Intervista a Radu Jude: “Il mio Dracula girato con l’iPhone”
Un dialogo esclusivo col regista rumeno cult degli ultimi anni

«Quando viene organizzata una retrospettiva dei tuoi lavori c’è sempre la sensazione di qualcosa di postumo, come se fosse morto qualcuno…»: con la consueta ironia il regista rumeno Radu Jude si schermisce quando è chiamato a commentare la rassegna dei lungometraggi che il Museo Nazionale del Cinema di Torino ha organizzato in suo onore (alla domanda se abbia tempo per le nostre domande, risponde ridendo: «I don’t have ideas, but I have time!»). Nato a Bucarest nel 1977, Jude nel 2015 a Berlino ha vinto l’Orso d’argento per il miglior regista grazie ad Aferim! e nel 2021 l’Orso d’Oro con il film Sesso sfortunato o follie porno. Un film sorprendente e coraggioso, che inizia con una lunga sequenza di porno amatoriale, girata senza nascondere nulla e ispirata a una storia vera.
«Negli anni – ci spiega – ho raccontato molte cose relative a come ho scelto di fare questo film, erano tutte vere ma la motivazione principale è stata questa: avevo letto alcune notizie in Romania, diversi anni fa, sul caso di una professoressa licenziata perché era stato pubblicato un suo filmato privato con immagini pornografiche. Non pensavo di farne un film. Una sera – mia moglie era nelle ultime fasi della sua gravidanza – a una cena con amici, una coppia anche loro con figli, si parlava di educazione dei bambini ed è venuto fuori questo argomento: avevamo bevuto un po’, e la discussione è diventata di colpo accesa, quasi violenta. Quella notte mia moglie – che era contro di me nel dibattito – ha partorito e il discorso si è interrotto. Qualche giorno dopo, quando lei e il bambino sono tornati a casa, per ridere mi è capitato di raccontare agli amici come era andata quella serata, e ogni volta la discussione si riaccendeva, i toni si alzavano! Allora ho pensato: fanculo, voglio avere l’ultima parola su questo tema, faccio un film. Anche se ci sono voluti anni per realizzarlo, ho vinto l’Orso d’oro. Direi che ho avuto la mia vendetta e che l’ultima parola in merito è stata la mia!».
Quali sono le ispirazioni dei suoi inizi?
Se riguardo ai miei esordi posso dire che oggi sono molto più interessato alla storia e alla politica, mentre una volta ero più concentrato sulla metafisica e sulle relazioni psicologiche. Quando devo fare qualcosa in Italia sono davvero sempre molto emozionato, per me e molti di noi è il vero Paese del cinema: sono cresciuto a Bucarest vedendo un sacco di film italiani, Rossellini (che per me è il più grande di tutti i tempi), De Sica, Fellini, Antonioni, Bertolucci… a volte erano copie anche molto rovinate, a volte no, ma non ci importava. E poi ancora Monicelli, Argento, Leone… penso di essere molto ben preparato sul cinema classico italiano, anche su Marco Bellocchio, senza dimenticare Pasolini di cui ho visto i film, letto i libri e le poesie ed è un altro dei miei maestri. E ancora Gianikian e Ricci Lucchi! Vengo sempre in Italia sentendo questa eredità, tutto ciò mi ha molto influenzato, mi sento molto connesso con il neorealismo e con la commedia all’italiana. Potrei girare qualcosa in Italia in futuro? Non ne avrei il coraggio! Torino poi per me è la città di Primo Levi e quella in cui Michelangelo Antonioni ha girato Le Amiche, direi che è abbastanza per essere felice di venire.
Lei è un regista molto prolifico, che gira molti progetti diversi, lungometraggi ma anche corti e film sperimentali: da cosa dipende questa scelta e come sceglie le varie strade da percorrere?
