Intervista a Maurizio Tesei
Un ruolo a muso duro nel nuovo film di Luna Gualano, Credimi!
Maurizio Tesei è tra i protagonisti del nuovo film di Luna Gualano, Credimi!, dal 3 ottobre su Prime Video Italia, USA e UK, Apple TV worldwide e Google Play Italia, prodotto da Daniele Moretti con Amanita Media e distribuito da Direct to Digital. Abbiamo avuta una conversazione molto densa e interessante, assolutamente decontractée, nel corso della quale è uscita una visione del cinema italiano attuale molto realistica e per nulla filtrata dall’oleografia imperante…
Stavo scorrendo la tua filmografia ieri… Hai anche cose horror, nell’armadio…
Sì, ho un gusto fantasy, io… (ride)
Ad esempio, stavo cercando di ricordarmi di Fantasmi – Italian ghost stories…
Quello era un progetto un po’ particolare, era nato come esercitazione universitaria. Però, visto che i registi erano già professionali, alla fine sono riusciti a fare un prodotto con un buon taglio e l’hanno poi distribuito, chiaramente per il piccolo pubblico. Non ricordo l’iter che ha fatto quel film, io ho visto delle proiezioni al cinema, ma non so se sia riuscito a rimanere in sala per poco tempo o zero. Credo sia stato poi distribuito sulle piattaforme.
Ma quello era ancora 2009, se non sbaglio?
Eh, è vecchiotto quello, sì
Era un film a episodi?
Sì, era un film a episodi. Erano tutti episodi horror, per questo era nato come “esercitazione”…
Domanda di rito, tu com’è che hai cominciato? Come nasci?
Il mio pallino nasce proprio con i primi passi, nel senso che forse sono rimasto scottato già quando si giocava agli indiani e ai cowboy: “Io voglio giocare tutta la vita”, ho pensato. E poi anche l’idea di avere un posto fisso, tutti i santi giorni, diciamo che non mi ha mai allettato. I mestieri mi piacevano tutti, dal benzinaio al colletto bianco, quindi dico: qual è l’unico mestiere che posso fare per farli tutti? Ed era questo qui dell’attore. Poi, insomma, la vita è un po’ più difficile quindi non siamo riusciti a farli tutti. Lo studente non lo potrei più fare, potrei fare un supplente o un insegnante, ahimè. Ho sempre avuto il pallino fin da piccolo, poi, spesso, con l’età, scopro che è una cosa che mi riesce al di là della recitazione, il mestiere dell’attore a 360 gradi, che è una cosa che sta morendo, ahimè.
Tu pensi che la situazione sia così drammatica?
Lo noto quando vado sul set, nel senso che io sono un attore, sul set, molto tecnico, gli addetti ai lavori trasalgono come se fossi un attore blasfemo, ma avere tecnica non la vedo una cosa brutta. Techné è l’arte del saper fare. Il percorso emozionale me lo faccio quando sono in prova, ma sul set come si preme rec e parte la macchina da presa, si preme rec e parte l’attore. Io la vivo così sul set. Per questo dico che il mestiere in sè sta morendo, nel senso che quando faccio una scena io sto attento all’audio, alla fotografia, ai movimenti di macchina, sto attento a tutto quello che gira attorno ad una scena. E questo lo faccio un po’ istintivamente, un po’ per il rispetto di tutti gli altri reparti e degli altri lavoratori che contribuiscono al film. La cosa che mi fa notare che il mestiere sta un po’ morendo è che quando io faccio queste cose mi guardano come se fossi un alieno… A volte mi fanno anche i complimenti per questa cosa, ma…
Mi stai dicendo che c’è poca professionalità?
C’è poco mestiere. Ora non parlo dei grandi, perché poi, grazie a dio, uno su mille ce la fa. Soprattutto negli ultimi anni, stanno uscendo degli attori che sono bravi, poi io non so come si comportano sul set. Io adesso parlo proprio del set a livello di manovalanza, come affronto io il set: per me è quello. E quando vedo questi occhi che mi guardano come se avessi fatto una cosa straordinaria, da una parte sono contento dall’altra, però, resto un po’ di sasso, perché per me è l’ordinario, non trovo nulla di straordinario in quello che faccio sul set. Per questo dico che il mestiere sta proprio morendo. Io ho avuto la fortuna, in quei pochi lavori che ho fatto, di lavorare con persone che il mestiere lo conoscevano e lì scopri la differenza di lavorare sul set, perché è tutto più amalgamato, più armonico. È una danza il set, tutti ballano con la stessa musica e allora esce fuori una bella coreografia.
