La sceneggiatura di Inferno
Tutte le differenze tra lo script e ciò che è andato effettivamente sullo schermo del film più metafisico e anarchico del maestro del brivido Dario Argento
“Nescio quid luere possim ego qui rumpo quod alchymiae artifices Silentium dicimus. Ego, Varelli, Londinii architectus, Matres tres cognovi eisque inveni et aedificavi tre sedes, Romae, New York, Friburgi, in Germania”
Il frontespizio reca solo questa dicitura: “INFERNO”, e immediatamente sotto: “Il nuovo film di Dario Argento”. Si tratta di un copione formato da fogli A4, per un totale di 267 pagine, dattilografate sulla facciata di destra numerate nel margine superiore della stessa e assemblate con viti pieghevoli di metallo. Non appare alcuna indicazione temporale. E, curiosamente, nemmeno l’autore della sceneggiatura è designato in maniera esplicita.
Scena 1 – Casa Rose- Int. notte (pgg 2 – 7)
La sequenza introduttiva è, in sceneggiatura, pressoché identica a come Argento la trasferì sullo schermo. Ritroviamo, in linea di massima, anche gli stessi movimenti di macchina suggeriti nello script. Qualche differenza comunque, la si rileva. La voce fuori campo di Varelli che recita il testo letto da Rose, immaginata dapprima “come proveniente da lontano, da molto lontano […] fino in PPP sonoro”, perderà, nel film, l’effetto climax. Le prime due frasi del libro risultano, inoltre, lievemente diverse sullo schermo: “Non so cosa [quanto] mi costerà rompere ciò che noi alchimisti chiamiamo [abbiamo sempre chiamato] Silentium. Le vite [L’esperienza] dei nostri confratelli ci ammoniscono [ammonisce] a non turbare gli estranei [le menti profane] con la nostra conoscenza [sapienza]”. Il resto è immutato, salvo che la frase “Madri, matrigne che non partoriscono la vita, sorelle signore dell…”, secondo le indicazioni della sceneggiatura “va in fondu sino a sparire, per far posto ad alcuni accordi musicali”, mentre nel film continua e culmina in: “[…] Signore degli orrori della nostra umanità”.
Una nota va spesa per il testo latino, che traduce soltanto una parte delle frasi di Varelli (che faceva gioco mostrare carrellando con la mdp sulle righe del libro stampate – così scrive Argento – ”a caratteri tipografici grandi e di tipo antiquato”). Lo abbiamo ricostruito come segue: Nescio quid luere possim ego qui rumpo quod alchymiae artifices Silentium dicimus […] Ego, Varelli, Londinii architectus, cognovi tres Matres eisque inveni et aedificavi tres sedes, Romae, New York, Friburgi, in Germania. Modo serius perspexi eas ab his tribus locis mundum regere dolore, lacrimis tenebris. Mater Suspiriorum, quae suspiria gignit, ista, maxima natu, habitat Friburgi. Mater Lacrimarum, harum germana pulcherrima, Romae dominatur. Mater Tenebrarum, minima […], New York imperat.
Un‘ inquadratura (pag. 4) senza riscontro nel film, era inoltre prevista durante lo scorrimento dei titoli di testa: “da terra, in P.P.P. una lunga fila di formiche, non molte, una decina, e oltre a queste la ragazza” – cioé Rose. Le formiche andavano quindi a infilarsi in una fessura del pavimento.
Scena 2 – Casa Rose – Est Notte (pgg 8 – 13)
Colpisce la precisione con la quale Argento visualizza e descrive nei minimi particolari la scenografia dell’esterno del palazzo di Rose e dell’edificio adiacente, dove si apre, sul piano stradale, la bottega di Kazanian. Mentre Rose si avvia a imbucare la lettera indirizzata al fratello Mark (il cognome, visibile sulla busta, è Davis, non Elliot), ha luogo un sinistro incontro tra la ragazza e “una figura umana, avvolta in un mantello scuro”, che giunge in CL dall’altra parte della strada. è la prima, sostanziale “variante” dello script sul film. La presenza sconosciuta incrocia Rose, alzando la testa e mostrando il volto, che è quello ancora piacente di una donna sui quarant’anni. Ormai vicinissima, Rose la guarda meglio e, d’improvviso, percepisce la metamorfosi del viso della sconosciuta in quello “di una vecchia incredibilmente oscena, gli occhi bistrati di nero, grinzosi”, che stanno fissando la lettera. Pochi secondi, e la donna misteriosa è già oltre. Rose attraversa la strada e imbuca, dopo un momento di esitazione, la lettera.