Non sono così tanti! (Ride, ndr) Guardi Rossellini, o Pasolini: hanno fatto un’enorme quantità di film… Ogni persona ha il suo modo unico di organizzare il lavoro e portare avanti i progetti: in questo periodo storico, il sistema europeo di co-produzioni – che è molto positivo in tanti aspetti, sia chiaro – non permette la rapidità che vorrei nel concludere le operazioni, ci vuole davvero tanto tempo a ottenere i finanziamenti. Di solito ogni regista può fare un film ogni quattro anni, o cinque, o tre se si ha fortuna: se provi a fare diversamente, rischi di farne uno ogni dieci! Solo se sei molto ricco puoi permettertelo… Magari vuoi fare dieci film in un anno, invece, però sarebbe impossibile perché nessuno ti finanzierebbe. Io provo a stare un po’ fuori dal sistema, perché non voglio stare a quel ritmo, quindi faccio un film con quelle cadenze seguendo le regole delle co-produzioni, magari sperando anche di poter avere per me uno stipendio soddisfacente, e in mezzo a questi progetti ne realizzo di più brevi, di indipendenti, o documentari di archivio, che sono molto più semplici da far finanziare. Cerco di fare il meno possibile lo stesso tipo di film, ma anche questa è una lezione di Rossellini se ci pensiamo, che ha fatto grandi film con grandi budget ma anche lavori televisivi, altri per il Vaticano, o per il Centre Pompidou o anche per la Croce Rossa! Ma anche Pasolini fece così: questi sono i miei modelli.

Sesso sfortunato o follie porno
Il suo ultimo film, Kontinental, presentato alla Berlinale 75, è stato girato con un iPhone: è la nuova frontiera del cinema?
Non necessariamente. Un regista secondo me deve essere capace di usare qualsiasi strumento abbia a disposizione: si può fare un film in 35mm o in 70mm come The Brutalist, o con camere digitali, o anche con un telefono. Del resto nella pittura è così, si lavora con tecniche diverse a seconda del progetto o dell’opportunità: nel cinema spesso questa cosa non viene accettata, ma per me si può fare anche così. L’unico modo di fare quest’ultimo film, ad esempio, era di renderlo molto economico: così ho organizzato tutto per renderlo più semplice e meno costoso possibile, quindi ok l’iPhone, nessuna luce particolare, niente di ciò che normalmente si usa su un set. Altrimenti ci sarebbero voluti tre anni almeno per finanziarlo, per farlo “professionalmente”, fare applicazioni ai bandi, attendere le varie risposte… Così ho detto al mio produttore: facciamolo così, non è una nuova frontiera ma in alcuni casi va benissimo, e questo era uno di quei casi.
Su cosa sta lavorando ora?
Sto lavorando su troppe cose, questo è il mio problema! Provo sempre a fare più film possibile, penso sempre che sia meglio proporne tanti perché so che non tutti verranno finanziati… Ora sto lavorando alla ricerca di fondi per due nuovi film, e spero che solo uno di questi vada avanti e venga poi fatto: nel frattempo sto finendo una mia versione di Dracula, vengo dalla Transilvania e ho pensato fosse il momento giusto perché qualcuno della Transilvania lo raccontasse, almeno una volta! Anche questo lo sto girando con un iPhone, esattamente come Kontinental, anche se è un lavoro molto diverso. Sarà molto diverso dagli altri film su Dracula, dovrebbe durare più di tre ore, siamo quasi alla fine della lavorazione. Sarà sia un lavoro storico sia metaforico: credo che la vera fonte di ispirazione per il mio film sia Boccaccio con il Decamerone, e cioè il piacere di narrare. Ci sono molte storie, tutte collegate a Dracula, poi a volte c’è anche il vero Dracula… l’idea principale è questa: qualcuno chiede ad una IA, un’intelligenza artificiale, di creare storie su Dracula. Il programma di IA sono io, però: sarà un film molto libero, davvero molto diverso dagli altri, è davvero sul “piacere di raccontare” (Lo dice in italiano, NdR), come recita Pier Paolo Pasolini alla fine de I racconti di Canterbury!.
La prima sera di rassegna è stata dedicata a un film meno noto, Everybody in our family.
