Make Room: il backstage del porno giapponese
Intervista a Kei Morikawa e Riri Kuribayashi
Anche per i film porno ci vuole il makeup, ci si dovrebbe stupire del contrario. Prima di interpretare le scene, le attrici hard devono passare sotto le mani di truccatrici esperte. Su questo assunto si basa il film giapponese Make Room, presentato all’ultimo Far East Film Festival di Udine, una commedia interamente ambientata nel camerino di un film a luci rosse, dove i membri del cast e della troupe chiacchierano e discutono delle scene che dovranno realizzare mentre le attrici si lamentano delle troppe battute che devono imparare a memoria. Make Room ha già avuto una sua vita teatrale – in effetti è un testo che rispetta l’unità di luogo, il camerino – ed è diretto da Kei Morikawa che si trova evidentemente a suo agio a raccontare questa storia, essendo anche un regista di AV (Adult Video). Mentre tra le interpreti figurano vere attrici di AV, tra cui la deliziosa Riri Kuribayashi, che ha incantato il pubblico del Far East. Li abbiamo incontrati
Puoi raccontarci l’origine di Make Room?
Kei Morikawa: Cinque anni fa Toshiyuki Moyaka, regista, produttore e a capo di una compagnia teatrale, mi chiese di fare una commedia insieme a lui. Cercavo di pensare a qualcosa che potesse mettere insieme la mia creatività, la mia immaginazione, qualcosa che altri non avrebbero potuto fare. Sono stato un regista di Adult Video per tanti anni, così mi venne l’idea di Make Room. Pensavo di poter fare qualcosa per mostrare i dietro le quinte di un AV. Creammo così la versione teatrale. Due anni fa pensammo che avrebbe potuto essere convertito in un film. Così adattammo lo script per il cinema, lo girammo e ora lo stiamo mostrando ai festival.
Come sei stata coinvolta in questo progetto?
Riri Kuribayashi: Cinque anni fa, quando è stata allestita la versione teatrale di Make Room è stata chiesta la mia partecipazione, e di nuovo è stata richiesta la mia presenza quando il progetto si è sviluppato per il cinema. E sono stata molto felice di essere stata scelta. Nella versione teatrale interpretavo Masami, nel film Masako. Per quello che riguarda i preparativi di come sono entrata nel personaggio, non ci ho pensato molto, ho dato spazio alle mie emozioni.
Anche le altre attrici hard del film sono interpretate da vere attrici hard?
Kei Morikawa: All’interno del film sono cinque i personaggi che rappresentano attrici AV. Di queste sono tre a essere interpretate da attrici AV reali. Tre di cui sapevo avere un grande potenziale recitativo. La recitazione è importante nei film adult. Importante è la capacità di percepire le necessità e i contenuti e saperli esprimere all’interno della scena di sesso ed essere così interessanti da far sì che le persone che guardano il film vogliono continuare a vederlo. Lo spettatore sarà appagato da quel tipo di sessualità, il che vuol dire che la loro recitazione è interessante e coinvolgente. Se trovo una ragazza carina ma che poi non ha nessun tipo di espressione interessante, la scarto. Invece le tre ragazze che ho scelto dal settore dell’AV, hanno un potenziale e sono tutte e tre famosissime. Io non le ho guidate, non le ho dato indicazioni particolari. No, loro avevano già le loro capacità recitative. Per quanto riguarda poi Miss Kuribayashi, con lei avevo già avuto modo di lavorare, sia per le produzioni AV, sia per la versione teatrale di quest’opera. Quindi sapevo già che era molto valida.
Come mai hai usato vere attrici dall’AV?
Kei Morikawa: Quando pensavo alle caratteristiche della personalità dei personaggi, ho pensato: “Chi meglio di un’attrice AV può interpretare il ruolo di un’attrice AV?”. E perché così il tipo di sensazione che volevo trasmettere sarebbe stato compreso a priori. Altrimenti avrei dovuto chiamare altre attrici, spiegare loro di cosa si trattava, e fare loro creare un nuovo set di emozioni e sensazioni. Mi sono convinto dall’inizio che questa scelta sarebbe stata più naturale e molto più convincente nei confronti dello spettatore che poi avrebbe visto il risultato finale.
