2146
2146 è un’avventura futuribile per ragazzi, ma forse lo è solo a livello commerciale, nel senso che viene venduto con un’etichetta che chi scrive trova vera solo in parte. Come definizione per piazzare un libro a scaffale non ha senso, ma il romanzo di Marco Marmeggi è semplicemente un bel pezzo di letteratura, un romanzo denso da leggere con un grande senso della bellezza e dell’armonia trasversale ad ogni aspetto della narrazione. La cura che l’autore ha messo nel romanzo salta agli occhi anzitutto dallo stile, che dipinge un mondo facendo largo uso di un lessico che affonda nella realtà fisica. Odori, suoni, sensazioni tattili che danno all’ambiente una consistenza quasi fisica restituendo al lettore un’esperienza profondamente immersiva.
Se descrivere è evocare, la funzione è pienamente assolta dall’autore e dall’immagine viva del villaggio galleggiante in cui la storia si svolge. Il mare, le barche, la pelle esposta al sole sono un personaggio a sé stante che racconta di sé e vive la vicenda insieme ai protagonisti, una vicenda vissuta di pancia ma non per un’emotività senza profondità concettuale, ma proprio in quanto la profondità, sia fisica sia del pensiero, è interiorizzata e fatta propria dall’autore e dai protagonisti, che concetti come la comunità e il rapporto con la natura, basilari quanto sterminati, sembrano averli nella carne e nelle ossa.
Marco Marmeggi scrive con una concezione completa della letteratura. Stile, forma, trama, struttura, nessun elemento è trascurato in una costruzione che tiene conto di una storia come di un oggetto narrativo che fondato sull’equilibrio delle parti. 2146 colpisce come un romanzo di linguaggio perché è la lingua è l’aspetto che si vede per primo, ma il resto c’è tutto, il libro è bilanciato e gode della semplicità del lessi is more, della compiutezza in cui se qualcosa non c’è il motivo è che non serve, e se un concetto non viene espresso a chiare lettere è perché va ricercato nel testo e tutto sommato è giusto così.