Scena 3 – Negozio Kazanian – Int notte (pgg. 13 – 17); Scena 4 – Sotterraneo – Int notte (pgg. 18); Scena 5 – Stanzone sotterraneo – Ambiente sommerso – Int notte (pgg. 19 – 29)
Il colloquio di Rose con l’antiquario armeno (così lo definisce lo script) Kazanian, la discesa della ragazza nel buco di tenebra della cantina e la scoperta della camera invasa dalle acque, non si segnalano per sostanziali varianti rispetto al girato. Tranne: (pg. 22) un breve inserto, in cui dalla botola di cemento per l’areazione del locale sotterraneo, traspare la luce che Rose ha acceso per illuminarlo. “Qualcuno guarda dall’alto quei raggi”, immagina Argento, con zoom a seguire sulla botola (rimasto nel film); e (pg. 28) il particolare della mano che raccoglie l’accendino perso da Rose: nel film è semplicemente guantata di nero, mentre in sceneggiatura calza dei mezzi guanti “come si usavano una volta, di velluto, che lasciano spuntare lunghe e sottili, quasi diafane, dita contraddistinte da unghie aguzze”. I mezzi guanti di foggia antica si ripresenteranno più volte nel corso della storia.
La chiusura dell’episodio si protrae per altre due scene, la 6 – Atrio palazzo Rose – Int. notte (pgg. 30 – 32), e la 7 – Sotterraneo – Int notte (pg. 33). Qui muta lievemente il dialogo di tre voci misteriose, orecchiato da Rose: 1a voce: «è andata a ficcare il naso sotto…»; 2a voce: «Bisogna nascondere subito… Bisogna assolutamente nascondere tutto…»; 3a voce: «… Non voglio cambiamenti…».
Scena 8 – Università di Roma – Aula di musica – Int pomeriggio e luce artificiale (pgg. 34 – 40); Scena 9 – Università – Est pomeriggio (pg. 41) – Scena 10 – Taxi – Int pomeriggio (pgg. 42 – 47); Scena 11 – Int sera illuminata (pgg. 47 – 59)
In questo gruppo di sequenze registriamo, intanto, l’eliminazione della scena 9, in cui Sara cerca, senza esito, di raggiungere Mark fuori dall’Università per ridargli la lettera che ha dimenticato. Il contesto è pomeridiano e non notturno, anche durante la corsa in taxi che finirà per traghettare la ragazza in Via Dei Bagni 49, alla fondazione Abertny. Se nel film non si comprende bene con cosa si ferisca Sara mentre scende dal taxi, la sceneggiatura su questo è invece chiara (pg. 45): “il polpastrello del dito indice della ragazza si fa infilare da una spilla aguzza che era semi-mimetizzata nella stoffa dello sportello”. C’è insistenza anche sul particolare di una goccia di sangue che, colandole dal polpastrello, cade sul pavimento levigato di marmo dell’ingresso della biblioteca. La voce “strascicata” che di lì a poco chiamerà Sara distraendola dalla lettura delle Tre Madri, e che nel film ha uno status metafisico, apparterebbe (pg. 49) a “una figura molto vaga, che vediamo nelle fessure tra i vari libri ammassati”. Il resto è assolutamente identico.
Scena 13 – Strada e taxi di fronte casa Sara – Est. notte (pg. 60); Scena 14 – Ascensore casa Sara – Int. notte (pgg. 61 – 63); Scena 15 – Salotto Sara – Int. notte (pgg. 64 – 67)
Argento aveva pensato a un’inquadratura (pg. 63) in cui la mdp, restando nell’ascensore, vedeva sparire Carlo e Sara fuori dalla cabina, a destra, udendone poi frammenti di dialogo FC, in dissolvenza: «Mi chiamo Carlo e tu?»; «Sara… ti ho già visto un paio di…».
