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Valeria D’Obici – Dizionario di un’attrice “sui generis”

Autore:
Francesco Foschini con Stefano Careddu
Editore:
Falsopiano

Il nostro giudizio

Non stupisce che si possa restare magneticamente attratti dalla figura di Valeria D’Obici: classe 1944, ligure di Lerici, affacciata prima sulla scena teatrale e poi riversata nel cinema. Protagonista di Passione d’amore di Ettore Scola, 1981, in cui recitava a fianco di Laura Antonelli, nella parte della Fosca di Igino Ugo Tarchetti ovvero “la donna più brutta d’Italia”. Forse più particolare è la forma scelta per raccontarla: non una biografia né un romanzo, bensì un dizionario sui generis, con tanto di voci, lemmi, interventi della stessa Valeria che ricorda e si racconta. Tale è Valeria D’Obici. Dizionario di un’attrice “sui generis”, il libro del critico cinematografico Francesco Foschini scritto con Stefano Careddu, per le edizioni Falsopiano (pagg. 165, euro 17). Dopo la prefazione di Rocco Moccagatta, parte il viaggio: il punto di ingresso è il film di Scola, il più famoso, per cui la D’Obici divenne “una perfetta Nosferatu al femminile” (Foschini), simbolo di bruttezza calzato alla perfezione che le fa vincere il David di Donatello.

E poi a ritroso, dall’inizio, ovvero dalle prime esperienze sul palco di Valeria raccontate nel dizionario-intervista. La vita dell’artista viene divisa in quattro fasi, in senso cronologico dal passato al presente, e si pone molto lontano dal solito saggio di cinema: si sviluppa seguendo un filo narrativo originale e coinvolgente, che a tutti gli effetti è un racconto, un libro che si legge come un romanzo. La filmografia della D’Obici è “variopinta e particolarmente insolita”: inizia tecnicamente con La polizia ha le mani legate di Luciano Ercoli, passa da Scola e Peter Del Monte (Piso Pisello), arriva a un gioiello come Fuga dal Bronx di Enzo G. Castellari, conosce Vanzina e Castellano e Pipolo, Liliana Cavani e Nico D’Alessandria, incrocia perfino Muccino e finisce con Pupi Avati nel recente Dante.

Da parte sua, l’attrice non si risparmia: oltre all’attività più nota, non teme di rivelare dettagli e particolari privati, che non sveliamo per lasciare il piacere della lettura. Nel secondo segmento, poi, vengono sviluppate le singole voci commentate da lei, seguendo il metodo aneddotico. Se è vero che gli esegeti dell’attrice svolgono un ottimo lavoro, è altrettanto vero che si ricade sempre nelle parole della protagonista, la sua conoscenza viene garantita per esperienza diretta. Bisogna aggiungere che il volume è corredato da bellissime foto, sul palco, sul set e nella vita, tratte dall’archivio di Valeria che fanno ripensare radicalmente quell’equivoco a proposito dell’aspetto fisico. Ognuno ha il ruolo primario, ovviamente, alla fine per lei resta probabilmente la Fosca di Tarchetti. E proprio ricorrendo allo scrittore Foschini la descrive: “«Tutta la sua vita era nei suoi occhi, che erano nerissimi, grandi, velati – occhi d’una beltà sorprendente». Quello di Valeria è proprio così, uno sguardo vivace e innamorato della vita; uno sguardo in cui respira un mondo, il suo mondo; basta solo osservarla attentamente per accorgersi di quel fascino sotterraneo che, lungo gli anni, le hanno spesso – e volutamente – nascosto”.