Michael Winner

Il gourmet sadico
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Michael Winner è morto il 21 gennaio scorso all’età di 77 anni. La sua scomparsa ci rammenta che questo cineasta, nonostante la cattiva reputazione e una filmografia assai diseguale, con una fine di carriera francamente esecrabile, ha realizzato tra il 1971 e il 1977 un pugno di film che meritano l’attenzione, se non l’ammirazione, di tutti gli appassionati del cinema d’azione. E non è poco.

Regista, sceneggiatore e produttore inglese nato nel 1935 a Londra, Michael Winner si è esiliato negli Stati Uniti all’inizio degli anni Settanta, consacrandosi ai film commerciali. I suoi primi lungometraggi britannici, degli anni Sessanta, tra commedie satiriche, drammi e polizieschi, non hanno lasciato ricordi duraturi (malgrado la presenza frequente nei cast del grande Oliver Reed). Winner gode della triste reputazione di mestierante reazionario grezzo e cattivo (detestato da molti attori e tecnici che hanno lavorato con lui, come Richard Jordan o Jack Cardiff), o di cinico mercenario della pelliclola. È senza dubbio vero, in una certa misura. Ma Il giustiziere della notte, Sentinel o Professione assassino meritano urgente rivalutazione. Come è possibile che un regista considerato infame da tutte le storie del cinema e dalla critica dell’epoca, abbia potuto inanellare, tra il 1971 e il 1977, una serie di film degni di nota e che sono stati in seguito recuperati da una certa frangia della cinefilia internazionale?

 

WESTERN ROSSO SANGUE

Magnificamente interpretato da un Burt Lancaster già avanti con gli anni, con accanto comprimari prestigiosi (Lee J. Cobb, Robert Ryan, Robert Duvall), Io sono la legge (Lawman, 1971) è il primo di questi film memorabili. È anche il primo film hollywoodiano prodotto e diretto da Winner, per la MGM. Un western (genere americano per eccellenza, raramente messo in scena dagli inglesi) che delinea il ritratto di un roccioso sceriffo, la cui ossessione per la giustizia e per il rispetto della legge e dell’ordine vira in una sorta di forma patologica, prossima alla vendetta personale. Un individuo altrettanto violento e folle della banda di delinquenti che gli si mette contro. Il secondo western di Winner è scritto dallo stesso sceneggiatore – il suo compatriota Gerald Wilson – che si ritroverà nei crediti di Scorpio, Professione assassino e Bocca da fuoco.

In Chato (Chato’s Land, 1972), girato in Spagna, Charles Bronson, più taciturno che mai, incarna un meticcio Apache che fa fuori uno per uno, grazie all’arte della guerra indiana e alla sua perfetta conoscenza della natura selvaggia, gli uomini venuti ad arrestarlo per un crimine da lui commesso in condizioni di legittima difesa (ha ammazzato uno sceriffo che lo provocava). Anche in questo caso, il limite tra giustizia e vendetta è indefinito, in un film particolarmente nichilista e crudele. I bianchi vengono mostrati come dei razzisti degenerati, mentre l’eroe indiano, rifiutando lo statuto di vittima o di oppresso, si comporta come un assassino a sangue freddo, che trae verosimilmente piacere dal gioco al massacro che egli governa alla perfezione. Scene di violenza degne del cinema horror-gore avvicinano il film agli eccessi del western italiano, che viveva allora le sue ultime ore di gloria. Si tratta della prima collaborazione tra Bronson e Winner, che diventerà uno dei registi abituali dell’attore.

 

UN GIRO DI VITE PERVERSO

Nel frattempo, Winner diresse in Inghilterra lo strano Improvvisamente, un uomo nella notte (The Nightcomers, 1971) che si ispira a Giro di vite di Henry James, del quale riprende i personaggi per raccontare gli avvenimenti precedenti l’inizio del romanzo, portato sullo schermo nel 1961 da Jack Clayton in Suspense (The Innocents), un classico del cinema fantastico con Deborah Kerr. Si tratta di un progetto originale e anche senza equivalenti (inventare il “prequel” di un romanzo e di un film con un’équipe artistica e tecnica completamente diverse dall’opera preesistente, adottando uno stile e delle soluzioni narrative e visuali opposte.) Dieci anni sono trascorsi tra i due film, che corrispondono, nella storia del cinema, alla fine dell’età classica e all’inizio di una fase manierista degradata. La pellicola di Clayton, modello di storia con fantasmi, infanzia malefica e casa infestata, era giocata quasi interamente sull’arte della litote, sorta di precursore britannico, letterario e psicologico di Gli invasati (The Haunting, 1963) di Robert Wise.