Scena 16 – Ambiente sconosciuto (pgg. 68 – 70)
La celebre sequenza della “Morte al lavoro” era prevista in maniera più articolata di come fu realizzata. Dopo che le mani guantate hanno ritagliato il cartoncino formando le figure di due bambini che si tengono per mano, vediamo una finestra coi battenti socchiusi; la MDP carrella contro di essa, che si spalanca all’improvviso per un grande vento, mostrando, al di fuori, la luna. Nota il regista (pg. 68): “Mentre la musica fa da accompagnamento anche ritmico, partono una serie di 7 scene. Saranno cortissime, tre secondi l’una. E la macchina da presa sorvolerà le immagini come fosse in corsa, in modo da fare un andamento di fuga aerea su una serie di episodi.
1) La luna, in alto nel cielo, viene oscurata (pg. 69) da una grande nuvola nera. La nuvola nera riempie tutto lo schermo. Scossa da un lampo bianchissimo. La MDP vola incontro al lampo. Un’altra saetta attraversa il cielo. Il lampo di luce sbianca tutto lo schermo, mentre sembra che la nostra MDP si sia gettata al centro dei lampi e…
2) Tre gatti miagolano e si azzuffano in un angolo del cortile.
3) Un grosso ramarro dalla bocca triangolare ha afferrato in un boccone una falena più grande di lui, che si dibatte mentre viene azzannata.
4) Un volo a velocità assurda (o girando a un numero bassissimo di fotogrammi o togliendoli in sede di stampa) su alcuni tetti e alcune strade della città.
5) Panoramica dall’alto di un letto. Una donna è stesa sopra. Accanto a lei, due, tre persone. A metà panoramica, la donna inarca la schiena, si irrigidisce e muore. Ma già la MDP va via.
6) Una ragazza sta fissando il collo dentro un cappio. Si getta nel vuoto impiccandosi. (pg. 70)
7) Zoom velocissimo verso la facciata del palazzo dove abita Sara”.
I punti 1, 2 e 4 saranno cassati – il copione reca segni di cancellatura a penna. L’episodio 5, assente dal montaggio finale, venne forse, invece, girato?
Scena 17 – Camera letto Sara – Int notte (pgg. 71 – 77)
La magistrale sequenza dell’omicidio di Sara e Carlo culmina, nello script, non con la mano dell’assassino mentre chiude la porta, ma con la ragazza “insanguinata, a brandelli, irriconoscibile”, che calpesta le schegge taglientissime del portacenere di cristallo precedentemente infranto, prima di abbattersi a terra sui vetri rotti e di ricevere un’ultima coltellata nella schiena. Su questa immagine, termina il Va pensiero e la scena va in fondu.
Scena 18 – Corridoio appartamento Sara – Int. (pg. 78); Scena 19 – Appartamento Sara – Int. notte (pgg. 79 – 80); Scena 20 – Strada davanti appartamento Sara – Est. notte (pg. 81)
È interessante che la sceneggiatura non faccia cenno della macchina intravista da Mark – una volta uscito dal luogo del massacro – a bordo della quale c’è la ragazza col gatto dell’università.
Scena 21 – Studio Mark – Int. notte (pgg. 82 – 84)
Il dialogo telefonico disturbato tra Mark e Rose ha una coda, breve, in cui il ragazzo parla con una centralinista (pg. 84): “«Signorina, stavo parlando con New York… A un tratto è andata via la comunicazione»; «Che numero era? Il numero di New York è occupato, signore…»; «Ma no…». Rumore occupato che da lontano viene in primo piano: «Senta da sè… Lo sente?»”.
Scena 22 – Appartamento Rose – Int. notte (pgg. 85 – 87); Scena 23 – Corridoio int. (pgg. 88 – 89); Scena Appartamento Rose – Int. notte (pg. 90); Scena 25 – Passaggio – Int. notte (91); Scena 26 – Strada – Est. notte (pg. 92)
In questo gruppo di scene c’è solo da rilevare che a sottrarre dall’appartamento di Rose la copia delle Tre Madri (pg. 90) è una mano “magra e unghiuta”. E che manca nel film il passaggio di Rose attraverso un angusto cunicolo (pg. 91) dalle pareti di lavagna che la ragazza è costretta a percorrere “quasi a quattro zampe”.
