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La mano guantata della morte

Autore:
Nico Parente, Antonio Tentori
Editore:
Shatter

Il nostro giudizio

Sceneggiatura per un film che c’è da augurarsi si farà, La mano guantata della morte – in libreria per Shatter Edizioni – trova coordinate e tempi negli sbilenchi teoremi del glorioso giallo all’italiana, nonostante racconti una storia saldamente ancorata alla contemporaneità. Tra flashback, omicidi efferati e un certo gusto per l’effetto a sorpresa, Nico Parente, cultore e studioso di cinema di genere, e Antonio Tentori, chi legge Nocturno sa benissimo di chi parliamo, si sono imbarcati in un’operazione più che interessante a partire dal nodo centrale del metacinema, da intendersi in un’accezione più ampia di quanto venga solitamente usato. In La mano guantata della morte c’è sì il metacinema inteso come svelamento dei meccanismi alla base del “fare cinema”, ma soprattutto come omaggio, sincero e mai esibizionista, a quell’universo dai segni chiari come rasoiate che, ben ricombinati, producono un racconto inedito con in sé l’atout di un codice noto e oltremodo efficace. È grazie ad un complesso sistema dei rimandi, del resto, che lo spirito del giallo all’italiana s’insinua lungo le pagine della sceneggiatura di Parente e Tentori, manifestandosi in via diretta e indiretta attraverso precisi toni visivi e sonori, fatti percepire nell’istantaneità del loro stesso sorgere a chi sa vedere e ascoltare.

La scelta e l’inserimento consapevole di ciò che è essenziale perché si rientri nel canone, allora, fungono da carta vincente dell’intera impresa, sebbene La mano guantata della morte non sia per forza di cose un copione-frankenstein o l’insieme di scene e suggestioni altre, quanto l’“adattamento originale” di un intero genere. Specialmente con le modalità del racconto scritto, rielaborare e riproporre il mondo del giallo, adattandolo inoltre dagli anni Settanta ad oggi, implica il compimento di selezioni precise e, conseguentemente, l’affermazione di un punto di vista in grado di “ricomporre l’opera” in funzione di una lettura obbligatoriamente personale, qui facilmente ravvisabile. Fortunatamente, Parente e Tentori sanno tenersi ad un certa distanza dall’assillo postmoderno e finiscono con lo svelare una metodologia più di cuore che di testa: non mostrano  superiorità nell’attingere a frammenti di altre opere quanto voglia di infondere loro nuova forza pulsante, rimanendo negli stessi identici territori, senza svicolare in altre direzioni così come farebbero in molti.

Se il riferimento imprescindibile rimane certamente Dario Argento, da un omicidio nella vasca da bagno al killer copycat di Tenebre fino ad una sala cinematografica che porta il cognome del regista romano, i due sceneggiatori prendono spunto anche dai titoli di altri grandi come Lucio Fulci e Sergio Martino fino a far baluginate nella memoria Passi di danza su una lama di rasoio di Maurizio Pradeaux o La morte cammina con i tacchi alti di Luciano Ercoli. Con dialoghi serrati e essenziali, La mano guantata della morte fornisce indizi, allude, avvicina il lettore per poi discostarlo dalla verità, costruendo intorno alla più classica delle motivazioni primarie alcune sequenze spesse volte riuscite che si interrogano sullo stesso funzionamento che le muove, finendo col segmentare e studiare a fondo ciò che oggi è “riattivabile” del cinema giallo di una precisa stagione, ben oltre l’effetto nostalgia o l’omaggio deferente.