle cose che Lovecraft rimpiange e che cercherà di recuperare con la scrittura hanno base nella sua infanzia, tant’è che il capitolo che se ne occupa è struggente, forte, uno dei miei preferiti da disegnare, lì c’è l’anello che collega la sua vita e la sua scrittura. Qui nascono le sue paure, fa le sue prime letture e perde alcune delle figure importanti della sua vita, per esempio i nonni, e vive con la figura soverchiante della madre che letteralmente lo sommerge.

D: Rispetto al successo di Lovecraft autore, quali sono gli elementi che lo rendono tanto trasversale?

R: Secondo me la sua vicinanza alla conoscenza del mondo canonico, la sua preparazione matematica e scientifica, la sua preparazione in fisica e in astronomia, sono caratteristiche che rendono Lovecraft estremamente contemporaneo. Lui si distacca dall’orrore per come veniva raccontato prima di lui, posto perennemente al di là. Con Lovecraft l’orrore è al di qua, perennemente presente e inevitabile ed è proprio la conoscenza scientifica del mondo che porta alla pazzia e sono interessanti tutte quelle derive contemporanee che trasportano l’immaginario lovecraftiano qui e ora per spiegare le dinamiche del nostro mondo, dall’ecologia al capitalismo. C’è un libro bellissimo, uno dei primi che Marco Taddei mi ha regalato per iniziare a lavorare all’opera, che è La pietra della follia, di Labatout, in cui partendo proprio dalla biografia di Lovecraft e dalla sua concezione di orrore l’autore cerca di spiegare la pandemia, i colpi di Stato e tutto ciò che oggi risulta di difficile comprensione perché ci confonde e ci spaventa.

D: Quali sono state le scelte che in quanto narratore hai fatto per raccontare l’universo di Lovecraft?

R: La prima cosa che ho avvertito dovendo raccontare Lovecraft per immagini è stata la paura di confrontarmi con i giganti che lo hanno approcciato prima di me. L’idea che ho avuto fin dall’inizio, apparentemente paradossale visto il mio stile di disegno, è stata l’ordine, il distacco da una visione caotica dell’immaginario dell’autore, che è quella conosciuta, per avvicinarmi di più a un’idea quasi razionalistica degli orrori di Lovecraft, che rientra più nella visione di Lovecraft stesso in quanto appassionato di cubismo e di futurismo. C’era in lui questo approccio estremamente razionale seppur frammentato alla realtà. Un’ulteriore scelta è stata quella di affrontare la sceneggiatura di Taddei in maniera diretta. Si tratta di una sceneggiatura classica, mi piace definirla magmatica in quanto l’ho trovata modellabile. A sua volta lui ha modellato il mio lavoro e così via in uno scambio continuo, ci siamo sovrascritti molte volte. Alcune parti le ho prese alla lettera. Uno degli aneddoti che racconto spesso a riguardo è il punto in cui la madre deve parlare a Howard con quello che Taddei descriveva come il ghigno di un’arpia. L’immagine mi è sembrata tanto ficcante, tanto potente che ho deciso di trasformarla completamente in un’arpia, il che non era previsto ma ho voluto calcare la mano per valorizzare la scrittura di Marco che è molto letteraria, le sue immagini sono molto forti anche se si tratta solo di indicazioni di sceneggiatura. Si tratta di una scrittura talmente forte che a volte ho abbandonato la sequenzialità del fumetto, per esempio nell’ultima parte del libro, accompagnando il suo testo così com’era con delle immagini in quanto la sua prosa in certi passaggi non ha bisogno di una vera e propria narrazione per immagini, quindi le illustrazioni sono più che sufficienti.

D: Dopo tutto questo misurarsi con Lovecraft da parte di una moltitudine di autori che ha parlato di, girato intorno a, talvolta direttamente copiato l’autore, cosa rende il vostro contributo unico e rilevante?

R: Questa è una domanda abbastanza sottile perché mi pone in una condizione di autoanalisi e anche un po’ di vanto, cosa che a me riesce particolarmente difficili. Un motivo per leggere questo volume è esplorare un nuovo modo di raccontare l’immaginario di Lovecraft che si distacca molto da altre opere che si trovano in giro oggi, quello di vedere la sua vita e la sua esistenza da un punto di vista inedito. Ammetto che qui ci vorrebbe Marco (ride). La nostra è una vita possibile di Lovecraft, una possibilità di come possa essere andata la sua esistenza e nello scriverla ci siamo messi al suo posto provando a capire le sue paure.

D: Prima di HPL – Una vita di Lovecraft hai realizzato Alfabeto Simenon un altro atto d’amore verso un autore importante della letteratura contemporanea. Due atti d’amore, due approcci totalmente differenti nonostante l’autore e la cifra stilistica siano i medesimi. Vorresti confrontare queste due opere?

R: Le caratteristiche che ho amato dei due fumetti sono quelle che li rendono differenti. In Alfabeto Simenon non c’era una storia, la sequenzialità era assente, era la rappresentazione del mondo dell’autore attraverso ventuno parti separate corrispondenti per l’appunto alle ventuno lettere dell’alfabeto. In HPL, al contrario, ho potuto vivere Lovecraft per intero, dalla sua infanzia alla sua morte, è stato un lavoro empatico, di vicinanza, veramente forte, a parte il fatto che abbiamo lavorato al libro per cinque anni e sono arrivato a sentire una forte compassione, una grande tenerezza per Lovecraft. Secondo me lui era una persona estremamente tenera e sensibile. Con Simenon il lavoro è stato diverso, un entrare e uscire continuo dalla sua testa perché un po’ raccontavamo la sua biografia e un po’ riproponevamo le sue storie, è stato un lavoro frammentario, più un esercizio sugli escamotage. Avevo ventuno raccontini diversi affrontati con ventuno soluzioni diverse, quasi un lavoro da prestigiatore. Lovecraft l’ho raccontato con un fumetto pensato per essere letto dall’inizio alla fine, tant’è che Alfabeto Simenon è consultabile aprendolo a caso, partendo da qualsiasi lettera mentre HPL va letto per intero. Anche dal punto di vista tecnico i due lavori differiscono. Nel libro su Simenon c’è tanto grigio, il fumo è ovunque mentre per Lovecraft ho scelto un bianco e nero netto, caustico ed è la prima volta per me.

D: Possiamo definire le due opere due esplorazioni dei limiti della razionalità poste l’una agli antipodi dell’altra? Simenon attraverso il giallo esplora l’applicazione sistematica, funzionale della ragione mentre Lovecraft racconta la ragione che fallisce.

R: Certo. Se in Simenon la razionalità, la conoscenza e la comprensione portano alla soluzione, se raccogliendo tutti gli indizi e collegandoli risolvi il caso, in Lovecraft se tu raccogli tutte le tessere del mosaico che compongono la realtà, lui usa queste parole, impazzisci, ti ritrovi davanti agli occhi ciò che di solito il tuo sguardo non riesce a cogliere per intero, e la pazzia in Lovecraft porta alla morte.