La crociata anti-capezzolo di Facebook
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La crociata anti-capezzolo di Facebook ha avuto come ultima vittima illustre il film di Carmine Amoroso Porno & Libertà, la cui pagina è stata oscurata e all’autore è stato inibito per un mese l’uso del social
Quis custodiet ipsas custodias? Ovvero, chi sorveglia quelli deputati a sorvegliare? Era la vecchia aporia, ma forse il termine più adatto sarebbe incoerenza, che lamentavamo quando, negli anni che furono, la censura tagliava le gambe, anzi amputava le tette, novella Torquemada, alle Gloria Guida, Edwige Fenech, Laura Antonelli e compagnia denudanti. Solo che adesso, raffrontata a questo tempo devastato e vile, quella che allora ci sembrava una morale oscurantista e rabbina assume le caratteristiche di una Eldorado da rimpiangere, un’aurea età in cui, a conti fatti, ciò che non ci facevano vedere era un’inezia rispetto a ciò che passava. Il medioevo non era poi così Medioevo. Il caso del film di Carmine Amoroso Porno & Libertà è emblematico dell’aria che tira oggidì. Scampato al fortunale della censura classica, a prezzo di un innocuo “vietato ai minori di 14 anni”, naufraga sulle secche di Facebook, che oscura la pagina del film e inibisce la pagina personale del regista per un mese, il che significa che per un mese Amoroso non può più postare. Perché? Perché il manifesto di Porno & Libertà, caricato sulla pagina ufficiale fb, mostrava un capezzolo. Per un capezzolo, pensate, Amoroso non perse la cappa ma la possibilità di pubblicizzare la propria opera via social che, per una piccola produzione indipendente come questa, è il sistema più efficace per farsi conoscere. Un capezzolo. Un capezzolo che compare in una scena tratta da un film di Lasse Braun, usata come locandina. Non è uno scherzo e non siamo nella semplice follia, ma è evidente che si sia proceduto ben oltre. I regolamenti “morali” (brrrrrrrr) sul maggiore social network, hanno ostracizzato una serie di dettagli anatomici tra i quali regna, sovrano incontrastato, il capezzolo aka nipple, mamelon, thith, bradavica, mugró, vsuvka, g’uddacha, pezón… e chi più ne sa, più ne citi.
Il capezzolo, per Zuckenberg, è il Diavolo. Anzi, più che per lui, per i “segnalatori”, che sarebbero quella tipologia di repressi e di infami grazie ai quali Facebook può mantenere una parvenza di ordine morale nelle pagine dei milioni di suoi utenti. Nove volte su dieci è il segnalatore il ponte tra la tua pagina con l’orrido ed esecrando capezzolo pubblicato e la strumentazione dei vigilantes che arrivano a bloccarti ma non solo: perché oltre il danno, devi subirti anche ramanzine e paternali circa i codici di comportamento da tenere nella comunità. Ne sappiamo qualcosa noi di Nocturno, che essendo tra i più amati e quindi anche tra i più odiati dell’universo, ci confrontiamo quotidianamente con il rischio blocco. Finora chi scrive ha collezionato tre giorni di fermo una volta e poi la volta successiva sette giorni a causa sempre loro, di quei maledetti capezzoli che per quanti sforzi facciamo non riusciamo mai del tutto a coprire. La prossima volta mi buttano fuori a pedate nel deretano, non me l’hanno detto ma l’iter è questo. Il paragone l’ho usato già altre volte perché è calzante, ma per noi un capezzolo, specie se di mirifica struttura e complessione, con equilibrati rapporti simmetrici tra pistillo e areola, è come la fiaccola della celebre parabola evangelica: nessuno l’accende per metterla sotto il moggio. Quindi, il ban sta sempre lì dietro la porta, all’agguato, come i segnalatori, questi briganti da passo che vivono per identificare e far tagliare capezzoli. Forse per l’invidia di non averne mai visto uno dal vero.