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Orbital

Autore:
Samantha Harvey
Editore:
NN Edizioni

Il nostro giudizio

Una stazione orbitale gira intorno alla Terra. Il suo equipaggio, composto da sei membri provenienti da tutto il mondo, vive e lavora osservando il pianeta dalla lunghissima distanza a cui è collocato. La quotidianità è fatta di attività ordinatamente scandite nel tempo, rapporti umani, riflessioni e notizie che raggiungono le sei persone da lontano, raggiungendo i loro pensieri con una prospettiva condizionata dai chilometri che li separano da casa. I membri dell’equipaggio meditano, pensano, si interrogano sul senso della vita beneficiando di un punto di vista inedito e privilegiato che permette loro di vedere le cose dall’alto, fisicamente ma anche metaforicamente, nella loro magnificenza ma anche nei loro aspetti più soverchianti.

Inquadrare Orbital, di Samantha Harvey, romanzo vincitore del Booker Prize, è come minimo complesso. Anzitutto per la quasi totale assenza di una trama. In Orbital, in termini di eventi, succede proprio poco ma la scelta da parte dell’autrice è deliberata, perché più che di un romanzo l’opera è una meditazione. Volendola paragonare a una serie TV la si potrebbe paragonare, mutatis mutandis, a The Midnight Gospel. Certo, i due prodotti hanno diverse differenze marcate, Orbital non ha la psichedelia, il surrealismo spinto e il fiume di parole in forma di discorso diretto della serie di Netflix che d’altra parte era tratta da un podcast, ma entrambe le opere prendono le mosse da un’ambientazione e da una situazione di partenza che sono quasi un McGuffin, per entrare in profondità in una dimensione totalmente riflessiva, che le pone ambedue ai limiti della fiction, con un piede oltre. La differenza è che, in tutto e per tutto, Orbital si caratterizza per un maggior senso della misura. Le riflessioni restano più ancorate al reale, virano meno verso la pura astrazione e tutto è espresso in punta di penna, con delicatezza.

Il romanzo di Harvey è letteratura filosofica non dissimile dalle opere di Becky Chambers (Un salmo per il robot e Un salmo per l’universo, entrambi pubblicati su Urania) ma con uno slancio meno mistico e un mood più sobrio. L’atto stesso di ricorrere a diversi paragoni rende l’idea della complessità di circoscrivere ed etichettare un romanzo che riesce a trovarsi così a cavallo tra le forme espressive, distante dalla narrazione pura ma al tempo stesso lontana dalla forma saggio, che per una volta non è retorico né banale definire Orbital come un’opera sui generis. Lo stile pulito ed elegante, a tratti lirico, e la struttura liscia, priva di incidenti narrativi o plot twist che possano ostacolare la scorrevolezza della riflessione costruiscono un dispositivo che è al tempo stesso una dimensione sospesa fuori dal tempo e un cappello per pensare, magari disorientante per il lettore che si sarebbe aspettato una narrazione più tradizionale ma estremamente funzionale per un meccanismo che vive di ritmi dilatati, e di un’ambientazione completamente al servizio delle finalità di un romanzo al tempo stesso irregolare e ancestrale nel proprio raccontare un storia e meditando alla maniera di Severino Boezio nel La consolazione della filosofia.