Questo film funziona con un meccanismo rigoroso di fuori campo, di sottrazione rispetto alla sessualità, cioè al fulcro del cinema porno che è l’oggetto del film, viene sistematicamente eluso quello che lo spettatore si aspetterebbe di vedere, trattando un simile argomento, anche in forma accennata. Anche quando il regista decide di girare una scena in camerino, questa si rivela poi come la cosiddetta ‘scena drammatica’. Tutti i film ambientati sul set di un film a luci rosse si devono porre il problema del confine del mostrabile. Tu hai fatto questa scelta. Come ci sei arrivato?
Kei Morikawa: Nella mia attività come regista di film AV io conosco a menadito i set dei film porno e mi occupo di tutto quello che riguarda le riprese dei porno. Ho cercato di farmi una domanda del tipo: “E se io invece cercassi di fare vedere alle persone che normalmente usufruiscono dei film porno ciò che sta dietro le quinte, cosa succederebbe?” Quindi in pratica l’idea era quella di creare un film che non fosse non visibile ai minori di 18 anni, ma che al contrario quanti più giovani potessero vedere. E magari anche tante donne per stimolare un po’ la curiosità e solleticarla nei confronti degli AV. Quindi volevamo dare l’idea di un film porno ma senza le scene pornografiche per fare capire alla gente com’è che si lavora in quel tipo di film.
Parliamo di una commedia, quindi il tono ironico e canzonatorio è ovvio. Ci sono dei momenti, come il regista che chiude le mani a rettangolo, nel famoso gesto di Truffaut dell’inquadratura, o le attrici che si lamentano che ci sono troppe battute da imparare. Vorrei capire se, per lui che ha fatto l’AV, è comunque un modo di riconoscere dignità a quel genere o se invece vorrebbe segnare un distacco, in chiave ironica, da un qualcosa che non vorrebbe fare più.
Kei Morikawa: Ci sono tante tipologie di attrici AV. Possiamo trovare quelle come la qui presente Miss Kuribayashi che è una persona cui piace anche interpretare un ruolo e lo fa con un certo piacere. Al tempo stesso ci sono anche più persone, di quanto non immaginate, che dicono “Se posso avere dei soldi in cambio di fare sesso di fronte a una telecamera, perché sono graziosa…”. Nel momento in cui si dice loro “OK, ora per questa scena, devi dire così, ecc.” loro dicono “No, un attimo, io non sono venuta qui per fare questo tipo di cose non per recitare qualche battuta”. Quindi più che di un mio approccio di desiderio di come vorrei che fosse questo o quello, si è trattato proprio di una vera rappresentazione di alcune tipologie realmente esistenti in cui mi sono imbattuto.
Tra i film che sono entrati nei set a luci rosse c’è stato un film italiano, Guardami del 1999 di Davide Ferrario. In quel film veniva trasmesso il senso assoluto di monotonia, di piattezza, di catena di montaggio del making off di un film porno, in cui non c’è nulla di eccitante. Hai voluto lavorare in questa stessa direzione, nel cercare di rendere quello stesso senso di routine?
Riri Kuribayashi: No, non si può definire monotono!
Kei Morikawa: No, non credo si possa parlare di monotonia. Ci sono tutte queste problematiche che si vedono nel film, che accadono una dietro l’altra, di grande incidenza, di ripetizione. E spesso capitava di vedere come la truccatrice riusciva a prendersi cura di tutte quante queste cose, mentre il regista aveva la testa piena di tante altre cose. Se non c’è una brava truccatrice in grado di fare questo il lavoro non scorre, e le truccatrici ormai ne sono consapevoli. Tra chi vedrà il film sarà ci saranno di sicuro persone che lavorano nel settore AV, che appena lo vedranno, diranno: “Ah sì, questa cosa mi è successa”. Gli operatori del nostro settore sono i primi spettatori che vorrei avere.
Lo stile di regia è incentrato sulle inquadrature fisse, che mi ha comunicato un senso di claustrofobia. Poi si arriva alle riprese e l’inquadratura combacia con quella della telecamera che sta girando, come si vede dalle scritte “Rec” e “Stop”. Perché questa fissità del punto di vista? È forse un modo di riprodurre la fruizione dello spettatore teatrale in un film che non fa nulla per discostarsi dalla quella dimensione di partenza, da camera, per esempio aggiungendo degli esterni come si fa di solito in questi casi?
