Il chierico, il medico e il santo
«[…]Tra le mura di una cella, isolata, qualcosa di strano doveva essere accaduto. Varcata la porta, non sarebbe stato difficile giurare di trovarsi sulla scena di un crimine. Il pavimento, le lenzuola, le tovaglie sono imbrattati di sangue. Un sangue nero, tanto spesso da sembrare grasso e da cui spira un lezzo fetido. Nauseante. Al centro della stanza un giovane chierico ripulisce l’impiantito da quella sozzura». A mancare all’appello, tra i vari elementi che compongono il luogo del reato, un vero cadavere che, per l’appunto, avrebbe dovuto essere quello di Carlo de Vivis, lo stesso giovane che all’interno delle mura, con sguardo attonito, impugna la scopa. È con la meticolosa narrazione di questi dettagli che Stefano Daniele, autore del saggio Il chierico, il medico, il santo. Guarire con l’immaginazione nella Napoli di età moderna, accende la curiosità dei suoi lettori e delle sue lettrici proiettandoli nella Napoli del ‘700. Scritto sotto forma di romanzo e strutturato come un giallo, il saggio ripercorre le vicende che, impegnando un arco temporale di duecento anni, ruotano attorno alla causa di santificazione di Francesco Caracciolo, fondatore dell’ordine dei chierici regolari minori. Ed è a Francesco Caracciolo che il già citato Carlo de Vivis attribuisce la sua miracolosa guarigione, avvenuta solo qualche ora più tardi dalla sentenza di morte, comunicata all’egro giovane dall’illustre medico del tempo, Vincenzo de Iorio. Daniele traduce mirabilmente gli atti di un processo risalenti a trecento anni fa in un thriller moderno e avvincente, imbevuto di riflessioni sulla storia del pensiero scientifico e di excursus filosofici; con penna cruda e, talvolta, spietata, non risparmia a chi legge resoconti granguignoleschi con la medesima accuratezza descrittiva di un piano sequenza degno della miglior cinepresa.
L’autore segnala al suo pubblico che lo stesso de Vivis aveva supposto che la sua guarigione, più che un miracolo, avrebbe potuto essere il risultato della sua stessa immaginazione; una riflessione ancor più acuta si insinua, quindi, nella mente di chi legge: fantasia e immaginazione hanno davvero il potere di guarire le ferite? Francesco Caracciolo trapassò nel 1608, solo otto anni più tardi dalla sentenza che condannò Giordano Bruno ad ardere sul rogo di Campo dei fiori, con l’accusa di eresia, e dodici anni dopo la pubblicazione de Il senso delle cose e della magia di Tommaso Campanella, quando ancora vivida era la bramosia dell’Uomo di poter “fare la sua fortuna” facendo bollire nello stesso calderone Cabala, autorità filosofica ed ecclesiastica, conoscenze astrologiche e alchemiche, i cui suffumigi furono a lungo lo spazio occupato da fantasia e immaginazione. Ma Daniele, citando Burke, ha premura di rammentare che i santi sono testimoni dell’epoca in cui vengono canonizzati e non del periodo in cui hanno vissuto, per questo la guarigione di de Vivis dovette fare i conti con l’esplosione del razionalismo del secolo dei Lumi, quando si sigillarono le nozze di interesse tra il determinismo scientifico e il salto ontologico che consente alla fede di giustificare il miracolo; insieme questi due estremi optarono per sacrificare l’immaginazione a favore dei loro, opposti ma speculari, interessi, relegandola ai confini della natura, la frontiera dell’universo delle cause identificabili, sospendendola in un limbo già condiviso da magia, figure mitologiche, superstizione, spiriti, grimori e amuleti.
Ma chi era Lazzaro, a beneficio del quale fu compiuto, secondo il Nuovo Testamento, il primo miracolo della storia, se non uno zombie? E, oggi, cosa riempie la letteratura e le pellicole cinematografiche del genere orrorifico se non redivivi tornati violentemente dal mondo dei morti e in modo tutt’altro che religiosamente inteso? Uno spazio di confine, quello tra naturale e sovrannaturale, a ridosso del quale Frankenstein, Dracula e Lazzaro sembrerebbero sedere allo stesso tavolo. E se risiedesse qui, nell’area abitata dall’immaginazione, il germe della nuova psicologia fondata sulle teorie placebo, dell’autosuggestione e della mindfullness? Per dirla con le parole parafrasate e reinterpretate dello storico della filosofia Emanuele Severino: a volte la partoriente muore dando alla luce la propria creatura, ed è ciò che similmente è accaduto all’immaginazione, sofferente e morente ha consegnato la propria essenza al nuovo essere per il quale è morta, ma nel quale tuttavia essa sopravvive. Per queste ragioni Il chierico, il medico e il santo rappresenta, per mezzo della riflessione sull’immaginazione transitiva, un suggestivo spunto di inchiesta per affinare il percorso di studi sull’evoluzione del pensiero moderno.