Scena 27 – Palazzo abbandonato – Int. notte (pgg. 93 – 95); Scena 28 – Vari ambienti casa disabitata – Int. notte (pgg. 96- 97); Scena 29 – Grande corridoio abbandonato – Int. notte (pgg. 98 – 99); Scena 30 – Laboratorio pelli – Int. notte (pgg. 100 – 108)
L’allucinante catabasi di Rose nelle viscere della casa, verso una morte per ghigliottinamento, non lascia nulla al caso. Argento “vede” e di conseguenza descrive lo scenario – fin nei dettagli più riposti – in cui la sua immaginazione si sta muovendo: arredi, oggetti, architetture. A leggere lo script, quindi, si ha meno l’idea di spazi incoerenti o di luoghi geometricamente astratti, dechirichiani, quali vengono evocati dalle inquadrature e dall’uso, particolarissimo, del colore nel film. Le discrepanze tra lo scritto e l’immagine si limitano a una tranche della scena 27, in cui Rose è scesa nell’atrio del palazzo abbandonato accanto al suo (pg. 93). A quattro metri di distanza dalla ragazza, la porticina sgangherata del posto mostra la strada di fuori. Udiamo dei passi in avvicinamento dall’esterno, poi vediamo un’ombra umana stagliarsi contro una delle finestre dai vetri smerigliati.
Rose cerca di nascondersi, mentre l’ombra si sposta a guardare dentro da un’altra finestrella, spaccata, che ne mette in mostra solo gli occhi “i quali possiedono una loro strana luminosità”. A tutto schermo, le pupille dell’essere “mobilissime” ruotano a destra e a sinistra (pg. 95). Un PP, di lì a poco, ci mostrerà che la presenza indossa mezzi guanti, che, sfilati, metteranno in evidenza “una mano orribile, biancastra, magrissima, e con unghie acuminate gialle” (pg. 97). Degli occhi sinistri, rimase solo un rapido flash: il guizzo di uno sguardo giallastro e felino da un sottoscala, che può rammentare un simile baluginio visto in Suspiria prima dell’uccisione di Eva Axen.
Scena 31 – Strada New York dove è palazzo Rose – Est. pomeriggio (pg. 109); Scena 32 – Atrio portineria e ascensore palazzo Rose – Int. ill. (pgg. 110 – 115); Scena 33 – Cabina ascensore – Int (pg.113); Scena 34 – Corridoio appartamento Rose-Mark – Int (pg. 116); Scena 35: Appartamento Rose – Int. pomeriggio sera (pg. 117)
Dall’arrivo di Mark a New York fino alla scoperta della scritta “Mater” scarabocchiata dal paralitico sulla sua cartella di pelle, altro non si segnala se non l’aggiunta, nel film, della targa che testimonia il soggiorno di Georgi Ivanovic Gurdjeff nel palazzo. E un lontano miagolare di gatti, che Mark ode dall’appartamento della sorella. I gatti si fanno, d’ora innanzi, presenze enigmatiche e ubique della vicenda. Nella scena 36 (pg. 118) assistiamo al taglio della carne che verrà loro imbandita (Scena 39 – Scena scale, pg. 121); nella 37 (Strada – Esterno sera, pg. 119) una mezza dozzina di felini miagolano nervosamente in una rientranza dei muri, “tra il palazzo elegante e quello orribile e abbandonato”. E nella 38 (Bottega Kazanian – Int. sera, pg. 120) alcuni gatti si intrufolano nel negozio dell’antiquario paralitico.
Scena 40 – Appartamento Mark – Int. sera (pgg. 122 – 123); Scena 41 – Corridoio int. (pgg. 124- 126); Scena 42 – Ambiente sconosciuto (pg. 127); Scena 43 – Appartamento Mark – Int. notte (pgg. 128 – 130); Scena 44 – Ascensore (pg. 151).
L’incontro e l’abboccamento tra Mark e Elisa (il cui cognome è Taylor Ursi e non Delong Valader, come nel film) e la di lei chiamata da parte del maggiordomo, non mostrano varianti. Solo la scena 42, che li intervalla – un lucernario svela il panorama notturno con la luna piena – si chiude sull’immagine di “una mano, con i mezzi guanti di velluto nero” che “si protende in alto verso la luna, come volesse toccarla”.