Kei Morikawa: La grande differenza tra l’espressione teatrale e quella cinematografica è che a teatro la recitazione è gestita in un modo tale per cui ovunque lo spettatore poggi lo sguardo è accettabile, va bene. Non c’è nessun elemento di costrizione. Anche se non si vuole concentrare sulla persona che sta parlando ma qualcun altro, è liberissimo di farlo. Invece nell’espressione cinematografica si dice: “Questa è la persona che devi guardare, questa è l’inquadratura pronta” e così deve essere. In Make Room la ragione per cui ci sono tante inquadrature fisse non ha a che vedere col fatto che siccome c’era quell’esperienza teatrale, la volevamo riproporre a livello cinematografico. Era per capire quali fossero i punti salienti da mostrare all’interno del film, ed è proprio per questo che durante le riprese, per tutto quello che poteva riguardare quale fosse il punto in cui inquadrare, quale fosse il formato dell’inquadratura, mi sono basato sulle mie tecniche di ripresa che ho fatto mie in tutti i miei anni di carriera. Poi abbiamo deciso come catturarle nell’immagine con delle fissità maggiori in certi momenti, e anche con delle inquadrature più strette in certi altri. Per tutto questo mi sono anche consultato con il direttore della fotografia e con il cameraman.
Si trattava di far vedere agli spettatori una makeup room come se stessero spiando dal buco della serratura. Già nella versione teatrale volevo che lo spettatore potesse diventare una specie di osservatore, quindi percepire da vicino quello che sta succedendo e quindi poter giudicare a suo modo, in totale libertà, quelle che sono le caratteristiche dei singoli personaggi che, spero, possano essere di interesse per lui. che ho cercato di fare io stesso è anche di confrontarmi con tante truccatrici, le ho intervistate, durante e dopo le riprese. Molte mi dicevano che, quando il regista non è nella sala da trucco, può succedere tutta una serie di cose che lui non può vedere. Questa è la realtà dei fatti. Io mi sono reso conto che spesso al di fuori del set cinematografico avviene una serie di cose di cui il regista non ha la minima idea. Mi piaceva quindi che alla fine, ancor più che il regista, in quell’istante potevano essere gli spettatori a farsi un’idea, tramite l’osservazione diretta, di quello che succede nella makeup room.
Parliamo dell’industria dell’hard, da cui entrambi provenite, che è molto sviluppata in Giappone. Come è organizzata? E come nascono le pornostar?
Kei Morikawa: In Giappone esiste una struttura unica per l’industria pornografica, non mi pare ci sia nulla del genere all’estero. Da noi ci sono tre categorie di attrici di film per adulti, la tantai, l’attrice singola, la kikaku tantai (abbreviato kikatan), l’attrice singola per progetto, la kikaku, solo per progetti. La prima categoria rappresenta le ragazze che hanno particolare talento per questo settore e vengono scelte da una casa cinematografica con la quale stipulano un contratto esclusivo. A queste viene garantito un film al mese, e devono anche partecipare a una serie di eventi pubblicitari. L’aspetto economico è per loro estremamente remunerativo. Le seconde lavorano a progetto, sono attrici il cui contratto esclusivo è scaduto e possono quindi dedicarsi ad attività lavorative con più agenzie. Possono quindi accettare più progetti diversi, non hanno nessun obbligo contrattuale che lo vieti. Siccome la ditta madre non ha rinnovato loro il contratto, non hanno lo stesso livello remunerativo che può avere una tantai, però se riescono a fare più film al mese, possono prendere anche più denaro di una tantai che deve farne uno solo. Infine le terze sono ragazze che non sono minimamente interessate all’attività di tantai, non vogliono neanche che il loro nome appaia, né nei credits, né nel materiale pubblicitario, né sui giornali o quant’altro, il loro vero nome è tenuto segreto. Questo per rimanere anonime rispetto al loro ambiente di vita, se nessuno guarda quei film, e poter continuare a fare la loro vita. Proprio perché non hanno un’immagine pubblica, il loro compenso è estremamente limitato, però alcune di loro riescono a lavorare tutti i giorni e possono realizzare grossi guadagni, anche se ciò comporta grandi energie, difficile tenere un certo ritmo tutti i giorni. Sono adatte a ruoli particolari, come quello di infermiera o di cosplayer, che non richiedono necessariamente di essere graziose di faccia, a volte fanno anche in modo che il volto non si veda.
