Ritratte. Storie di donne che hanno scelto il cinema
Spesso si dice che una svolta decisiva nella condizione femminile arriverà quando a prendere coscienza saranno gli uomini: Carlo Griseri lo dimostra plasticamente, lo mette nero su bianco. Il suo libro Ritratte. Storie di donne che hanno scelto il cinema (edizioni Capovolte, pagine 160, euro 15) presenta dieci affreschi di registe da ogni parte del mondo, firmati dallo stesso autore, che è un vero e proprio indagatore del cinema del presente: critico e giornalista, presenza costante dei festival nelle vesti di selezionatore, moderatore e scrittore, dirige anche il Seeyousound di Torino. È quindi la persona giusta per approcciare tale progetto, anche perché in grado di riflettere sulle donne al timone senza luoghi comuni o la solita condiscendenza, ma partendo dal dato empirico, ossia da fatti e numeri. La chiave di ingresso è la vittoria al Festival di Venezia 2022 di Tutta la bellezza e il dolore, abbastanza clamorosa, il documentario di Laura Poitras sulla fotografa Nan Goldin e le sue battaglie, che serve per rilevare la nuova tendenza dei festival internazionali a premiare le registe (il picco, per noi nocturniani, è la Palma 2021 a Titane della Ducournau). Ma attenzione, fa notare Griseri: ciò significa forse che l’arte settima si è aperta al femminile? Assolutamente no. Le cifre infatti sono impietose: negli Usa nel 2021 le donne registe sceneggiatrici, produttrici, produttrici esecutive, montatrici e direttrici della fotografia erano il 25% del totale. In Italia nel periodo 2008-2018 le registe erano solo il 9%. Chissà perché, siamo ultimi anche nell’arretratezza…
Da questa premessa, essenziale, si entra nel cuore del testo cioè nel vivo delle ritratte: si sviluppano le storie e i percorsi delle dieci artiste prese in considerazione, che potevano essere anche di più, ma una scelta è sempre personale e crudele. Acuto è l’autore a sfaccettare la questione, ovvero disegnare una piccola cartografia andandole a prendere in diversi punti del globo, passando da nomi più noti ad altri ancora misconosciuti ma non minori. Ecco quindi la libanese Nadine Labaki, l’afghana Shahrbanoo Sadat, la sino-americana Alice Wu, la francese Maïwenn, l’ebrea newyorchese Rama Burshtein, la tanzaniana Ekwa Msangi, la turca Pelin Esmer, la franco-algerina Mounia Meddour, la costaricana Antonella Sudasassi (intervistata anche per noi) e la bielorussa Darya Zhuk. C’è una cosa che colpisce ed è inevitabile: tutte le donne partono dal loro vissuto, dalla rielaborazione della condizione personale e dall’oppressione dei loro Paesi, come scintilla magica che le porta ad avvicinarsi al cinema. Più che nei registi, dunque, qui è la propria condizione che leva il grido e chiede di essere rielaborata per interposta narrativa. Gli sguardi sono molto diversi: si va dalla tragedia assoluta e frontale sino alla provocazione dell’ottimismo, come fa, per esempio, Labaki in Caramel che inscena un salone di bellezza dove si ritrovano intimamente le donne libanesi, ovviamente una metafora (“Il caramello è dolce, ma brucia la pelle”).
L’invito è quello a passeggiare dentro le storie, differenti ma con tratti comuni, seguendo i ribaltamenti di campo di Griseri che non esita ad affrontare le questioni più spinose, come la ribellione alla grettezza degli ebrei ortodossi nel cinema di Rama Burshtein, vedere il bellissimo La sposa promessa del 2012. Poi, nel viaggio di Ritratte, ognuno avrà la sua preferita e – perché no – anche la regista che respinge, quella con cui non entra in sintonia, ma fa parte del gioco. Io ho un debole per Maïwenn, la cui parabola viene ottimamente ripercorsa nel capitolo dedicato, a partire dalla relazione minorile con Luc Besson sino alla liberazione da quel rapporto velenoso, passando per la difficile affermazione come regista in un mondo che le diceva di essere “solo bella”. Chiaro che quando poi una gira Polisse, molti devono chiedere scusa… Ma il punto non è il gusto personale, come sempre, bensì il lavoro rabdomantico che emerge: per amare le registe prima di tutto bisogna conoscerle. Va detto che il tutto è arricchito dalla prefazione di Stefania Rocca (bel colpo), la quale si mette a nudo e racconta la propria esperienza di attrice, compreso quando è stata vittima di molestie; e dalla postfazione di Federica Fabbiani che riflette sul cinema delle donne mettendolo allo specchio coi movimenti del presente. Un libro importante, intelligente, potente come il critico che l’ha scritto.