Scena 45: Stanza letto Kazanian – Int. notte (pg. 132 – 135); Scena 46: Stanza notte Elisa – Int. notte (pg. 136); Scena 47 – Int. bagno (pg. 137); Scena 48 – Camera letto Elisa – Int. notte (pgg. 138 – 139); Scena 49 – Appartamento Mark – Int. notte (pgg. 140 – 143); Scena 50 – Casa Mark – Int. pomeriggio (pgg. 144 – 145); Scena 51 – Corridoio int. (pgg. 146 – 147); Scena 52 – Scale servizio – Int. (pg. 148); Scena 53 – Corridoio Int. (pg. 149); Scena 54 – Scale e sotterraneo – Int. notte (pg. 150); Scena 55 – Corridoio – Int. (pg. 151); Scena 56 – Scantinato – Int. notte (pgg. 152 – 153); Scena 57- Corrodioio – Int. (pgg. 154 – 155); Scena 58 – Cantina – Int. notte (pg. 156); Scena 59 – Scale – Int. notte (pgg. 157 – 160); Scena 60 – Ambiente A – Int. notte (pgg. 161 – 163); Scena 61 – Scantinato – Int. notte (pg. 164); Scena 62 – Atrio – Int. notte (pgg. 165 – 166); Scena 63 – Appartamento Mark – Int. giorno (pg. 167 – 168); Scena 64 – Corridoio davanti appartamento Elisa – Int. Giorno (pgg. 169 – 170)
In questo lungo blocco di sequenze, il girato è, tal quale, la sceneggiatura. Ma manca, nello script, il sogno di Mark in cui le onde marine sciabordano placide – da più d’uno interpretato come (facile) simbolo dell’inconscio tranquillo del ragazzo, a differenza delle acque morte e torbide in cui si è immersa la sorella.
Scena 65 – Casa Carol e atrio – Est. giorno (pg. 171 – 173); Scena 66 – Strada – Est. giorno (pgg. 174 – 177); Scena 67 – Negozio Kazanian – Int. giorno (pg. 178); Scena 68 – Vari angoli della città – Est. sera (pg. 179); Scena 69 – Cantina – Int. notte (180 – 182); Scena 70 – Altro ambiente Kazanian – Int. notte (pg. 183); Scena 71 – Strada – Est. notte (pg. 184)
L’ultima delle sequenze elencate è la più importante del gruppo. Assente dal film, essa descrive un cortiletto miscroscopico del palazzo, con dentro un gatto: ”In PPP vediamo il gatto che cammina pianissimo ed è orribile a vedersi: i peli sono diritti e dalla bocca spalancata gli esce una bava bianca. è un brontolio sordo e lamentoso. è come se fosse colto dalla rabbia”. I contorcimenti del felino in trance avrebbero contrappuntato, nell’ideazione originaria di Argento, la grandiosa sequenza della morte di Kazanian – Scena 73 (“Il gatto è preda di spasimi orribili. Salta, urla, ha tutto il pelo arruffato, si rotola a terra”), Scena 75 (“Il gatto nel cortile è ora preda di convulsioni. E sbava sempre. E urla. Da una finestra – soggettiva -, qualcuno lo sta osservando”).