Il segreto dei bambini scoperto dalla loro nuova governante era un dramma sessuale scabroso e mortifero, avvenuto prima dell’arrivo di quest’ultima. Ma mentre tutto non era che suggestione nel film di Clayton (fedele allo spirito e alla lettera di James), Winner decide di mettere in immagini gli avvenimenti scioccanti che hanno condotto alla morte di Emily Jessel e del suo amante brutale e dominatore, il guardiacaccia Peter Quint. I fantasmi di Suspense sono in Improvvisamente, un uomo nella notte, esseri di carne e di sangue che si abbandanano alla dissolutezza e a relazioni sadomasochiste, pretesto per delle scene di sesso molto esplicite per l’epoca. Tanto più che Quint è interpretato da un Marlon Brando più virile, animale ed erotico che mai, che fa le prove per il suo ruolo mitico in Ultimo tango a Parigi, di un anno più tardo: Brando nudo, Brando che lega e violenta la povera istitutrice Miss Jessel presto consenziente…

Un film molto ardito, che mescola erotismo, sadismo e fantastico (tutto questo sotto gli occhi di un bambino e di una bambina), con un’audacia che ancora oggi colpisce. È lecito paragonare Improvvisamente… a un altro film realizzato lo stesso anno, Cane di paglia, di Sam Peckinpah che lanciava anch’esso una star hollywoodiana (Dustin Hoffman) in un universo malsano ed europeo (i due film hanno lo stesso musicista, il grande Jerry Fielding.) Medesimo successo di scandalo, stesse accuse di pornografia e di violenza oltranzista. Se Improvvisamente… di Winner non è così eccezionale come il capolavoro di Peckinpah, l’istrionismo allucinante di Brando (con il suo inimitabile, pessimo, accento inglese) e le grazie esposte con compiacimento della starlette Stefanie Beacham, finiscono tuttavia per farne un vero regalo per cinefili perversi.

 

MECCANICO IN PANNE

In modo più serio, Professione assassino (The Mechanic, 1972) è forse il miglior film di Winner e merita di stare senza dubbio tra i thriller più importanti del decennio. Perché? Perché sotterra il codice d’onore proprio dei gangster e dei fuorilegge per salutare la nascita di un mondo cinico, senza valori né morale, disumanizzato. Senza nessun tipo di giudizio etico o di condanna per questo dato di fatto, il che può farne un film fascista. Secondo il titolo originale, Bronson è un “meccanico”, una macchina priva di affetti e di sentimenti che compie alla perfezione il suo mestiere, con il denaro come unica motivazione. Come l’indiano Chato, Bishop è diventato un maestro nell’arte di uccidere e porta a termine ogni contratto con un perfezionismo, un’immaginazione e una freddezza incomparabili, che confinano con il genio. Un genio malefico, ovviamente. Ma Professione assassino è anche una storia sul malfunzionamento. Come tutte le macchine, Bishop non è al riparo dalle panne. È vittima di malesseri e comprende che la propria fine è prossima. La paura della malattia lo spinge a scegliere e ad istruire un giovane allievo, ancora più cinico e amorale di lui (Jean Michael Vincent). Questo incontro accelererà la sua caduta, in un modo tanto imprevedibile quanto logico. Grande narrazione comportamentale (i primi quindici minuti, che illustrano come Bishop esegue un contratto, sono totalmente privi di dialogo), Professione assassino è anche un racconto sul tradimento e sulla impossibilità di insegnare. No future.

 

LA SCUOLA DI MELVILLE

Scorpio (1973) un anno dopo Professione assassino riprende l’idea della coppia maschile maestro e allievo, del binomio che non rappresenta, di fatto, che un solo e identico individuo a due differenti età della propria vita (senza dimenticare il sottotesto omosessuale), con il tema del tradimento e dell’amicizia che si corrompe. Stavolta non ci troviamo più nella sfera del noir ma in quella del film di spionaggio, con la sua galleria di agenti infiltrati, killer e doppiogiochisti su uno sfondo da guerra fredda. Questo eccellente thriller si basa sulla contrapposizione di due attori di razza che già si erano incrociati sul set del Gattopardo di Visconti: Burt Lancaster e Alain Delon il cui personaggio di killer solitario soprannominato Scorpio rimanda a un altro ruolo iconico dell’attore: Le Samouraï di Jean-Pierre Melville. Invece dell’uccellino, nell’appartamento vuoto, è un gatto ad avere il ruolo di unico compagno di Scorpio, il quale conoscerà lo stesso destino di Jeff Costello. Falsamente convenzionale, Scorpio si innalza così al di sopra della produzione commerciale anonima, moltiplicando le allusioni alla carriera delle sue due star. Il pessimismo e il nichilismo diventano il marchio di fabbrica di Winner, benché questo faccia parte dello spirito del tempo e si possa applicare anche a un cineasta più importante come Sam Peckinpah.

