Levan Koguashvili: Brighton 4th, l’immigrazione e il wrestling

Intervista al regista georgiano, che ricorda il protagonista Levan Tediashvili appena scomparso
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L’uscita in Italia, grazie alla piccola ma valorosa distribuzione Invisible Carpet, del suo film Brighton 4th è stata l’occasione per un tour di presentazione per il regista georgiano Levan Koguashvili, che è passato a Torino ospite del cineteatro Baretti per una proiezione in esclusiva cittadina. Accolto dall’abbraccio commosso del pubblico, il cineasta si è intrattenuto a lungo con i presenti e ha avuto voglia di condividere con noi alcune sue idee sul cinema e sulla vita.

La prima domanda è inevitabile: qual è l’origine di questo film? Arriva anche dai suoi lavori precedenti, oltre che da esperienze di vita vissuta?

Ero uno studente alla scuola di cinema della New York University e i miei cortometraggi riguardavano sempre gli immigrati clandestini georgiani nell’area di New York. Quindi conoscevo abbastanza bene il mondo degli immigrati. Il mio corto studentesco del secondo anno The Debt è stato selezionato dal Sundance Film Festival e dopo sono stato avvicinato da un paio di produttori di New York che mi hanno chiesto se avevo una sceneggiatura per un lungometraggio su quel tema. Sì, conoscevo alcune storie, ma non era sufficiente per scrivere una sceneggiatura così mi sono trasferito in un quartiere di Brooklyn chiamato Brighton Beach, dove vivevano gli immigrati dell’ex Unione Sovietica e ho iniziato le mie ricerche. Ho incontrato persone, ascoltato le loro storie e scattato tantissime foto. Durante questa ricerca ho incontrato un padre georgiano e suo figlio che lavoravano insieme in un’azienda di traslochi e ho ascoltato la loro storia: il figlio era un tossicodipendente, a Brooklyn, qualcuno aveva chiamato suo padre in Georgia e gli aveva detto che il figlio faceva molto uso di droghe e che se non si fossero presi cura di lui o non lo avessero salvato, molto probabilmente avrebbe fatto una brutta fine. Così il padre decise di salvare suo figlio e di viaggiare dalla Georgia agli Stati Uniti. Gli venne rifiutato il visto e così ha viaggiato in Messico attraversando poi illegalmente il confine. Arrivò a Brooklyn, trovò suo figlio, lo rinchiuse in un appartamento e lo aiutò a liberarsi dalla droga. Mi ha commosso la storia di un padre che fa tanto per salvare suo figlio e questa storia vera è diventata l’ispirazione per Brighton 4th. Ma poiché il mio primo lavoro, Street Days, parlava di un tossicodipendente, non volevo trattare lo stesso argomento e ho cambiato la sua dipendenza dalla droga al gioco d’azzardo.

Levan Tediashvili è mancato pochi giorni dopo la proiezione torinese. Nel film è fantastico: come ha lavorato con lui? Non è un attore, quindi perché proprio lui?

Levan è uno sportivo leggendario in Georgia e nel mondo, uno dei migliori lottatori di freestyle della storia. È un due volte campione olimpico, quattro volte campione del mondo, e molto altro ancora. Era un lottatore tecnico e artistico ed era una persona molto artistica anche nella vita reale, con uno straordinario senso dell’umorismo. Quando lo conobbi nel 2018 aveva seri problemi di salute. Era quasi sordo, sentiva solo il 20% da un orecchio e aveva un grave diabete, ma durante le prove video era così interessante, il suo silenzio era così significativo che nonostante i molti rischi ho deciso di dargli il ruolo principale. Levan ha vissuto una vita sorprendentemente interessante e intensa. Oltre alle grandi vittorie, nella sua vita ha dovuto affrontare anche molti momenti amari e tragici: nel 1992 ci fu la guerra tra Georgia e Abkazia e suo figlio ventenne, Vakhtang, partì come volontario. Levan è andato con suo figlio in guerra, diversi giorni dopo che arrivarono al fronte, Vakhtang fu colpito e morì tra le mani di Levan. Questo grande, imbattibile campione ha visto gli occhi di suo figlio mentre stava morendo tra le sue mani in piena guerra: tutte queste esperienze sono raffigurate sul volto di Levan. Per questo l’ho scelto, nonostante le sue condizioni fisiche estremamente difficili: sfortunatamente ora è morto anche Levan. Sono felice e molto orgoglioso di aver avuto la possibilità di incontrarlo nella mia vita e di lavorare con lui. Sono molto orgoglioso che Brighton 4th abbia rappresentato questo grande e straordinario uomo e il suo ultimo combattimento.

Il wrestling è al centro del racconto ed è anche spesso fonte d’ispirazione per i film (da The Wrestler di Aronofsky a The Iron Claw, per citarne solo due): voi perché lo avete scelto?

Trasformare il personaggio principale in un lottatore è stata un’idea dello sceneggiatore Boris Frumin, c’erano diverse ragioni per cui decise così. In primis le qualità cinematografiche: Boris cerca sempre le professioni cinematografiche dei protagonisti, il lavoro che è più interessante da girare. Lotta, allenamenti, riscaldamento: tutti questi aspetti possono essere rappresentati dalla telecamera in modo interessante. Poi il wrestling è uno sport molto popolare in Georgia ed è una scelta naturale per l’occupazione del personaggio principale; infine richiede un certo codice di comportamento. Abbiamo visto il lottatore come un samurai, come una persona con un forte senso di nobiltà e dignità. Un lottatore davvero bravo è una persona forte e le persone veramente forti sono modeste e umili. È così che abbiamo visto il nostro personaggio principale.

Dopo un film così intenso e sentito su cosa sta lavorando?

Sono nel bel mezzo della produzione di un nuovo film. Si chiama Guria, è una tragicommedia sull’amore e l’amicizia nel mezzo di povertà, guerra e “scorciatoie elettriche” nella provincia georgiana negli anni ’90, subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Una delle principali ispirazioni è stata Amarcord di Fellini insieme ai primi film di Ermano Olmi.

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