Qual è il primo film che hai fatto in assoluto, parlando di cinema?
Et in terra pax che risale al 2009 anche questo, anno di produzione 2010 e coprodotto da Chimera film che nasceva allora con Gianluca Arcopinto. Non so se ti è capitato di vederlo, quello ambientato a Corviale.
No, quello no, l’ho letto ieri nella tua filmografia ma non l’ho visto, cercherò di recuperarlo. È bello?
Sì, sicuramente è da vedere. Molto forte anche quello come film; nasceva con poche pretese, ma quando poi Simone Isola ha letto la sceneggiatura e l’ha presentata ad Arcopinto dicendogli: “Dobbiamo fare questo film!”, allora il budget che è uscito fuori, prima irrisorio, è cambiato. Il cast tecnico e artistico ha deciso di reinvestire in questo film per prendere la Red Cam Camera e quindi ci siamo divertiti, ma è anche uscita fuori una risoluzione che è stata a Venezia fuori concorso, al Tokyo film festival, a Mosca, insomma di festival ne ha girati tanti. Comunque, è un prodotto valido, molto crudo e delicato anche nel raccontare determinate scene e tematiche. C’è una regia molto delicata da questo punto di vista che non vuole sconvolgere, ma vuole raccontare.
Nel 2004, però, trovo nella tua filmografia Kiss me Lorena…
Eh, infatti, devo andare ancora più indietro per trovare il punto da cui ho iniziato. Qui entriamo ancora in un altro campo, con quelli che io chiamo “i ragazzi di Livorno”, anche se eravamo ragazzi nel 2004. I Licaoni, una società factotum, con i quali, tra l’altro, abbiamo fatto Kiss me Lorena, ma precedentemente a questo abbiamo girato un cortometraggio che era anche quello sui mostri e io facevo il capo dei mostri, ho fatto un po’ da cavia con questi trucchi, materiale ed effetti importati dall’America. Insomma il primo giorno di set abbiamo fatto circa dieci ore di trucco, poi si sono specializzati e abbiamo chiuso a sette o sei. Una produzione vede questo cortometraggio e dice: “Okay vi vogliamo finanziare il lungo!”. Loro scrivono la sceneggiatura del lungo; quando presentano la sceneggiatura a questa casa di produzione, piccola, che tra l’altro faceva anche film di genere negli anni 80, presentano il budget che avevano pensato per il film e quel budget andava a coprire forse i costi dei materiali e dei trucchi, perché avremmo dovuto fare un’orda di mostri e di zombi a quel punto. Quindi con questo budget irrisorio loro in tre giorni hanno detto: “Ora ci divertiamo”, e hanno tirato fuori Kiss me Lorena.
Ti riferivi a una produzione che faceva film di genere negli anni Ottanta, ma chi erano? Ti ricordi i nomi?
Non ricordo il nome, però ho detto “di genere” per essere un po’ discreto, perché se non ricordo male era un genere hard (ride).
Beh, abbastanza normale per quegli anni. E quindi questo Kiss me Lorena?
E quindi hanno scritto questa sceneggiatura in tre giorni ed è stato proprio divertente, perché poi il plot era semplice: un gruppo di attori che prepara un film e racconta la storia così a tavolino. E quindi parlano di questo film come se fosse il film della vita, un kolossal e man mano le scene prendono vita e queste scene sono di un delirio e di una demenzialità assoluti, laddove, però, la conoscenza del cinema di questi all’epoca giovani esce fuori, perché erano tutte tematiche diverse. Non so… c’era lo spezzone del poliziesco anni Ottanta con tutte queste immagini montate rapide, c’era l’horror anche lì, c’era il musical, quindi alla fine tutte le scenette che prendono vita diventano un delirio di demenzialità apocalittica. Ci siamo divertiti giocando con la fotografia e tutto il resto. Con questi ragazzi di Livorno abbiamo girato adesso a Novembre Twinky Doo’s Magic World che stanno finendo di girare ora, sempre per problemi di budget.