 

COMPIACIUTA VENDETTA

Il giustiziere della notte (Death Wish, 1974) è il piatto forte della filmografia di Michael Winner e della collaborazione tra Bronson e il regista. Ed è, nello stesso tempo, il loro più grande successo commerciale, un titolo emblematico degli anni Settanta, nonché oggetto di ogni tipo di controversie, polemiche e malintesi. Questa storia di un architetto newyorkese che si trasforma in un “vigilante” dopo l’aggressione brutale di sua moglie e sua figlia da parte di alcuni teppisti, è rapidamente diventato il prototipo del film di autodifesa, sottogenere del thriller urbano, che mette in scena dei semplici cittadini che impugnano le armi per ovviare al lassismo della giustizia e alla compiacenza o all’inefficacia della polizia. Il tema della vendetta e della giustizia personale, irriga il cinema americano e in particolare il western. Il giustiziere della notte rilancia il dibattito in un clima di insicurezza e di violenza nelle grandi città proprie degli anni Settanta, il che giustifica la grande eco che il film ottenne. Tacciato di fascismo all’uscita (come Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo o Il cacciatore) in ragione del soggetto e della personalità di Bronson (un bruto) e di Winner (un provocatore), il film è tuttavia più ambiguo di quanto sembri.

La sceneggiatura, firmata da Wendell Mayes (Anatomia di un omicidio e Tempesta su Washington, che non sono affatto film manichei o reazionari) immagina un personaggio borghese di destra dapprima allergico alla violenza (vecchio obiettore di coscienza, vomita dopo la prima spedizione punitiva), che si trasforma progressivamente in un assassino e vi prende gusto. Lontano dalla figura di eroe proposta dai media e dall’opinione pubblica all’interno del film, Paul Kersey è una sorta di psicopatico la cui crociata anti-delinquenza è pervertita dalla “pulsione di morte” evocata dal titolo originale. Senza dubbio il film avrebbe guadagnato in credibilità e in sottigliezza con un attore meno virile e meno associato a dei personaggi di killer come Bronson, che manifesta inoltre una solidarietà immediata con il progetto di Paul Kersey, senza esitare ad ammettere che avrebbe amato fare la stessa cosa. Un inciampo che Peckinpah eviterà affidando il ruolo principale di Cane di paglia a un attore gracile e piccoletto, Dustin Hoffman. Ciò non toglie che Il giustiziere della notte, anche se non evita un certo compiacimento nelle scene di violenza (Winner è senza dubbio un regista sadico), resta un modello di poliziesco urbano vischioso e depressivo, che ha conosciuto quattro seguiti (ridicoli) e numerose imitazioni, sia negli Stati Uniti sia in Europa.

 

