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1899

2022
REGIA:
Baran bo Odar
CAST:
Emily Beecham (Maura Franklin)
Andreas Pietschmann (Eyk Larsen)
Aneurin Barnard (Daniel Solace)

Il nostro giudizio

1899 è una serie tv del 2022, ideata da Baran bo Odar e Jantje Friese.

Gli showrunner Jantje Friese e Baran bo Odar, coniugi nella vita, erano riusciti a creare una grossa hit all’interno della programmazione Netflix con la serie rompicapo Dark, opera narrativamente molto complessa che coniugava il mistery con i viaggi del tempo e tutti i possibili paradossi che potevano scaturire. Il risultato, molto amato dal pubblico e dalla critica, era estremamente cerebrale nel gioco di sparigliare continuamente le regole del gioco, ma riusciva ad appassionare e a tenere al centro della storia i sentimenti. A due anni dalla conclusione, la coppia di autori tedeschi tenta di ripetere l’alchimia e l’atmosfera sofisticata di Dark a partire da un’idea seminale del cinema di fantascienza, quella della nave fantasma ritrovata e latrice di orrori. La suggestione di questo topos nasce in epoca moderna dalla vicenda della Mary Celeste, brigantino rinvenuto alla deriva verso la fine dell’Ottocento senza il personale di bordo e che nel cinema ha scatenato un vero e proprio sottofilone che a partire dal programmatico La nave fantasma del 1980 è stato elaborato in diverse salse, con i film sul triangolo delle Bermuda, con la fantascienza pura di Punto di non ritorno di Paul W. Anderson o con il mistery soprannaturale di Triangle di Christopher Smith, film che si avvicina molto a quello che Friese e bo Odar hanno pianificato in 1899 e risultando, a conti fatti, uno dei tanti punti di riferimento a cui il duo si è aggrappato.

Ci troviamo a bordo del transatlantico Cerberus, capitanato da Eyk Larsen (Andreas Pietschmann, già visto proprio in Dark). La nave trasporta persone di diverse provenienze geografiche (in originale vengono parlate più lingue) ed estrazioni sociali verso l’America, con lo scopo di lasciarsi la vecchia vita alle spalle e ricominciare da capo. Durante il viaggio aleggia l’ombra della scomparsa della Prometheus, una nave della medesima compagnia che quattro mesi prima su quella stessa rotta fece perdere le proprie tracce. La figlia del proprietario della compagnia, la dottoressa Maura (Emily Beecham) sta indagando proprio su quello che è successo all’equipaggio della nave scomparsa, finché un messaggio telegrafato non comunica delle coordinate dove viene trovato, guarda caso, il relitto della Prometheus. Mentre la compagnia intima al capitano di affondare la nave, una serie di eventi misteriosi e di morti violente fa cadere la Cerberus nel panico. In attesa di una probabile seconda stagione, questo primo blocco di otto puntate da un’ora cadauna accumula in maniera parossistica una catena di idee e di trovate, purtroppo mai originali o rinnovate. L’aria stancamente derivativa della serie, che attinge a piene mani da Lost (i rebus, i numeri ricorrenti, le botole con i simboli, le dislocazioni spaziali e tutto l’armamentario mistery annesso e connesso) e dalla fantascienza di Dark City e Matrix, trasforma fin da subito il racconto in uno stillicidio parodistico di presunti colpi di scena e di costruzioni risapute del mistero.

Ciò che in Dark era pienamente riuscito, qui sprofonda nella riproposizione matematica di simbolismi, enigmi ripetuti a casaccio, paradossi spaziali e temporali non più sorprendenti e serviti da dialoghi eccepibili e artificiosi, al netto del cast che, pur eternamente immerso in un mood funerario e monotono, riesce comunque a spiccare. Le atmosfere sono la parte più riuscita: gli interni cupi e claustrofobici della nave, gli scenari spettrali del relitto, le sequenze negli spazi aperti totalmente desaturati e privi di respiro incutono una certa angoscia e avrebbero meritato un apporto più innovativo da parte della sceneggiatura. Le scenografie, grosso punto di forza della serie, sono ovviamente il referente principale in cui è possibile vedere lo sforzo economico da parte di Netflix (la serie è sponsorizzata come la produzione seriale tedesca più costosa di tutti i tempi) che ha messo a disposizione il sistema Volume, un set le cui pareti sono composte da pannelli led che proiettano in maniera realistica qualunque tipo di scenario (la tecnologia è stata introdotta per la produzione di The Mandalorian) e che Friese e bo Odar sfruttano in maniera, qui sì, innovativa, a livello visivo e narrativo. Il cliffhanger del finale di stagione, telefonato per chi ha un minimo di dimestichezza con la fantascienza di fine anni Novanta, fa comunque presagire nuovi orizzonti della storia che potrebbero essere interessanti.