Ma è un horror anche questo?
Questo è un horror, thriller, fantasy… Storia d’amore e d’amicizia (ride). La base è quella di un horror psichedelico molto di atmosfera più che di mostri & splatter. Ed è bello perché in questa situazione surreale, tra l’altro anche molto recitata in dialetto, c’è questa aderenza totale alla realtà, dovuta al dialetto, alle dinamiche e allo stile recitativo, però non è un dialetto strict. È un lavoro molto interessante che loro stanno finendo di girare adesso, perché solo per pensarlo, un lavoro del genere, devi avere un budget di, se non due milioni, poco ci manca, consapevole del fatto che quando ne hai spesi quattro, di milioni, hai vinto. E le cifre ovviamente non erano queste neanche lontanamente, ma la voglia di fare il film c’è. Sono quelle situazioni in cui capisci perché hai scelto di fare questo mestiere, sostanzialmente, che sono le persone che ci stanno dietro e non i soldi. Adesso stanno finendo di girarlo. Ci sono dei flashback quindi serviamo tutti noi bambini e non potevano far girare i bambini a dicembre come abbiamo fatto noi, in maniche corte, quindi si sono presi del tempo per metterli in condizioni cristiane per girare.
La regia di chi è?
Alessandro Izzo.
Che è sempre lo stesso che aveva fatto Kiss me Lorena?
Sì, dei Licaoni. Nella società c’è anche Guglielmo Favilla, lui forse lo conosci.
Sì, come no, certo.
Siamo arrivati a parlare di questo perché…
Siamo arrivati a parlare di questo perché abbiamo affondato le radici nel terreno delle tue origini.
Eh si, io uscivo dal Centro Sperimentale, mi ero appena diplomato e Guglielmo stava all’ultimo anno: ci siamo sempre stati simpatici e mi ha detto: “Andiamo a fare ‘sta mattata!”. E quindi siamo partiti.
Ma invece cos’era 4 4 2: il gioco più bello del mondo?
Sempre un film a episodi con registi misti e c’era Francesco Lagi anche lui del Csc e anche Roan Johnson. Io poi non ho mai visto una sceneggiatura di quel film. Roan mi ha mandato proprio a braccio e ha detto vai.
Dopo Et in terra pax io trovo un film di Alessandro Capone, del 2014, 2047 – Sights of Death e ho l’impressione di averlo visto, era tipo fantascientifico?
Lì c’è un’altra storia. Chi l’ha scritto è un mio amico, Tommaso Agnese, presidente adesso della Fabrique du Cinema, la rivista di cui i soci fondatori sono lui e Davide Manca, direttore della fotografia. Scrisse questa sceneggiatura pensando a me come protagonista, poi è uscito fuori un budget importante e infatti nel cast c’è Rutger Hauer, Danny Glover, Daryl Hannah, Stephen Baldwin che ha fatto il personaggio che era stato scritto per me, e Michael Madsen: io sono stato ucciso in scena da lui, un onore pazzesco. Attore indomabile lui sul set. E quindi è uscita fuori questa situazione in cui questo mio amico e collega mi ha chiesto se mi andasse di partecipare e anche quella è stata una figurazione. Un film post apocalittico.
Ma io credo di averlo visto. Era del 2013-2014, vero?
Sì, sì, esattamente. Il regista Alessandro Capone lo avevo conosciuto sul set di Distretto di Polizia e lì è venuto da me col copione in mano e mi ha detto: “Cosa vogliamo fare con questa sceneggiatura?”. Questa è stata la nostra presentazione e io allora mi sono tagliato le prime sette battute. E lui mi ha detto: “Non mi dire nulla, io chiamo l’azione e vediamo da dove parti e vediamo quello che fai, mi fido”.