Scena 72 – Fiume – Esterno notte (pgg. 185 – 186); Scena 74 – Fiume – esterno notte (pg. 188); Scena 76 – Fiume – Esterno notte (pgg. 190 – 197); Scena 78 – Fiume Est. notte (pg. 199)
Che si tratti di una scena centrale e molto complessa del film, è dimostrato dalla nutrita serie di storyboards tracciati sul copione, che specificano e più spesso correggono quanto si legge nella sceneggiatura. Kazanian, in origine, ha due arti di legno agganciati ai moncherini delle cosce con delle fibbie. Dopo essere caduto nella fanghiglia, l’uomo perde, insieme a una stampella, uno dei due tronconi artificiali di gamba (pg.191); poi, ritrovandosi impigliato nella melma, decide di liberarsi anche dell’altra protesi (pg.193). I topi hanno già cominciato ad assalirlo, a morderlo, e la luna, nel cielo, non è che un anello di luce al culmine dell’eclissi, quando Kazanian ha una strana visione (pg. 194): “Ad un duecento metri, sempre lungo la riva, si apre una grande cavità, che sarebbe uno sbocco di fogna più grande degli altri. Non c’è quasi luce, e densi vapori nebbiosi stagnano sull’acqua alta del fiume. In quel momento, qualcosa esce dalla cavità oscura. è qualcosa che somiglia a una barca molto bassa. Chi rema è curvo e non si distingue bene per via delle nebbie, la figura che è in piedi sulla barca. Una figura biancastra, forse avvolta in un lenzuolo. La barca punta per qualche istante verso di noi. Poi, quando è più vicina, entra in un banco di nebbia più denso e sparisce”. Immutata, rimane invece la catarsi della sequenza, l’aprosdoketon dell’“uomo del baracchino” che corre verso Kazanian non per salvarlo ma per martirizzargli il collo con un micidiale fendente e farne poi rotolare il cadavere nella mota, in pasto ai ratti (pg. 199).
Scena 77 – Strada Est. notte (pg. 198)
“Il gatto, nel cortiletto, ora cammina tranquillamente. è tutto tornato a posto e si avvia a sonnecchiare”.
Scena 79 – Cortiletto – Est. notte (pg. 200); Scena 80 – Appartamento Carol – Int. notte (pgg. 201 – 203)
Tutta la sequenza che rivela come la portiera e il maggiordomo di Elisa abbiano una tresca (la cui natura Argento vuole che resti ambigua: “Il rapporto ha qualcosa di equivoco, forse se la intendono, forse hanno un rapporto sessuale”) e sinistri segreti da condividere, è preceduta in sceneggiatura (scena 79) dall’immagine di Carol che guarda in un cortile interno del palazzo da una finestra ed esclama: “Che c’hanno i gatti, stanotte?”, aggiungendo poi: “Sono ammattiti…” (pg. 201). John, in sceneggiatura, indossa sempre degli occhiali a specchio, che nel film spariscono. Nulla da segnalare, quanto al resto, se non una battuta di Carol (pg. 203), dopo avere nascosto i gioielli di Elisa nell’armadio: “Tra un po’ anche noi potremo goderci la vita, tale e quale le contesse, i signori e i figli dei signori”.
Scena 81: – Corrodoio e ascensore 4° piano – Int (pg. 204); Scena 82 – Casa Elisa – Int. notte (pgg. 205 – 207); Scena 83 -Portineria – Int. notte (pg. 208); Scena 84 – Atrio e appartamento Elisa – Int. notte (pgg. 209 – 214); Scena 85 – Scantinati – Int. notte (pg. 215)
Nell’uccisione di John e nella successiva morte di Carol, dopo che ne ha scoperto il corpo martoriato, non si evidenziano differenze significative rispetto al film.
Scena 86 – Ambiente misterioso – Int. notte (pgg. 216 – 217)
È, questa, una sequenza molto interessante sulla carta – poiché adombra obliquamente il potere cosmico della Mater – che forse non venne girata per difficoltà tecnico-realizzative. Si apre su un tavolino posto sotto una finestra aperta: il ripiano del mobile, inquadrato in modo da coincidere con la parte bassa dello schermo, è occupato da alcuni oggetti, tra i quali una palla di vetro con dentro un piccolo plastico di New York. Argento concepisce, qui, una strana inquadratura (una nota suggerisce: “forse usare doppia lente”) in cui il panorama della città fuori dalla finestra finisce per integrarsi “con le forme sul tavolo, tanto da non capire più cosa è interno e cosa è esterno, cosa è piccolo e cosa grandissimo. Tutto si amalgama in un’unica prospettiva geometrica”.
Una mano ignota si allunga ad afferrare la palla, la porta in primo piano, scoprendo ai lati del piccolo plastico “due filini per la luce che pendono. E quando la mano scuote la palla, i due filini si incrociano, provocando dei piccoli contatti elettrici, dei lampi bianchi che illuminano a flash, come fossero lampi di tuono, il plastico sottostante”. La mdp passa a inquadrare (in CL) New York nella medesima prospettiva in cui è ripreso il plastico dentro la palla, mentre nel cielo ormai scuro della città scocca un lampo seguito da un tuono. Una forza ultraterrena è al lavoro, come nella Scena 16.
