Monte Cazazza: Death’s all, folks! 2
True Gore: un’opera strutturata in quattro distinti segmenti che non danno luogo a equivoci: Il mondo dei morti; L’erotismo della decomposizione; Arte & Morte; La scienza della morte
Ironia delle ironie, l’acronimo di True Gore è il medesimo di Tele Giornale, ma laddove i servizi tg e i Vivarelli del dopopranzo potranno giusto arrivare a spettacolarizzare col massimo compiacimento la tragedia (leggi: cronaca), Monte Cazazza, in anticipo sul decennio a venire, si spinge oltre, in una miscela esplosiva di cripto-satira dell’informazione, larvata parodia dei Faces of Death, e micidiale crasi tra mondo dell’apocalypse culture e death movie (del resto non ancora sfacciatamente esploso in tutta la sua caustica virulenza), con l’appiombo di un terrorismo culturale e di una pranksterie che rendono impossibile tracciare una netta linea demarcatoria tra genio e cialtrone, tra chi ci fa e chi ci è, tra sfottò di ascisse e coordinate di un filone e suo sfruttamento per superarne a sinistra ellissi, parabole e iperboli alla luce dell’underground-art (la propria compresa, a confermarci l’egolatria dell’autore e il furbo sciacallaggio sul mito creatosi sulla propria figura: lo shockumentario è a più riprese uno spot di se stesso e del proprio operato, e ripresenterà – spacciandoli come materiali ottenuti per vie traverse – filmati del T.O.P.Y. e l’impressionante corto SXXX, qui autoironicamente censurato, nonché passaggi di sue performance live coi Factrix e Mark Puline; anche la colonna sonora industriale è da lui interamente curata).
Se da una parte ciò fonda la forza dell’ambiguità di un’operazione che non si sa mai come prendere (beffa situazionista? Arte? Sadico rollercoaster?) dall’altra Cazazza mette da subito le mani avanti: «Mostrare ipocritamente la morte, o fingere di mostrarla, è grossomodo tollerato, ma dischiuderne fino in fondo la realtà è alto tradimento. Il tradimento è il gore fattosi realtà. Perché rifuggire il reale? Siete in lista d’attesa per l’obitorio: forse stanotte, forse domani, ed è la sola certezza di cui potete far conto».
Ciò nondimeno lo straniamento per gli sbilenchi intenti programmatici rimane intatto per tutti i 90’ di un’opera strutturata in quattro distinti segmenti che pure non danno luogo a equivoci: Il mondo dei morti; L’erotismo della decomposizione; Arte & Morte; La scienza della morte. Fin dall’apertura, il gioco delle tre carte è in corso: a far da proemio, un disclaimer fasullo, che vanta la messa al bando internazionale dell’opera, fa leva sullo spirito boccalone del curiosone che va in cerca di estremo e al contempo percula il birignao delle frasi a effetto con cui il cinéma vérité è stato pubblicizzato per decenni: come può un film essere così famigerato e addirittura già preventivamente bandito in fase realizzativa? Quel che segue sembra volercelo dimostrare: una carrellata impietosa di cadaveri orribilmente devastati come non si era ancora/mai vista su schermo grande come piccolo (e da cui proviene probabilmente la stura dei death-movies), ove i topi hanno fatto tunnel e tana, o il cui volto è stato mangiucchiato dagli animali domestici rimasti digiuni alla morte del padrone; lo step by step del rigor mortis viene squadernato in tutte le sue fasi come se stessimo facendo uno stage di anatomia applicata: capelli che vengono via con una semplice ditata, tumefazioni di ogni genere, rigonfiamenti smodati di testicoli e bulbi oculari, tempi e modi degli stadi putrefattivi e della colliquazione, raddoppiati dalla voice over di Monte che ci squaderna che ne sarà del nostro tempio di carne e ossa con una expertise da scafato anatomopatologo, mentre la black-ambient in sottofondo non fa niente per attenuare il disagio in cui ci mettono le immagini. Curiosamente, le pietose e ipocrite bande nere accorrono a occultare l’identità e le pudenda del defunto, e se da una parte non ci si aspetta una simile autocensura da uno scriteriato come Cazazza, dall’altra occorre ricordare che il prodotto è concepito guardando a oriente, ove anche il peggiore dei death movies che si succederanno nei lustri non prescinde dal tradizionale atavico rispetto per le parti intime. È dunque probabile che le bande nere, più che strategiche, siano state applicate a posteriori dalla label nipponica che ha distribuito la vhs.
