Il male che fa bene
Frank è un uomo in fuga. Decenni or sono, durante una rapina che si prospettava molto facile una bimba è rimasta vittima di un proiettile di rimbalzo. Dopo l’incidente Frank è scomparso, rifacendosi una vita in medio oriente come mercenario indipendente, un soldato di ventura con un’etica tutta sua, accompagnato da un fidato amico curdo. Niente tuttavia dura per sempre, e quando durante una missione qualcosa va storto, Frank perde l’amico in azione ereditando in cambio Layla, una ragazza prigioniera che lo porterà, volente o nolente, a fare i conti con il passato.
Torna Italo Bonera, e lo fa senza guardarsi indietro. La scrittura sanguigna, la viscerale rabbia antisistema di Io non sono come voi sono un ricordo. Questo suo ultimo lavoro, Il male che fa bene, si avvicina maggiormente alle evoluzioni più recenti dello scrittore bresciano, quello stile più freddo, più distaccato, più cerebrale e meno di pancia di cui già aveva dato prova con il precedente Rosso Noir. Manca la stretta allo stomaco che ti faceva digrignare i denti soprattutto nelle descrizioni dei servi del potere, che riuscivano a suscitare delle solide incazzature quando comparivano in scena. Il romanzo tuttavia funziona lo stesso. Il ritmo c’è, l’azione non manca, la caratterizzazione dei personaggi è sviluppata per essere funzionale a un romanzo plot driven, con una forte identità di genere, un genere che Bonera bazzica ormai da tempo e con risultati non trascurabili, avendo vinto un premio importante legato alla storica rivista Segretissimo, che fra le proprie pagine ha ospitato i suoi racconti. A ragion veduta, perché Italo Bonera ha la padronanza di uno scrittore consumato che tuttavia esprime adottando un approccio sui generis, una voce che nel tempo è cambiata ma non per questo snatura sé stessa restando perfettamente associabile al proprio autore di riferimento.
Il risultato è una narrazione solida in un volume bello pieno che trasmette un senso di lettura soddisfacente già solo a prenderlo in mano. Poi, sia chiaro, si tratta di un volume verso cui un minimo bisogna essere disposti. Qui non ci sono ibridazioni, contaminazioni o aspirazioni velleitarie di dar vita a un’intellettualoide letteratura alta. Qui siamo nel territorio di un romanzo popolare consapevole della propria natura, non di puro intrattenimento, con un approfondimento dei personaggi definito che tuttavia non scade in quell’intimismo da due soldi che affolla fin troppo i cataloghi editoriali di una scena editoriale asfittica come quella italiana. L’autofiction da bar e la saga familiare ormai stantia lasciano spazio a una storia di genere strutturata, figlia della tecnica e di tante letture nel settore. Ciò non vuol dire che manchi la riflessione, specie quella politica, Bonera ha posizioni ben definite che traspaiono dai suoi scritti, anche se qui forse più in sordina rispetto ai suoi ben più diretti lavori precedenti. Un’opera matura, Il male che fa bene, con cui l’autore sembra tracciare un primo bilancio della sua carriera, in tal senso alcune situazioni si rivelano ricorrenti rispetto ai romanzi precedenti, che sembra godere di ottima salute.