Scena 87 – Appartamento Mark – Int. notte (pgg. 218 – 225); Scena 88 – Appartamento Elisa – Int. notte (pg. 225); Scena 89 – Scantinati – Int. notte (pg. 226); Scena 90 – Appartamento Mark – Int. notte (pg. 227 – 232)
Mark scopre finalmente il significato della criptica frase: “La terza chiave è sotto la suola delle tue scarpe”, ossia l’esistenza delle intercapedini tra i piani della casa. Che, intanto, sta andando a fuoco fin dalle fondamenta. In sceneggiatura non c’è molto di più che nel film. Tuttavia qualcosa c’è. La pergamena che Mark raccoglie dal buco nel pavimento (pg. 228), contiene un testo di poche righe, che nel copione è il seguente: “Mater Tenebrarum, Mater Lacrymarum, Mater Suspiriorum, nei vostri fuochi si specchia l’inferno, delizia del mio cuore”, quindi una firma “Ego Varelli”, sotto cui è posto un sigillo triangolare. La traduzione latina, scritta a matita a destra della pagina, suona: “Vestri ignes imaginem Inferorum recipient, animi mei delitiarum”. Dopo questo rinvenimento, Mark si mette a tastare all’interno della cavità, alla cieca. Trova, dapprima, “una cordicella sottile, mezza sfilacciata” che a furia di tirare gli resta in mano, spezzata. Quindi, prosegue la ricerca con il filo di ferro, piegato a mo’ di gancio. L’arnese si impiglia ora in qualcosa (pg. 229): “Mark tira a sè il fil di ferro: è inginocchiato a terra, e dal buco, trascinata dal gancio, appare una cosa mostruosa: una mano con avambraccio, scarnificati e putrefatti”. L’arto adunco gli artiglia la coscia. Mark lancia un grido e balza in piedi. “La cosa è lì a terra. Quei polpastrelli putrefatti, quelle unghie nere accartocciate, quei lembi di pelle, quelle ossa bianche. Mark la osserva, schifato, a lungo”. Poi la calcia via. Entrati nel cunicolo sotto il pavimento, avemmo dovuto scoprire con Mark anche la presenza di teschi umani.
Scena 91 – Scala segreta – Int. notte (pgg. 233 – 242); Scena 92 – Vari punti (pg. 243); Scena 93 – Appartamento paralitico – Int. notte (pgg. 244 – 248)
Il lungo confronto tra Varelli e Mark – intervallato da scene che seguono il progredire delle fiamme – è all’insegna di una totale aderenza alla sceneggiatura. Salvo qualche leggera differenza nei dialoghi (pg. 145, mentre Varelli sta spirando: “Adesso muoio, ma niente potrà cambiare. Il mio signore non vuole cambiamenti… E io non sono il padrone, ma solo un servo…”).
Scena 94 – Corridoio – Int. notte (pg. 249); Scena 95 – Vari ambienti sotterranei – Int. (pgg. 250); Ambiente M. – Int. (pg. 251 – 260)
Seguendo un’ombra fuggente, Mark trascorre per diversi luoghi sotterranei, in uno dei quali, “basso di pietra”, vede cataste di bare (pg. 250): “Alcune sono a terra, vecchie, tanto vecchie che si sono sfondate in più punti. Dalle aperture scorgiamo ossa umane, particolari di teschi, brandelli di abiti marciti. Alle pareti, alcune rappresentazioni mortuarie”. Questo passaggio, che nel film diventerà un sontuoso corridoio con colonne di marmo nero, sbocca in una stanza circolare, un po’ spoglia, descritta da Argento come segue: “Quasi tutto il soffitto, come negli ateliers dei pittori, è una vetrata dalla quale si vede il cielo nero di tempesta. E i lampi che solcano il buio. Riconosciamo alcuni oggetti che abbiamo già visto in precedenti scene: due guanti di velluto nero, la palla di cristallo con il plastico di New York, il grande specchio alla parete”. Svelatasi per essere l’infermiera, la figura femminile misteriosa che Mark ha veduto prona sul tavolo, mentre alcuni arredi della stanza prendono fuoco e gli oggetti – lampadari, lampadine – cominciano ad esplodere, la mdp inquadra in CL, contemporaneamente, il ragazzo, la donna reale e la sua immagine riflessa nell’enorme specchio.