Non meno ambidestro è il passaggio dedicato al suicidio: dapprincipio, in piena vena arty a base di diapositive macchiate da solarizzazioni ottiche e solo audio, senza ricorrere a commento alcuno e affidandosi all’apodittica, siamo testimoni del massacro della Guyana offertoci in diretta audio dall’integrale registrazione degli ultimi communiqué del reverendo Jones che istiga al suicidio la propria plagiata comunità, e che continua a sproloquiare di salvezza finché il cianuro non seccherà in diretta anche lui. Per ottenere un effetto di ulteriore disorientamento e disturbo, non bastassero le urla e i gemiti dei 900 avvelenati, Cazazza farà ricorso alle famigerate onde theta, capaci di alterare psichicamente l’ascoltatore, che il loro sporco, psicotropo, lavoro lo fanno, specie ascoltando il passaggio in cuffia; dopodiché scorrono un paio di clip sui suicidi casalinghi, abilmente ricostruite in super 8 con una tecnica che anticipa il found footage di molto cinema odierno, che sembra venirci dritta da una ben assimilata lezione di Deodato, e insaporite da effetti ottici da video-arte early 80’s, rozzi e naif ma incredibilmente funzionali al gelo che si intende trasmettere. Di contro il commento parafrasa il Sommario di decomposizione di Cioran: «Un uomo uccide il suo prossimo: uccide solo un altro uomo. Ma quando un uomo uccide se stesso uccide tutti gli uomini, al pari del concetto di umanità e della specie che è chiamato a rappresentare». Non fa una piega, e anzi rende a suo modo poetico il tutto, anche se in sottofondo scorrono le macabre partiture degli Atom Smashers. Se non fosse per l’ampollosa sentenziosità della voice-over potremmo quasi dire che viene per certi estetici versi anticipato il bellissimo e destabilizzante Teenage Babylon di Graeme Wood.
Dopo un silente fade out che pare interminabile, la malata vocetta di Cazazza ci ammonisce con divertita perfidia che anche suicidarsi è cosa tutt’altro che facile, e ha le sue statistiche eccezioni confermanti la regola: a riprova, direttamente dal suo archivio ci vengono offerte indescrivibili snapshots di un aspirante suicida che ha provato a farla finita con una fucilata in bocca non andata a buon fine. Con puntiglio le diapositive seguenti mostrano tutto il prima durante dopo: mentre il viso oscenamente divelto dalla fucilata – che a voler lavorare di eufemismo sembra una difforme rosa sbocciata e scompaginata dal vento – fa diventare una ghiacciaia il nostro sistema circolatorio, il commento sottolinea sardonico che «umanamente, i medici hanno voluto a tutti i costi tenerlo ugualmente in vita, e grazie alla loro carità da ora gli toccherà vivere così»: quelli che seguono sono freeze-frames se possibile anche più insostenibili dei precedenti, illustranti il volto chirurgicamente rimesso in sesto, ma praticamente inesistente, ridotto a una bolla di silicone e nullo come l’icona sagomata dei profili di fb, a parte bocca e narici dislocate a casaccio come nel ritratto fatto da un bambino. Quel che ci passa davanti agli occhi è di per sé raggelante, ma il disagio vero ci viene dall’irrispettoso sadismo a carte scoperte sul quale Monte non lesina nel commentare il tutto, con un cinico sarcasmo lontano dal falso pietismo di un Morra o Le Cilaire (che già non erano il massimo della gradevolezza), di cui, anzi, si beffa allegramente come se al microfono ci fosse l’anima trasmigrata di De Sade. Come dire: non raccontiamocela, io segno la fine di un’epoca, this is the way step inside, la morte è morte, hai voluto la bicicletta e ora fatti il giro d’Italia a tutta sgambata. In tal senso il film tiene sempre un impertinente tono parabasico, molto tongue-in-check e in your face, dando del tu al fruitore, non solo ricordandogli a ogni istante che si sta guardando allo specchio in quanto entità caduca e cadavere che verrà/sarà, ma anche mettendolo davanti alla propria sconcia natura di voyeur. Così l’a-tu-per-tu iniziale: «Perché ci fermiamo a curiosare sulla scena di un’incidente stradale, o anziché allontanarci da un incendio affrettiamo il passo verso di esso? Per abbeverarci all’erotico piacere della paura o più semplicemente per cogliere una sineddoche del nostro destino?», Più avanti, a tanto di cazzotti elargiti, tale riflessione si farà acuta e canagliesca provocazione: «Ditemi, se trovate ripugnante quanto state guardando, perché siete ancora qua davanti?». Perché il corpo umano è antropologicamente costituito per il 90% di quella bestiaccia chiamata scopofilia, e i realizzatori, che lo sanno bene, ci marciano sopra.