Poi hai girato Lo chiamavano Jeeg Robot, di Mainetti, che ha avuto un grande successo, si è parlato moltissimo di questo film…
Lì è stato bellissimo per com’è andata la situazione. Mi è arrivato questo provino, lo faccio. Leggo questa sceneggiatura e mi sembrava un po’ già vista, perché avevo solo lo stralcio della scena che poi ho fatto al provino, che era la scena dello scontro tra il mio personaggio e Lo Zingaro. E io al primo ciak gli ho detto: “Ma non stai a fa’ Romanzo criminale…” e infatti Mainetti mi fa: “Bravo, è proprio quello che non voglio fa’ io, non è Romanzo criminale. Adesso rifammela con le battute giuste e rifammela così”. E niente, poi lì mi hanno comunicato che ero stato preso. Il titolo era fuorviante anche per noi. Io avevo visto il cortometraggio di Mainetti e già lo consideravo un genio, ma il titolo era un po’ fuorviante, infatti mi ero detto: “Ecco, una volta che mi prendono per un film, chissà che stronzata sarà! Leggo la sceneggiatura e resto folgorato. Si gridava al genio e quindi lì poi è andata. In realtà ho scoperto successivamente che vedendo il film il mio personaggio, per breve che fosse, avrebbe preso il comando della banda. Ma se avesse fatto una cosa del genere, il film sarebbe durato sei ore.
Quindi avete dovuto snellire…
Sì, però era tutto giocato su un equilibrio molto delicato, nel senso che lì la scena è quella e se tu vai troppo su, smonti i rapporti tra lui e Lo Zingaro, se vai troppo giù, la scena non regge. Infatti, poi, l’aiuto regista, alla festa del film, me l’ha confidato; mi fa: “Ma che scherzi? Abbiamo provinato tutta Roma e non riuscivamo a trovare Il Biondo, quando abbiamo provinato te, abbiamo esultato” perché non si riusciva a trovare un attore che riuscisse a tenere questa linea su un equilibrio precarissimo. È stato un set divertente nella sua difficoltà, non c’è mai stata una scaramuccia tra nessun reparto e le difficoltà erano tante, soprattutto con le scene action coi cavi, coi voli delle persone…
Invece, Il contagio io non l’ho ancora visto, com’è?
È anche quello molto importante. C’è Vincenzo Salemme, ma non pensare di trovarti davanti a una commediola, bisogna essere pronti psicologicamente. Il contagio è stato ricavato dal libro di Walter Siti che poi è diventato uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti, al quale ho partecipato per tre anni. Grazie allo spettacolo ho conosciuto i registi, Botrugno e Coluccini, che sono gli stessi di Et in terra pax. Mi videro, infatti, in questo spettacolo e poi mi chiamarono per Et in terra pax. Si innamorarono del progetto: “Prima o poi ne faremo un film…”. E l’hanno fatto. Il contagio ha avuto tanti problemi a livello distributivo, come spesso capita, comunque è un lavoro al quale sono molto affezionato. Un film che credo valga la pena di vedere.
Veniamo allora a Credimi!, di Luna Gualano. Si vede che è un film con un piccolo budget, ma lei, secondo me, è molto brava a gestire bene gli elementi. Gli ambienti sono ovviamente minimi, però, tutto sommato, credo che il risultato finale non dia affatto l’impressione di un film povero…
Riesce a contestualizzare molto gli elementi che ha a disposizione. Anche il fatto dei supereroi, ha volutamente un taglio anni 90, posticcio.
Parlami un po’ del tuo ingaggio…
Questa è stata molto cotta e magnata, come cosa. Mi chiama l’agenzia e mi dice che c’è da fare questo film. Non so se avessero mandato il mio show reel oppure proprio il film di Il contagio a Luna che lo aveva visto e, senza provino, mi ha chiesto di fare il film. La mia agente Iona Marcangelo della Planet mi parlava molto bene di Luna. Poi ovviamente non siamo riusciti a sentirci prima, perché eravamo in fase di dissolvenza della pandemia…
È stato girato nel 2021 giusto?
Sì, lo scorso anno, a febbraio. Luna mi aveva chiesto se volessimo fare qualche prova via zoom ma io le ho detto: “Guarda, Luna, io abito in un condominio, c’ho tre figli, se mi sentono di’ quella roba lì, mi chiamano le guardie”. E quindi lei ha fatto una cosa molto intelligente, la prima volta che ci vedevamo sul set e che interagivamo con l’attrice, con Chiara Baschetti, non avendo avuto la possibilità di fare prove prima ci ha detto: “Le battute le conoscete, non mi interessa che voi le rispettiate alla lettera, quindi andate a braccio, seguite questo iter e quello che vi esce fuori lo facciamo”. È stata molto intelligente come scelta, perché sono scene forti e non avendo avuto la possibilità di provarle prima, è come se noi le avessimo provate girandole. Quindi il fatto che lei ci abbia lasciato anche la libertà di testo e tutto il resto ha fatto la differenza, così uno era più libero di lasciarsi andare a questo percorso emozionale della scena, senza essere troppo legato ad altre cose. Anche lì, sono uscite fuori situazioni interessanti sul set, come movimenti improvvisati… insomma, ci siamo divertiti.