Dice la Mater: “Tu non potrai andare… La fine del tuo viaggio è vicina…” (pg. 253); “Tutto diventerà nero intorno a te e allora ci sarà qualcuno che ti condurrà per mano. Tu ne sarai lieto, non essere maldisposto. Ci saranno anche momenti di luce”. (pg. 254). In un graduale mutamento di luce, l’infermiera reale si oscura, e il suo riflesso nello specchio si fa, al contempo, sempre più chiaro: “Questa luce ti abbaglia? Cerca di sopportarla. Essa significa gioia. Guarda” – battuta mancante nel film e messa, nello script, tra parentesi. Molto più suggestivo di come fu poi risolto nelle immagini, era il climax che portava allo svelamento dell’identità delle Matres. (Pgg. 256 – 257): “La donna, dopo essere ormai del tutto scomparsa dalla stanza, avanza nello specchio, venendo sempre più in primo piano, sempre più vicina e grande. Mark: ‘Ma chi sei? Chi sei veramente?’; mentre ancora continua ad avanzare, ora quasi di corsa, ella dice: ‘Le tre madri… Mater Tenebrarum’, nella stanza un’ombra di buio più fitto si spande…: ‘Mater Lacrymarum…’, un pianto irreale a più voci echeggia per alcuni istanti…’; ‘Mater Suspiriorum…’ grida di dolore si sovrappongono alle voci piangenti… ‘Ma gli uomini ci chiamano con un solo nome, che fa paura a tutti’…”. La Morte, balzata fuori dai frantumi dello specchio (pg. 258) “indossa un mantello nero e il volto è quello della morta (probabile errore di battitura o Argento pensava alla Lazar cadavere?, ndr.) scarnificato, con gli occhi infilati direttamente nelle orbite, i denti a nudo, solo ossa coperte da misera pelle stracciata”.
Quindi non il teschio e lo scheletro della più classica delle iconografie, ma un essere sovrannaturale diverso (Argento lo definisce “mostruoso, a un certo punto), forse più simile alla Markos di Suspiria, era convocato a ballare laTotentanz alla fine di Inferno. La tregenda continua (pg. 259) con effetti speciali abbandonati in corso d’opera: un vento infuocato fantastico spazza la stanza della Mater, rovescia il treppiede con la palla di cristallo, che precipita a terra spaccandosi in due. E la camera subisce un sobbalzo: “Come fosse in alto mare, si piega da una parte. Tavoli e sedie volano a infrangersi come proiettili infiammati contro la parete”. La Morte è riflessa dai frammenti della sfera con la faccia divisa in due (pg. 260).
Scena 97 – Cripte – Int (pg. 261); Scena 98 – Vari ambienti fino all’atrio – Int. Notte (pgg. 262 – 264), Scena 99 – Strada – Est. notte (pgg. 265 – 267)
C’è ancora tempo, nell’atrio del palazzo, dinnanzi alle tre porte di cristallo istoriate che ora si vanno sciogliendo come “zucchero d’orzo”, perché Mark sfugga all’ennesimo assalto della Morte, che conficca la sua mano adunca e artigliata nel braccio sinistro del ragazzo (pg. 264). Ma lui si divincola dalla stretta, corre contro il muro di fiamme, lo supera e, finalmente, è fuori, in salvo (pg. 265). All’interno della casa la figura resta immobile. “Ora solleva le braccia dal mantello. Le punta davanti a sè. è maestosa. La bocca scarnificata della Morte, che si spalanca. I suoi denti bianchissimi. E un grido lacerante le esce dal petto”. Un grido terribile, che in un istante, viene cancellato dal crollo delle strutture infuocate del palazzo. Si conclude così la scena 99, con il sigillo di un numero che cabalisticamente significa proprio Amen. Cioé fine. Cioé Morte.