Nuovo Cinema Horror
Se lo è nella vita umana, impresa complessa, tracciare il famigerato punto della situazione, ancor di più lo è nei fatti cinematografici. E, direi, tre volte più complesso, quando lo status quaestionis riguarda il cinema dell’orrore. Fino a un certo punto, che può essere fissato allo scavallamento del Millennio, ancora ce la si faceva, abbastanza agevolmente, ad orientarsi nella cartografia del genere. Ovvero, i continenti erano piuttosto ben definiti: qui il mare, là la terra, là ancora i poli. Dopo il Duemila, invece, e dalla fine della prima decade di esso particolarmente, le cose hanno cominciato a farsi aggrovigliate, impervie, paludose se proprio volessimo restare alla metafora elementale. Sono riapparse zone segnate dall’hic sunt leones, regioni incerte, indefinite (meglio: indefinibili) che sfidano all’esplorazione. Il libro di Emanuele Di Nicola si addentra proprio in tali nuovi regni, dell’orrore cinematografico, accettando il guanto di sfida di portare un minimo di luce e di ragione in quel caos che l’horror oggi rappresenta e riflette, inevitabilmente, quale specchio del caos che domina ad ogni livello dell’umano vivere. Una scorsa all’indice, di Nuovo Cinema Horror (Mimesis edizioni, 170 pagine, 18,00 euro), ci dice subito che i film e gli autori hanno la prelazione sulle “Tendenze”, che occupano la seconda parte del libro. E un’ulteriore scorsa alle opere e ai registi subito affrontati, senza fronzoli né proemi inutili, fissa i punti cardinali ai quali Di Nicola tiene la barra nella navigazione: Mitchell & It Follows, Eggers & The Witch, Aster & Hereditary & Midsommar, Peele & la sua Trilogia, Ducournau, da Raw a Titan e Shyamalan, da Old a Bussano alla porta.
La precisione della scrittura, la sua chiarezza, unitamente ad un approccio scientifico e notomistico nell’analisi, rendono le disamine di Di Nicola uno strumento ermeneutico acuto e affilatissimo. Il tronfio, il pletorico, il roboante, l’ostentazione infantile, narcisistica, restano al di fuori del raggio di interesse dell’autore e mi pare che questo non sia l’ultimo dei meriti per chi oggi scriva di cinema e di cinema horror in particolare. L’antologia dei nomi e dei titoli di punta selezionati comprende una fetta di ciò che oggi si definisce Artgenre (noi lo teorizzammo qualche anno fa proprio in un dossier di Nocturno), ovvero incroci tra materia orrorifica di base (quello che è il genere) ed elaborazioni di forma e contenuto che attingono un livello “artistico”, di qualità (quello che fu l’arthouse). Ma anche qui il pregio del testo di Di Nicola mi pare che risieda nel non fossilizzarsi mai su capriole & pippe mentali spericolate, quanto nel sezionare lucidamente i film, snudandone i gangli vitali e restituendo a ciascun regista il proprio: suum cuique tribuere, che è precetto della Giustizia anche cinematografica. Ne risulta un quadro che al contempo permette di apprezzare l’Uno nel molteplice e il molteplice nell’Uno: un horror come idea astratta che si vivifica nella carne e nel sangue di visioni che potrebbero apparire polari e che invece rendono perfettamente l’idea di quale prisma sfaccettato sia divenuto il genre. Si chiama, lo ripeto, fare ordine nel caos.
Nei dieci capitoli che costituiscono la seconda sezione, riuniti sotto la dicitura “Tendenze”, Di Nicola abbraccia con altrettanto chiara e mirabile sintesi, il cinema horror della contemporaneità, nel suo dialogo con i macrotemi sensibili (tutta la sfera degli Web-horror, le variazioni epidemiche innescate dalla pandemia), nel recupero dei “classici” sotto l’egida dei prequel-sequel-remake-reboot, nelle varianti televisive e infine dedicando alcuni capitoli al versante italiano, tra New Wave (Strippoli, De Feo, ma pure Guadagnino) e ultimi cimenti di personalità come Argento e Zampaglione. Senza dimenticare il tema registe-horror, che nell’ultimo decennio hanno costituito e costituiscono un fatto inedito e in qualche misura rivoluzionario rispetto alla storia pregressa del genere. E senza dimenticare, ancora, il plotoncino di pellicole definite “schegge”, dalla Trilogia di Ty West a Shinamarink a Speak no Evil, fino a giungere a Piggy o Lamb, di cui si riesce a rendere perfettamente ragione in una decina di densissime pagine. La “Paura” è il tratto che Di Nicola segue nel dialettizzare tale galassia di punti sparsi dell’horror dei nostri giorni, il possibile elemento unificatore, come in quei giochi della Settimana enigmistica in cui l’oscuro si rende visibile grazie a un percorso obbligato, cogente e coerente. Come il filo che guida Teseo nel Labirinto a snudare la forma del Minotauro. Ma è, oggi, la Paura ancora un luogo della mente o non piuttosto un luogo fisico, un ambiente, il contesto in cui celebriamo il rito dell’incontro con i Mostri? Il privato solipsistico della fruizione dell’orrore che ha preso il sopravvento sulla catarsi pubblica, nel buio di una sala cinematografica…?