Tu non sei molto ottimista, Maurizio ,sulla situazione generale del cinema italiano. Perché di roba se ne fa, però se andiamo a vedere, poi, alla fine, stringi stringi, molte cose non si vedono. Adesso forse con le piattaforme è un po’ diverso. Una volta la gente andava al cinema a vedere i film che uscivano, oggi non si capisce bene: i film escono, non escono. È vero che sulle piattaforme girano, però è una cosa molto frazionata. È anche legato a questo?
Per quanto mi riguarda, il problema è che la terza guerra mondiale è già iniziata, la bomba atomica è già stata sganciata e purtroppo sono proprio i social.
Hai ragione. Pensa che parlavo con una tua giovane collega, Anna Cavallo, e mi diceva: “Io ce la metto tutta, mi faccio un culo così, però quando sono a fare i provini scelgono poi magari una che non ha assolutamente preparazione, perché vanno sui social e vedono che questa ha 8000 followers: “Cazzo, pigliamo questa che ci porta pubblico!”…
Ma sei tu che educhi il pubblico, quindi questa è una soluzione facile da una parte e ghettizzante dall’altra. Qua esce fuori il mio neurone latente complottista, con questo voler eliminare la classe di mezzo, i bambini di oggi crescono già che sono geni o stupidi. E questo nasce da questi nuovi mestieri, tik toker o influencer. Tornando al campo attoriale, non c’è preparazione. Io ho poi una formazione che è quella del Centro sperimentale dell’epoca che non è lo stesso di oggi. Io mi ricordo che i primi tempi, dopo essere uscito da lì, rifiutavo le 15 pose su una serie perché magari avevo incontrato il regista e non mi era piaciuto, quindi mi dicevo: “È inutile che vado sul set, poi magari sbrocco!”. eccetera, quindi rifiutavo delle cose che adesso, se ci penso, dico sono stato un po’ deficiente, perché quelle sono sempre cose, tu vai, conosci… Io ho fatto 21 anni nella ristorazione e se andavo a cercare lavoro in un nuovo ristorante, dopo venti minuti mi venivano a chiedere se potevo lavorare fisso tutta la settimana, perché vedevano che conoscevo il mestiere: oggi non è così. Tante cose e tante persone, autori e registi geniali che ho conosciuto al Centro sono sconosciuti ad oggi. La sceneggiatura di Twinky Doo’s Magic World, che abbiamo girato a dicembre con i Licaoni, è stata presentata a tutte le produzioni: tutti estasiati, tutti hanno detto: “Fateci vedere un premontato e poi ve lo finanziamo”. Ma io il premontato come te lo faccio, se tu non mi dai i soldi? Noi attori abbiamo fatto un mese di lavoro, anche sedici ore di set e, miracolosamente, nessuno si è preso un raffreddore, perché tu stavi in una stanza con una stufa e riprendevi i tuoi abiti la sera che erano bagnati e ti mettevi a rosolarli davanti alla stufetta. Abbiamo fatto questa cosa per un rimborso spese, praticamente, però lo fai per amore del progetto, del cinema e, soprattutto, perché sai con chi lavori. Un progetto che implica otto persone nel reparto fotografia e sono solo in due, ci vorrebbero almeno quattro o cinque persone al trucco ed è da sola, quattro o cinque ai costumi ed è da sola. Tu lo fai perché quando poi la costumista ti viene a dire: “Io sono sola su questo set, ma con te non mi sento sola ed è per questo che faccio cinema. Ti raccordi da solo, tu sai la disposizione del progetto”. È questo che manca, l’essere al servizio del cinema. Invece io sono a servizio di quel progetto. Per questo molti lavori li rifiuto, perché se io non mi sento dentro ad un progetto, per rispetto a te che lo hai scritto, ti dico, con rispetto, che non sono la persona adatta, perché so che non ti darei quello che cerchi al 100%.