IL FILM PIÙ MALATO DEL MONDO

Di sadismo, voyeurismo e compiacimento è questione anche in Sentinel (The Sentinel, 1977), l’ultimo ottimo film di Winner, nonché una rimarchevole incursione nel campo dell’horror. Una giovane fotomodella, in preda alla depressione e con pulsioni suicide, da poco fidanzata con un seducente avvocato, trasloca in un vecchio immobile di New York il cui ultimo piano è occupato da un prete cieco. Strani fenomeni si producono nella dimora, di proprietà della diocesi. Mescolanza di film sulle dimore infestate, di superstizione cattolica e di complotto diabolico, Sentinel fu senza dubbio realizzato allo scopo di profittare della passione del pubblico per i film dell’orrore a connotazione religiosa dopo i trionfi dell’Esorcista e di Il presagio, prodotti e distribuiti dai grandi Studios hollywoodiani e che contenevano scene scioccanti che non avrebbero mai passato lo stadio dell’autocensura qualche anno prima. In quanto “Mister di più” del cinema commerciale, Winner si spinge ancora più lontano dei suoi colleghi e oltrepassa i limiti della decenza con un film che mescola a una storia terrificante, prossima a Rosemary’s Baby, scene e dettagli profondamente malsani e sconvolgenti. Con i suoi eccessi, Sentinel equipara i film gore e illogici di Lucio Fulci consacrati alle porte dell’inferno, Paura nella città dei morti viventi e L’aldilà. Scoprii questo film di notte, in televisione, negli anni Ottanta, e provai il terrore della mia vita (insieme a Inferno di Argento visto per la prima volta a una proiezione di mezzanotte al cinema). Sentinel fa parte di quei rari film che fanno veramente paura e sanno creare il disagio anche negli spettatori distaccati e negli appassionati di horror più incalliti. Per ottenere questo, Winner è pronto a tutto: i trucchi ripugnanti di Dick Smith (L’esorcista), la sua fragile eroina braccata dai traumi dell’infanzia e da terrificanti apparizioni notturne, e soprattutto qualcosa di impensabile in un grosso film degli Studios (Sentinel è prodotto dalla Universal): il ricorso a dei veri “freaks”, uomini e donne vittime di anomalie fisiche plateali, fatti esibire mezzi nudi nella scena finale dantesca, che interpretano dei dannati scappati dall’inferno. Mentre Tod Browning nel suo capolavoro Freaks faceva recitare degli esseri deformi o handicappati come una mostruosa parata, per sottolineare la dolorosa e sconvolgente umanità degli stessi, Winner utilizza la laidezza dei figuranti affetti da simili malattie o mutilazioni, per incarnare degli spettri ancora più ripugnanti degli zombi di Fulci. Il risultato è una visione realmente infernale, da ghiacciare il sangue, ma che provoca un disagio nello stesso tempo fisico e morale. Altra particolarità di questo film che è tra i più malsani mai realizzati: dispone di un cast allucinante, degno delle più prestigiose produzioni catastrofiche, in stile L’inferno di cristallo o Airport. Tra gli interpreti di Sentinel, talvolta in ruoli miscroscopici, ci sono Chris Sarandon, Cristina Raines, Martin Balsam, John Carradine, José Ferrer, Ava Gardner, Arthur Kennedy, Burgess Meredith, Eli Wallach, Beverly d’Angelo (la lesbica muta, con una scena di masturbazione indimenticabile), Christopher Walken, Tom Berenger, Jeff Goldblum e anche Richard Dreyfuss in un cammeo. Un vero film malato.

 

IL DECLINO DI WINNER

Durante lo stesso periodo Winner firma anche due film commerciali meno, o pochissimo, riusciti: L’assassino di pietra (The Stone Killer, 1973) un poliziesco anti-mafia prodotto da Dino De Laurentiis e con Charles Bronson, che resta al di qua di ciò che ci si poteva attendere dalla riunione dei tre nomi, e  Won Ton Ton: il cane che salvò Hollywood (Won Ton Ton: The Dog Who Saved Hollywood, 1976) una biografia filmata di Rintintin che lasciò costernati i rari spettatori che ebbero la bizzarra idea di andarlo a vedere. Dopo il 1977 fu un rapido declino: Marlowe indaga (1978) è un remake bolso e inutile del Grande sonno con Robert Mitchum nel ruolo di Marlowe, inferiore a Marlowe il poliziotto privato (Adieu ma jolie, 1975) di Dick Richards e che non vale se non per il prestigioso cast; un nanar avventuroso con James Coburn e Sophia Loren, Bocca da fuoco (Firepower, 1979); e gli impagabili primi due seguiti del Giustiziere della notte quando la franchise passa dalle mani di De Laurentiis a quelle di Golan e Globus per la Cannon, che diventa il principale committente di Winner a partire dal 1982. Il giustiziere della notte 3 (Death Wish 3, 1985) beneficia di una particolare fortuna presso gli amanti di aberrazioni cinematografiche, che ne apprezzano l’humour involontario e l’enfasi distruttrice, una vera e propria escrescenza burlesca e mostruosa della serie presto naufragata nell’autocaricatura. Bronson polverizza un centinaio di teppisti con la mitragliatrice perché un quartiere di Brooklyn ritrovi la sua tranquillità.

 

DAL CINEMA ALLA CUCINA

Conclusione: una fine di carriera deplorevole non toglie nulla alle qualità dei film di Winner degli anni Settanta, anche se si possono giudicare negativamente le loro caratteristiche (nichilismo, caos, violenza e disperazione.) Film al di là del Bene e del Male, o piuttosto dalla parte del Male. Michael Winner si era riconvertito con successo da diversi anni nella critica gastronomica sulle colonne del Sunday Times e nei libri. Ironia della sorte, la sua morte è legata alla sua passione per il buon cibo. Nel 2007 fu contagiato dal batterio E-coli mangiando alle Barbados una tartare di pesce che lo avrebbe condotto in ospedale otto volte negli ultimi mesi della sua vita e dalla quale non si sarebbe mai più ristabilito.