Ho lasciato totale libertà al Museo di scegliere come organizzare la retrospettiva, non so perché la prima sera sia proposto questo film: quello che posso dire io è che è una scelta interessante, è un mix tra una commedia realistica e un dramma, ci si può vedere dentro un po’ il cinema di Mario Monicelli, o delle commedie di Vittorio De Sica. Si parla di divorzio, la storia diventa poi più nera, ma anche più divertente… Sono un grande appassionato della commedia dell’arte e nella mia idea c’è una connessione con questo film. Non mi piace, come non mi piace nessuno dei miei film quando ci ripenso dopo averli fatti, ma è sicuramente ben recitato, gli attori sono incredibili, c’è dentro molta energia che spero lo renda ancora guardabile.
Con i successi ai festival di Berlino e Locarno è più facile ora fare film?
Dipende. A volte i registi sembrano come cavalli in una corsa, se vinci qualcosa allora trovi chi investe su di te, se no rischi di non farcela, vedi i finanziatori scomparire. A me è successo, c’è un costante su e giù: quando ho fatto Scarred hearts, con cui ho vinto il Premio speciale della giuria a Locarno nel 2016, alcune delle persone che lo avevano finanziato non erano contente del risultato e per i successivi mi è stato più complicato, ma quando ho avuto l’Orso d’oro nel 2021 tutto è stato all’improvviso più semplice. Ho visto entrambe le parti di questa situazione: ora è un momento buono, ma troppi registi dopo uno, due o al massimo tre film non hanno avuto l’occasione giusta e hanno dovuto smettere. Non sai mai se quello che stai facendo sarà il tuo ultimo film… il problema resta riuscire ad adattarsi, è un’altra lezione imparata da Rossellini. In Romania la situazione non è delle migliori in questo senso.

Kontinental ’25
A proposito di Romania, cosa pensa della situazione politica del suo Paese?
Quello che è successo è che abbiamo avuto delle elezioni a inizio dicembre e a causa delle evidenti intromissioni russe su quelle elezioni sono state successivamente annullate. Ora dobbiamo rifarle: non è una bella situazione, certo, ma neanche così grave. Giusto annullarle per me, anche se c’è spazio per chi è evidente sostenitore di idee fasciste, di idee folli e fuorilegge: il problema maggiore è che molte persone li votino… la situazione geopolitica per noi è complessa, siamo ai margini dell’Unione Europea, molto vicini alla Russia… siamo in pericolo, lo sento.
Che spettatore è Radu Jude?
Più invecchio più ho due tendenze, contemporanee: apprezzare sempre meno cose, ma anche in un certo senso apprezzare tutto. Quando vedo film commerciali, ad esempio, o anche brutti film, posso trovarci qualcosa di interessante se li guardo bene. Come cinema italiano, che ovviamente non è all’altezza di 40-50-60 anni fa, e può capitare (anche se Yervant Gianikian per me è ancora uno dei più grandi), ci sono comunque ottimi autori più giovani, come Pietro Marcello ad esempio. Guardando al resto del mondo direi Hong Sang-soo per il cinema di finzione, Wang Bing e Frederick Wiseman per quello documentario.
Nei suoi film ci sono spesso i social media: che rapporto ha con questi strumenti?
Sono diviso qui. Da una parte amo davvero tanto i social media e specialmente quelli che usano immagini, come ad esempio Instagram o TikTok. Perché? Perché a volte puoi vedere cose che non potresti vedere altrove (Mentre parla, ci mostra lo scorrere di immagini sul suo profilo TikTok, ndr). Da un punto di vista sociologico e antropologico, puoi scoprire tanta creatività, tanta gente che non viene rappresentata ad esempio in televisione, o al cinema. C’è di tutto, mi ricorda il teatro popolare, è una specie di cinema “vernacolare”, nel senso dantesco del termine e dell’uso che faceva della lingua. Allo stesso tempo so che sono piattaforme che danno dipendenza, che possono essere facilmente usate per spiarci, o per diffondere fake news e ideologie tossiche… sono diviso davvero, penso siano grandiose ma anche problematiche. Questa è però la situazione con ogni tecnologia per me, anche con l’invenzione della stampa o con quella di internet, ci puoi fare cose grandiose ma anche terribili. Del resto anche un coltello puoi usarlo per uccidere una persona o per tagliare il pane…