Riri Kuribayashi: Prima di intraprendere questa professione lavoravo in un negozio di cellulari. In quel momento pensavo “Non voglio passare la mia vita in questo modo”. Ho deciso subito allora di provare a entrare nel mondo degli AV, pensando che se non fosse andata bene, avrei scelto qualcos’altro. Ho provato senza darci tanta importanza. Però una volta iniziata questa attività, ho deciso che avrei dovuto diventare più famosa possibile. Già da quando ero bambina, mi piaceva l’attività teatrale, l’attività recitativa. Da subito l’intenzione era quella di fare AV ma lasciando aperta la possibilità di lavorare più in generale per il cinema. Ho portato avanti la mia carriera di attrice AV, ma ho sempre accettato altri lavori, sia per grandi che piccole produzioni.
Per quanto riguarda la carriera di un’attrice AV, va detto che spesso non riesce ad andare avanti troppo a lungo nel tempo. Per quanto riguarda me, io mi dedico anche alla musica, e ad altri generi cinematografici. A me la musica piace tantissimo, mi pace cantare e continuerò anche questa carriera. E se mi arrivassero proposte interessanti dal cinema, continuerò ad apparire in quanti più film posso.
Sembra che l’immaginario del cinema porno giapponese, per quella che è la nostra percezione, sia incentrato su figure di lolite, di studentesse con la tipica blusa, o comunque di ragazze molto giovani. È effettivamente l’estetica predominante che asseconda le fantasie degli uomini giapponesi o è solo un cliché?
Riri Kuribayashi: È assolutamente così. Sono tantissimi gli uomini che pensano che più la ragazza è giovane, meglio è.
Kei Morikawa: Però va detto che adesso c’è una tendenza di indice di gradimento molto superiore nei confronti delle cosiddette mature. Tutti gli uomini che avevano una certa passione già tanti anni fa, ora cominciano a essere in là con gli anni. E quindi quelli che si trovano adesso ad avere 40, 50 anni, e quindi anche ad avere una loro indipendenza economica, e possono acquistare video hard, hanno continuato a essere fan di una particolare attrice che era giovane ai loro tempi. Questa attrice adesso è entrata nel settore delle cosiddette mature e quindi la continuano a seguire come si potrebbe seguire una carriera di drama, una serie tv. Va detto che da questo punto di vista è aumentata la varietà. Ci sono attrici che, dopo essere state idol AV e dopo essere entrate nel settore maturo, lasciano il settore avendo guadagnato tanti soldi con i quali poi aprono negozi, locali, esercizi commerciali come bar, pub, spesso usando il proprio nome come marketing, pubblicizzando il loro locale proprio dicendo “Io sono un’ex-attrice AV”.
Difficile per noi immaginare che un’attrice hard, possa avere una contemporanea carriera di cantante pop e lavorare nel mondo del cinema non porno. Come concili queste attività, anche a livello di immagine pubblica?
Riri Kuribayashi: Molti dei miei fan, che vedono le mie interpretazioni nei film AV, poi sono molto interessati anche a vedermi mentre recito in un film e mentre canto. C’è da parte loro la richiesta di vedermi in altre situazioni e quindi sono i primi a chiedermi “Quand’è la prossima volta che ci fai una performance life di musica?”, “Quale sarà il prossimo film in cui parteciperai?” e proprio il fatto che un’attrice AV possa mostrare tutte queste sfaccettature ai propri fan fa sì che loro apprezzino questo tipo di divisione. Viceversa se non sei così poliedrica, in Giappone la tua carriera di attrice AV non andrà troppo avanti negli anni. Mi rendo conto che al di fuori del Giappone questa sia una cosa complicata da accettare.
Kei Morikawa: Ad esempio vedere un film in cui lei appare come attrice AV, dopo avere visto una sua performance life o averla vista in un film normale, lo rende ancora più eccitante.
(Udine, 28 aprile 2015)