Però non credo che questa tua visione sia quella più diffusa.
Ed è per questo che mi senti pessimista. Io devo capire perché, quando vedo un film o una serie, non ho il diritto di capire cosa tu stia dicendo. Perché io non lo capisco. Non è che stai al propedeutico di recitazione dove ti dicono: “Guarda l’emozione era giusta poi lavoreremo sulla voce” ecc. Io, invece, vedo cose in cui l’emozione non c’è proprio, non mi trasmettono nulla, non riesco a capire quello che dicono.
Ma questa è la croce di disperazione di tutti. Tu guardi un film in televisione e non si capisce un cazzo, o alzi il volume al massimo. Questo è un andazzo degli ultimi anni. In passato non era così…
Aspetta, perché a volte non capisco, ma se disgraziatamente capisco… Poi ci si chiede perché il cinema americano… Invece in Italia si parla si parla si parla…
Hai mai pensato all’estero Maurizio? È una via impraticabile?
No, e come faccio? Ho i figli
Quindi sei agganciato anche dal fatto della famiglia?
Sì, molto. Poi sento anche che c’è una ricerca in ciò per cui sei più consono e io negli ultimi anni sto mettendo un piede nel doppiaggio e mi è sempre piaciuto, già dai tempi del Centro sperimentale, ma all’epoca avevo vent’anni, la sera lavoravo al ristorante, la mattina era distrutto…Quindi non ho mai perseguito quella strada… Invece, alla fine, mi ci sono messo e lì tu riesci a trovare anche un modo diverso di lavorare, diverso dal doppiaggese. Quello che cerco di fare è anche portare un po’ più di recitazione nel doppiaggio e molto più doppiaggio nella recitazione. È un fatto base, io, per fare il fonico, posso anche essere figlio di un fonico, ma dove si accende un mix lo devo sapere. Se noi vogliamo generalizzare una base per fare l’attore è che tu sappia mettere tre parole in fila senza biascicare ed essendo chiaro. Il minimo. Ad oggi non è richiesto neanche il minimo. Non c’è una richiesta minima di professionalità. Da qui nasce il mio pessimismo, che poi è realismo. Poi, grazie a dio, uno su mille ce la fa e di attori bravi anche giovani ce ne sono. Però mi è capitato anche di fare integrazioni in doppiaggio di cose italiane e vedi anche quando c’è un protagonista bravo che si interfaccia con chi invece non lo è ed è un problema.
Progetti ne hai adesso, al di là del doppiaggio?
Al teatro sto soprassedendo sempre, per un fatto di oneri familiari. Cinema no, ho diversi provini e siamo in attesa ma non ho nulla di definito all’orizzonte. Per quanto riguarda la tv, vediamo quello che succede. Ora ho fatto l’ultima stagione di Nero a metà.
Quand’è che esce Credimi!?
Sta per essere distribuito sulle piattaforme e facciamo un’anteprima il 29 al Giulio Cesare.
La Gualano è brava…
Sì ha un bello sguardo ed è piacevole lavorarci.
È bravo anche il bambino nel film…
È carinissimo, sta in fissa col cubo di Rubik (ride). Comunque, sono uscite cose anche molto belle sul set. C’era questo piano a due, profilato, tra me e Chiara Baschetti, che a me non è che facciano impazzire, e che, invece, poi, in scena, è diventato quasi un piano sequenza con un’inquadratura frontale di tutti e due e il bambino che scappava. Io, che dovevo dare a lei uno schiaffo in scena, mi giro verso la camera e non la faccio profilata. Allora adesso facciamo uscire un po’ di narcisismo attoriale, quella scena l’ho girata io in scena. Non era pensata. Questo ti dico, che quando hai una troupe, con cui ti trovi e attaccata al progetto, ti senti libero di proporre perché c’è un fine ultimo in comune. Quindi mi tengo i miei pochi set ma fatti bene.
Ti ringrazio molto, è stato un piacere parlare con te.
Anche per me Davide.
Un ringraziamento per la preziosa collaborazione a Francesca Romito