Ci sono romanzi la cui definizione più calzante sarebbe ambienti narrativi, situazioni in cui trama, personaggi e la struttura non mancano ma esistono comunque in funzione di qualcos’altro, di un universo fatto di ambientazione, di simboli e di atmosfere. Gli autori raccontano, a volte in maniera lineare a volte molto meno, ma il punto non è seguire il filo degli eventi o l’evoluzione di un personaggio. Il punto è interrogare la lingua stessa, il punto è entrare in una situazione e nei suoi molteplici livelli di lettura esplorandone i simboli che, spesso, parlano in maniera criptica. Non è semplice, non è per tutti e, soprattutto, chi scrive deve avere una padronanza dei mezzi fuori dal comune. Una capacità come quella dei fratelli Strugackij, veri mostri sacri della fantascienza sovietica che, con il loro La chiocciola sul pendio, anticipano di diversi anni un lavoro gigantesco come Terminus Radioso di Volodine.

In La chiocciola sul pendio ci sono vicende, ci sono personaggi e c’è una trama che scorre, ma quel che conta è il mondo, composto da due ambienti, due macro simboli che si frammentano in simboli più piccoli in un intreccio di significati che si può esplorare a diverse profondità. Il tempo conta poco e niente in un romanzo filosofico di ampio respiro che parla per immagini, lavorando molto sul non detto e sulle molteplici possibilità di interpretazione. Il risultato è un’opera intelligente, complessa e difficile da valutare in maniera lapidaria e sbrigativa, al punto da sopravvivere alla censura, le motivazioni di questo fatto non le conosco ma mi piace pensare che il romanzo sia capitato in mano a un lettore sensibile e attento che, nonostante la critica aspra e poco o nulla velata, abbia riconosciuto la bellezza e l’ingegno di cui il romanzo è pieno.

La chiocciola sul pendio è per il lettore una prova impegnativa ma soddisfacente, richiede di alzare l’asticella ma restituisce tutto lo sforzo profuso con gli interessi.